Spettacoli

Andrea Chénier – Teatro alla Scala, Milano

Torna al Teatro alla Scala Andrea Chénier nell’allestimento inaugurale della stagione 2017/2018.
 
A poco più di cinque anni di distanza torna sul palcoscenico del Piermarini Andrea Chénier, il dramma storico di Umberto Giordano che, con le sue melodie immortali ed emotivamente travolgenti, riesce ogni volta ad accendere gli animi degli appassionati. Uno spettacolo che il sette dicembre 2017 riscosse un grande successo di pubblico e di critica e che viene ora riproposto con un cast quasi totalmente rinnovato.

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Yusif Eyvazov e Chiara Isotton

Immutato è, tuttavia, il protagonista, ovvero il tenore azero Yusif Eyvazov che, rispetto al debutto di questa produzione, appare ora vocalmente più maturo e scenicamente più disinvolto. Se è vero che la vocalità presenta un caratteristico colore timbrico poco fascinoso, è altrettanto innegabile la pienezza del registro centrale e lo squillo di quello acuto che gode, per altro, di una certa facilità di proiezione. Il ruolo di Andrea Chénier è lungo ed impervio, ma Eyvazov, grazie ad una pregevole sicurezza tecnica, mostra di saper dosare le forze al meglio esibendo un costante controllo della linea che si apprezza per compattezza ed omogeneità tra i registri. Se ben riuscito è l’”improvviso” di primo atto, specie nell’invettiva contro il clero e l’aristocrazia, l’arioso “sì, fui soldato” conquista per lo slancio appassionato. Eyvazov raggiunge, poi, il punto più alto della sua prova soprattutto in quarto atto, dapprima con una accorata esecuzione della celeberrima “come un bel dì di maggio” e, quindi, con l’impetuoso duetto finale con Maddalena. Di rilievo il fraseggio, sempre sfumato e variegato, che, combinato con una presenza scenica disinvolta, assicura la credibilità del personaggio.

Con la recita alla quale abbiamo assistito, Chiara Isotton fa il suo debutto nel ruolo di Maddalena di Coigny. Il soprano possiede una vocalità ricca di armonici e dal timbro squisitamente lirico. I centri suonano pastosi, gli acuti sicuri e ben proiettati, i gravi naturali. In generale, rileva una linea duttile e ben sostenuta che consente di affrontare la scrittura con una certa disinvoltura. Vocalmente si sottolinea la toccante esecuzione della meravigliosa aria di terzo atto “La mamma morta”, impreziosita dalle belle mezzevoci, ma anche del già citato duetto finale con Chénier dove si deve riferire di un registro acuto luminoso. Una prova ben riuscita anche sotto l’aspetto interpretativo dove Isotton riesce a far percepire l’evoluzione del personaggio, dalla spensieratezza di primo atto, alla forza interiore e risolutezza degli atti successivi e, in particolare, del finale. Un debutto perfettamente riuscito e largamente premiato dagli applausi del pubblico al termine.

Ambrogio Maestri rientra nella produzione dopo aver cancellato le prime due recite per indisposizione. La vocalità del baritono si conferma ampia e robusta, ma specie nel primo atto, si percepisce qualche cautela di troppo nella salita verso il registro superiore. A partire dal terzo atto, tuttavia, la prestazione di Maestri decolla pienamente con una esecuzione ben assestata di “Nemico della patria”, giustamente premiata da un grande applauso a scena aperta. Sempre curato e sfumato il fraseggio, stilisticamente pertinente e condotto con una certa eleganza.

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Chiara Isotton e Ambrogio Maestri

Francesca Di Sauro veste i panni della mulatta Bersi con una vocalità pastosa dal seducente colore brunito. Ogni intervento è affrontato con musicalità ed omogeneità. Ben riuscito il contrasto tra primo e secondo atto grazie ad una spiccata proprietà di fraseggio e ad un certo gusto nel porgere le frasi. Aggraziata e spigliata la presenza scenica.

Un plauso incondizionato va rivolto ad Elena Zilio che ricama letteralmente il proprio intervento come Madelon in terzo atto. Poco importa se la linea vocale mostra l’inevitabile scorrere del tempo; ciò che non può lasciare indifferenti è come con poche frasi questa artista sappia creare un momento di pura emozione e di grande teatro dove nulla è lasciato al caso.

Josè Maria Lo Monaco è una Contessa di Coigny scenicamente ben tratteggiata e giustamente aristocratica mentre vocalmente risulta talvolta non perfettamente a fuoco.

Carlo Bosi, un incredibile, è un vero e proprio lusso e si rende protagonista di una prova di grande finezza esecutiva e di intelligenza interpretativa.

Ruben Amoretti riesce a sbalzare al meglio il ruolo di Roucher combinando freschezza vocale e credibilità sulla scena.

Note positive anche per il Mathieu di Giulio Mastrototaro, dalla vocalità robusta e dal fraseggio adeguatamente stentoreo ed imperioso.
Ben a fuoco il Fouquier Tinville di Adolfo Corrado.
Completano la locandina il sonoro Fléville di Sung-Hwan Damine Park, il graffiante Abate di Paolo Nevi, il corretto Schmidt e maestro di casa di Li Huanhong e il puntuale Dumas di Emidio Guidotti.

Dal podio, il Maestro Marco Armiliato assicura una buona tenuta complessiva del racconto musicale attraverso una lettura fluida e ben calibrata nella scelta dei tempi. Adeguato il contrasto tra le scene di massa e quelle riservate ai soliloqui dei protagonisti; apprezzabile anche la scelta delle dinamiche e delle sonorità nell’ambito di un affresco complessivo di sicuro impatto. I diversi quadri dell’opera si susseguono senza soluzione di continuità assicurando la giusta presa teatrale grazie, tra l’altro, all’apporto dell’Orchestra del Teatro alla Scala, qui in grande spolvero per precisione e compattezza. Adeguato l’equilibrio tra buca e palcoscenico anche se talvolta le voci risultano coperte dall’orchestra.

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Chiara Isotton e Francesca Di Sauro

Magnifica la prova del Coro del Teatro alla Scala guidato ottimamente dal Maestro Alberto Malazzi. Da sottolineare, in particolare, la ferocia accusatoria degli interventi previsti durante la scena del tribunale in terzo atto, in netto contrasto con l’idilliaco accompagnamento delle danze pastorali di primo e, ancora, con la frenesia rivoluzionaria di secondo.

Lo spettacolo, come dicevamo in apertura, ripropone la fortunata regia di Mario Martone, qui ripresa da Federica Stefani, che sceglie di raccontare la vicenda mantenendo una certa fedeltà all’ambientazione prevista dal libretto. Punto di forza dell’allestimento è la scena a cura di Margherita Palli, che, attraverso una grande piattaforma rotante, realizza i diversi cambi scena a vista con un innegabile colpo d’occhio. Molto bella, senza dubbio, l’ambientazione di primo atto, un ricco salotto settecentesco racchiuso da un fondale dorato con specchi dietro ai quali incombe spettrale “il terzo stato”.  A partire dall’atto successivo la scena di fa più essenziale e spenta rivelando un certo rigore didascalico rispetto al libretto. Curati minuziosamente i costumi, di ispirazione storica, di Ursula Patzak. Efficace il disegno luci a cura di Pasquale Mari, con predilezione per le tonalità calde. Ben riuscite le aggraziate e vaporose coreografie di primo atto, firmate da Daniela Schiavone.
Nel complesso il disegno registico dello spettacolo risulta efficace, nella sua linearità e mostra un buon lavoro tanto nei movimenti dei singoli personaggi quanto negli spostamenti delle masse che, qui, realizzano dei suggestivi tableau vivants.
La sala, pressoché esaurita in ogni ordine di posto, riserva un’accoglienza festosa a tutto il cast e direttore con punte di particolare entusiasmo per il terzetto dei protagonisti.

27 maggio 2023
A distanza di poco più di due settimane, siamo tornati in sala per assistere all’ultima recita di questa produzione.
 
Completamente rinnovato, rispetto alla data della quale abbiamo già riferito, il terzetto dei protagonisti. L’attenzione è tutta, come si può immaginare, per la presenza, nel ruolo del protagonista, di Jonas Kaufmann, il “tenorissimo” che torna in Scala a nove anni di distanza dalla sua ultima recita in una produzione operistica (una replica del Fidelio inaugurale della stagione 2014/2015 con la direzione del Maestro Daniel Barenboim). La presenza di Kaufmann, limitata a due, esauritissime, recite, suscita non poca curiosità vista, tra l’altro la cancellazione della sua partecipazione alla produzione di Chénier prevista nel febbraio scorso nell’ambito della Stagione 2023 dell’Opéra di Montecarlo. Sin dal suo ingresso in scena il tenore tedesco si conferma un artista dotato di fantasia esecutiva ed intelligenza interpretativa, oltre che di una elegante presenza scenica. La sua è una vocalità dal timbro brunito e dal colore mediterraneo, caratterizzata da una tecnica personalissima e unica, specie nella salita dai centri, sempre avvolgenti, al registro superiore, affrontato con generosità. Si apprezza, inoltre, una certa duttilità nell’emissione così come il peculiare ricorso alle mezze voci per creare suggestivi chiaroscuri. La parte di Chénier è di quelle che non perdonano per lunghezza e, soprattutto, per difficoltà. E allora poco conta se l’attacco di “ora soave” non è immacolato o se nel duetto finale si coglie qualche momento di affaticamento; la prova di Kaufmann è costellata di grandi momenti, come il trascinante “improvviso” di primo o l’eroico “sì, fui soldato” di terzo atto. Il tenore, inoltre, non mostra solo una certa pertinenza stilistica, ma riesce a plasmare il fraseggio musicale con abilità da grande artista e a dare vita al proprio personaggio che viene sbalzato con profondità e totale immedesimazione. Ci troviamo di fronte, in definitiva, ad un fuoriclasse che, dopo quasi trent’anni di carriera, affronta oggi il repertorio con maggiore prudenza esecutiva, ma, ad un contempo, con tale maturità ed introspezione da assicurarsi il favore incondizionato del pubblico che lo premia, specialmente al termine della recita, con ripetute acclamazioni alla ribalta.

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Jonas Kauffmann

Al suo fianco Sonya Yoncheva, già titolare del ruolo di Maddalena di Coigny durante le prime recite della produzione. Il soprano bulgaro colpisce, anche in questa occasione, per l’importanza del mezzo, di buon volume e dal caratteristico colore screziato. Della sua organizzazione vocale apprezziamo, in particolare, i centri, ben torniti e vibranti, e la buona proiezione del registro superiore. Se i gravi non risultano sempre sonori, con una generale tendenza a risolvere la scrittura sconfinando nel parlato, è altrettanto vero che questa soluzione può qui sembrare stilisticamente pertinente, specie se si evitano inutili forzature. Piuttosto curato l’accento, che ben sa rendere la maturazione del personaggio nel corso della vicenda. Elegante e fascinosa la presenza scenica. Una menzione particolare merita, senza dubbio, l’esecuzione de “La mamma morta” in terzo atto, dove Yoncheva sembra concentrare tutte le proprie forze regalando una performance vocalmente trascinante (compresa la singolare, quanto arguta chiusa in acuto, in luogo di quella prevista nel registro grave) ed interpretativamente intensa ed emozionante.

Autentico trionfatore della serata (e meritatamente aggiungiamo noi) è Amartuvshin Enkhbat, protagonista di una performance semplicemente perfetta. Vocalmente esibisce una linea di canto generosa, compatta e tecnicamente irreprensibile; il mezzo si espande, inoltre, con baldanzosa sicurezza, svettando per ricchezza di armonici nel registro superiore. Il baritono affronta la scrittura di Giordano con naturalezza e disinvoltura, senza mostrare segni di stanchezza o disomogeneità. Un particolare punto di attenzione è, poi, la splendida dizione di Enkhbat, nitidissima e perfetta, tanto da poter essere scambiato per madrelingua. Altrettanto di spicco è l’interprete per nobiltà d’accento e per la cura del fraseggio, composto e misurato anche nei momenti di maggiore concitazione. Una prova di grande incisività che tocca il proprio apice nella magnetica esecuzione dell’aria “Nemico della patria”, salutata da una interminabile ovazione (come non se ne udivano da tempo in Scala) accompagnata da richieste di bis.

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Jonas Kauffmann e Sonya Yoncheva

Tra i ruoli di fianco merita, nuovamente, una menzione speciale la splendida Madelon di Elena Zilio, la cui esibizione regala un momento di vero teatro attraverso una esecuzione lacerante e di straziante commozione del proprio intervento.
Ritroviamo la Bersi di Francesca di Sauro, dalla vocalità salda e compatta cui si uniscono la giusta varietà d’accento e una presenza scenica di indubbio fascino.

Un plauso speciale anche Giulio Mastrototaro che con il suo Mathieu offre un equilibrio perfetto tra nitore vocale ed efficacia interpretativa tanto nel fraseggio quanto nella spigliata presenza scenica.
Carlo Bosi, l’Incredibile, sfoggia una inossidabile sicurezza nella linea vocale e una spiccata sagacia nell’accento.
Si confermano, inoltre, le impressioni sostanzialmente positive per tutti gli altri interpreti presenti in locandina.

Sul podio ritroviamo il Maestro Marco Armiliato che imprime alla partitura una lettura tesa e drammatica senza dimenticare di valorizzare anche gli abbandoni più lirici. Una prova coinvolgente e convincente pur al netto di un certo eccesso di volume, specie nelle scene più concitate. Ottimo, come sempre, il suono che si leva dalla compagine orchestrale, cui riconosciamo una notevole compattezza.
Eccellente l’apporto del magnifico Coro del Teatro alla Scala diretto dal bravissimo Alberto Malazzi.

Si confermano, infine, le impressioni positive sullo spettacolo di Mario Martone che offre una lettura lineare e piuttosto didascalica del capolavoro di Giordano. Non passa di certo inosservata, in ogni caso, la cura minuziosa dei movimenti di ogni singolo interprete, così come delle masse.
Al termine della recita, il pubblico presente in sala riserva un trionfo al calor bianco per il terzetto dei protagonisti, oltre ad una accoglienza speciale per Elena Zilio.

Teatro alla Scala – Stagione 2022/23
ANDREA CHÉNIER
Dramma di ambiente storico in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano

Andrea Chénier Yusif Eyvazov Jonas Kaufmann (27.05)
Maddalena di Coigny Chiara Isotton Sonya Yoncheva (27.05)
Carlo Gérard Ambrogio Maestri Amartuvshin Enkhbat (27.05)
La mulatta Bersi Francesca Di Sauro
La Contessa di Coigny Josè Maria Lo Monaco
Madelon Elena Zilio
Roucher Ruben Amoretti
Fléville Sung-Hwan Damien Park
Fouquier Tinville Adolfo Corrado
Mathieu Giulio Mastrototaro
Un incredibile Carlo Bosi
L’Abate Paolo Nevi
Schmidt/ Il maestro di casa Li Huanhong
Dumas Emidio Guidotti 

Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Direttore Marco Armiliato
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone

Foto: Brescia Amisano Teatro alla Scala