Siegfried – Teatro alla Scala, Milano
Der Ring des Nibelungen alla Scala di Milano.
“Dunque, avremo un giovane Sigfrido! Sei veramente un uomo incredibile al quale bisogna fare tre volte di cappello” con queste parole, piene di entusiasmo, Liszt accoglie, nel 1851, la notizia di quel “giovane Sigfrido” che diventerà la seconda giornata della tetralogja wagneriana. Ma il mito di Sigfrido era già nella mente di Wagner dal 1848, anno in cui il musicista delineava le prime ipotesi per una grande opera eroica in tre atti. Un legame specialissimo con questo personaggio che ha percorso tutta la vita del compositore tanto da portarlo a chiamare il suo terzo figlio proprio Siegfried. Un componimento immenso, nelle cui melodie, secondo il critico musicale Heinrich Porges: “la più personale energia appare intimamente fusa con quella profondità di vita psichica che giustamente è considerata un privilegio dell’anima tedesca: ma non hanno nulla di ristretto o di meramente individuale e ci colpiscono sempre come effusioni d’un sentimento universale e puramente umano”.

Ricordiamo che questo capolavoro tornerà, insieme a tutto il Ring, alla Scala nel marzo 2026, una occasione da ricordare fin da ora per potere vedere tutta l’opera proposta nell’arco di una settimana esattamente come previsto dal compositore. Il cast della parte visiva è lo stesso previsto per le altre giornate, la regia è quindi affidata a David Mcvicar che cura anche le scene insieme a Hannah Postlethwaite. Come nelle precedenti produzioni, ci ritroviamo in un mondo fantasy decisamente rispettoso del libretto che forse, in questa sua terza incarnazione, comincia a perdere un po’ di incisività pur risultando ancora evocativo ed epico. Peccato forse per i toni troppo cupi della scena, assecondati dalle luci di David Finn, che non rendono giustizia all’elemento naturale che dovrebbe spiccare maggiormente come previsto nel libretto. Inutile sottolineare come la coerenza registica porti a modellare, giustamente, la scena del terzo atto esattamente come la si era vista in Valchiria. Hanno perso un po’ di estrosità, e forse è un bene, i costumi di Emma Kingsbury che appaiono ora piacevoli ma più anonimi mentre sempre corretti e funzionali al racconto si presentano i video di Katy Tucker. Un plauso al maestro di arti marziali e prestazioni circensi David Greeve che riesce, grazie anche alle coreografie ideate da Gareth Mole, ad animare un grande drago marionetta: uno dei momenti più spettacolari della serata.
Di notevole spessore il versante musicale dello spettacolo.

Per il terzo pannello della tetralogia, torna sul podio della orchestra scaligera, nella consueta alternanza con Alexander Soddy, Simone Young con una prova che si configura in perfetta continuità e coerenza con le giornate precedenti del Ring.
La sua è una concertazione attentissima e ricchissima di particolari, di rifrazioni dinamiche che si espandono in buca coinvolgendo, con impressionante compattezza, l’organico strumentale. Il fraseggio musicale viene miniato a regola d’arte grazie ad un lavoro di cesello di altissima precisione. Il suono, tuttavia, non è mai espressione di bellezza fine a sé stessa, non c’è compiacimento edonistico alcuno, neppure nei passi di matrice prettamente sinfonica. Il racconto musicale si dipana, nella sua complessità, attraverso sonorità rotonde e ben rifinite che consentono di caratterizzare al meglio le diverse scene in cui si articola la vicenda. Particolarmente incisiva, poi, è la differenziazione dei personaggi, dall’eroismo del protagonista, alla goffa ingenuità di Mime, dalla saggezza di Wotan alla concupiscenza di Alberich e, ancora, al tumultuoso smarrimento emotivo di Brünhilde.
Una prova direttoriale che trova terreno fertile nella densità e nella precisione di una magnifica lettura orchestrale.
Di livello la compagnia vocale, ottimamente supportata dal podio.
Alle prese con un ruolo ai limiti dell’ineseguibile, per lunghezza ed intensità, Klaus Florian Vogt riesce ad adattare, con risultati particolarmente apprezzabili, le peculiarità di una vocalità dal caratteristico colore chiaro alle numerose, quanto ambiziose, richieste dell’autore. La scrittura wagneriana viene così superata con buona musicalità ed adeguato controllo tecnico, mettendo in risalto l’aspetto più lirico del personaggio. Un Siegfried meno eroico e più ingenuo, forse, ma ugualmente convincente nel compiere il proprio percorso alla scoperta di sentimenti come l’amore e la paura.
Camilla Nylund torna, a pochi mesi di distanza, ad interpretare il ruolo di Brünnhilde e conferma le buone impressioni destate all’epoca di Walküre. Il soprano sfoggia un mezzo pastoso e ben proiettato che le consente, tra l’altro, di superare con buon agio le improvvise impennate verso la regione più acuta. Ben rifinito il personaggio, specie nel sottolineare il passaggio da divinità a donna innamorata.
Davvero notevole la prova di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, un Mime istrionico e carismatico nel canto come sulla scena. Si apprezza, in particolare, l’uso dei colori e delle intenzioni per restituire, con la giusta efficacia espressiva, l’anima grottesca del personaggio. Una interpretazione che acquista ancor più profondità teatrale in forza di una presenza scenica disinvolta e di grande spontaneità.
Michael Volle offre, anche in questa occasione, una magnifica testimonianza della sua grandezza come artista. Il mezzo, impressionante per ampiezza e profondità, stupisce per la naturalezza con cui riesce a scolpire la frase musicale, creando un personaggio autorevole e sempre partecipe. Il suo è un Wotan nobile nell’aspetto e nell’accento, vittima consapevole di una sorte gettata in rovina dalle sue stesse mani. Ad un contempo traspare, però, anche tutta l’umanità e il senso paterno verso Siegfried, eroe designato a conquistare il cuore della figlia più amata.

Convince anche l’Alberich di Ólafur Sigurdarson, perfettamente credibile nel sottolineare la cupidigia e la bramosia di un personaggio tra i più negativi e malvagi non solo della tetralogia ma, forse, dell’intera storia dell’opera.
Adeguatamente cavernoso Ain Anger, la cui profondità vocale calza a pennello alla personificazione del drago Fafner, capace tuttavia di ritrovare, in punto di morte, una inaspettata umanità.
Ipnotica ed onirica la Erda di Anna Kissjudit, in evidenza per una emissione morbida e brunita ed una presenza scenica enigmatica e penetrante.
Leggiadria e freschezza vocale sono, poi, i tratti distintivi della prova di Francesca Aspromonte, un uccellino della foresta.
Alla serata, cui testimoniamo una massiccia partecipazione di pubblico, arride un felicissimo successo con maggiori approvazioni all’indirizzo di Volle, Ablinger-Sperrhacke, Nylund, Vogt e della direttrice Young.
Appuntamento, ora, al prossimo anno per la conclusione della saga dei nibelgunhi con il tanto atteso Götterdämerung.
SIEGFRIED
(DER RING DES NIBELUNGEN)
Seconda giornata in tre atti
Versi e musica di Richard Wagner
Siegfried Klaus Florian Vogt
Mime Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
Der Wanderer (Wotan) Michael Volle
Alberich Ólafur Sigurdarson
Fafner Ain Anger
Erda Anna Kissjudit
Brünnhilde Camilla Nylund
Stimme des Waldvogels Francesca Aspromonte
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttrice Simone Young
Regia David McVicar
Scene David McVicar e Hannah Postlethwaite
Costumi Emma Kingsbury
Luci David Finn
Video e proiezioni Katy Tucker
Coreografia Gareth Mole
Maestro arti marziali/prestazioni circensi David Greeves
Credit Brescia/Amisano Teatro alla Scala