L’italiana in Algeri – Teatro dell’Opera, Roma
L’italiana in Algeri, con la direzione di Sesto Quatrini e nell’allestimento di Maurizio Scaparro, va in scena al Teatro dell’Opera di Roma in un’edizione ispirata ad una nitidezza esotica e sognante nonché ad una comicità penetrante e raffinata. Un affresco fantasioso e leggiero, la cui incantevole serenità, che evoca talora atmosfere mozartiane, viene incrinata durante la prima rappresentazione dall’indisposizione di Paolo Bordogna, il quale, pur tentando eroicamente per ben due volte di proseguire la recita, è poi costretto a ritirarsi durante il primo atto per una sopraggiunta afonia. Dopo qualche minuto di smarrimento, in cui il pubblico in sala si è dimostrato assai dispiaciuto ma alquanto solidale, viene sostituito nel ruolo di Mustafà da Adolfo Corrado, che entra in scena con ancora indosso gli occhiali ma senza esitazioni e mostrando da subito una considerevole presenza scenica. Voce compatta e profonda, esordisce con forza e determinazione, con agilità inizialmente non troppo definite ma che divengono poi scandite e vigorose. Con un canto omogeneo e marcatamente accentato, delinea un sultano tanto autorevole quanto babbeo, in cui è proprio la superba magniloquenza a produrre una sagace comicità.
Da parte sua, il maestro Quatrini gestisce l’interruzione dell’opera con grande garbo e fermezza, qualità che ritroviamo del resto in tutta la sua lettura dell’opera. La misura e l’eleganza contraddistinguono infatti la direzione fin dall’overture, con una narrazione fluida e continua, il cui passo seconda e favorisce l’ilarità delle diverse situazioni e dove, se taluni crescendo si stagliano con uno slancio contenuto, i momenti cantabili vengono cesellati con grande delicatezza. Puntuale e costante è il rapporto con il palco, ben organizzati i pezzi di insieme, in particolare la parte iniziale del concertato del primo atto, e magnificamente integrati gli interventi del Coro, che sotto la guida di Ciro Visco, spicca in questa occasione per omogeneità e per l’accuratezza delle modulazioni dinamiche.

Nel ruolo dell’italiana è Chiara Amarù, che esibisce una vocalità morbida e potente e un canto puntuale e alquanto strutturato. La sua cavatina “Cruda sorte, amor tiranno” viene resa dapprima con toni drammatici e dolenti, per assumere poi un carattere energico e grintoso, dove i vocalizzi sono pieni, fluidi e ben definiti. Ogni passaggio viene sbalzato con rilievo e nei continui e disinvolti salti tra i registri, descrivendo un’Isabella fiera e giocosa, certamente figura brillante da opera buffa ma anche moderna ragazza scaltra e volitiva.
Dave Monaco è un Lindoro di grande freschezza, appassionato nelle arie e spiritoso nei dialoghi, con una linea articolata ed elegante e una dizione chiara e scolpita. Traccia con un ricco fraseggio e in tutta la sua ampiezza melodica “Languir per una bella”, risultando alquanto toccante, e rende la cabaletta con scandite agilità. Smagliante l’aria al secondo atto, mentre ogni recitativo viene accuratamente accentato e personalizzato.
Estesa e dal nobile stile l’Elvira di Jessica Ricci, che tra aulico e grottesco, ben rappresenta la moglie innamorata e ripudiata. Al suo seguito la Zulma di Maria Elena Pepi, omogenea e voluminosa e sempre di grande leggerezza ed ironia.
Ha un fraseggio vario e modulato il Taddeo di Misha Kiria, che con voce potente delinea un personaggio vivace dalla sfaccettata comicità. Definito efficacemente anche l’Haly di Alejo Alvarez Castillo, dall’emissione piena e robusta e dal canto legato ed espressivo.

La regia di Scaparro, ideata per il Teatro Massimo di Palermo, divenuta un classico di riferimento e ora validamente ripresa da Orlando Forioso, ha un impianto raffinato e sostanzialmente tradizionale nella suggestiva ambientazione storica di Emanuele Luzzati, con una scena fissa che si trasforma e che viene organizzata su più livelli. I pochi arredi di preziosa manifattura evocano la sontuosità moresca del serraglio, mentre lo sfondo è invece stilizzato e indefinito, con tratti simili a quelli dei pastelli a cera. Sfarzosi e coloratissimi, i costumi di Santuzza Calì, ripresi da Paola Casillo e Paola Tosti, ricostruiscono con fedeltà le fogge storiche sia arabe che europee; di grande varietà le luci di Vinicio Cheli, le quali, per lo più terse e delicate, e talora diversificate anche all’interno di una medesima scena, realizzano nitidi tableau da esotismo ottocentesco. I movimenti sono organizzati nei minimi dettagli, a produrre un armonico insieme, ora brulicante di vita ora fissato in immagini affascinanti. In questa cornice sospesa, con suggestioni da “Le mille e una notte”, il gruppo dei Pappataci abbigliati da moderni chef ci riportano alla nostra attualità che impazza per cuochi e per ricette, così come forse anche il finale, dove non avviene una vera e propria partenza, ma una sorta di riconciliazione generale tra i vari personaggi, e quindi anche tra Oriente e Occidente.
Ai numerosi applausi a scena aperta, soprattutto per Monaco e la Amarù, sono seguiti alla fine fragorosi consensi per l’intero spettacolo, con particolari apprezzamenti per il maestro Quatrini e per tutto lo staff di regia.
L’ITALIANA IN ALGERI
Musica Gioachino Rossini
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Angelo Anelli
Direttore Sesto Quatrini
Regia Maurizio Scaparro
Regia ripresa da Orlando Forioso
Maestro del Coro Ciro Visco
Scene Emanuele Luzzati
Costumi Santuzza Calì
Luci Vinicio Cheli
PERSONAGGI INTERPRETI
Mustafà Paolo Bordogna / Adolfo Corrado
Elvira Jessica Ricci
Zulma Maria Elena Pepi*
Haly Alejo Alvarez Castillo*
Lindoro Dave Monaco
Isabella Chiara Amarù
Taddeo Misha Kiria
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
*Dal progetto “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Foto: Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma