Spettacoli

The Rake’s Progress – Firenze, Teatro del Maggio

“I wish I…” dice per tre volte Tom Rakewell innescando una dopo l’altra le sue catastrofiche avventure. Dal desiderio inizia dunque la carriera del libertino: così potremmo parafrasare il mefistofelico Nick Shadow che si rivolge direttamente al pubblico alla fine della prima scena. Desiderio di aver soldi, di essere felice, di fare qualcosa di importante per l’umanità. Ma, come recita il proverbio, ad essere lastricata di buone intenzioni è proprio la strada dell’inferno e la storia infatti non va a finire bene.

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Matthew Swensen

Per Igor Stravinskij tutto era cominciato da una mostra a Chicago su William Hogarth: affascinato dalle incisioni a bronzo dalle otto tele dedicate alle storie del libertino, decide di darne la sua versione e di comporre appunto The Rake’s Progress. Ne parla con il suo vicino di casa, che era niente di meno che Aldous Huxley, il quale lo mette in contatto con Wystan Hugh Auden e Chester Kalman per la stesura del libretto. Nella vicenda del libertino settecentesco viene così inserito l’elemento diabolico e per certi aspetti faustiano, assente in Hogarth, e la collaborazione fra i due scrittori e il musicista porterà alla costruzione di un testo alquanto originale e di grande complessità e bellezza letteraria. L’opera, che debutta a Venezia nel 1951, segna l’ultima tappa del cosiddetto periodo neoclassico di Stravinskij, parabola creativa che era iniziata trent’anni prima con il balletto Pulcinella da musiche di Pergolesi. Il modello è quello della drammaturgia musicale del classicismo settecentesco, con numeri chiusi e recitativi secchi, con forme che imitano Mozart e Rossini, e con riferimenti alle origini del melodramma e alla tradizione barocca, ma anche alle opere di Verdi. Tutto il materiale viene riorganizzato in uno stile vario e coerente, dove la partitura si riflette nel libretto e sì, guarda all’antico, ma con distacco, dal punto di vista di un Novecento percorso da dissonanze e slittamenti di tonalità. Il gioco è dunque quello dell’imitazione ammirata ma condotto nella consapevolezza della diversità e della distanza. Per dirla con le parole dello stesso Auden:” Non essere più sostenuti dalla tradizione senza esserne consapevoli”.

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Sara Blanch

Ed un’analoga operazione compie Frederic Wake-Walker con una regia alquanto azzeccata, in grande sintonia con lo spirito dell’opera, che anche visivamente stabilisce una distanza con le forme del passato che rimangono tuttavia sempre presenti, come attestano le statue dei Prigioni nel finale al manicomio. Il sipario si apre quindi con un carosello di immagini da fumetto o da libro per bambini, collage di situazioni che evocano le marionette e soprattutto l’idea del teatro nel teatro. La prima scena poi ci porta in un clima arcadico, che ricorda per certi versi l’inizio dell’odissea di Barry Lindon, con proiezioni da boschetto inglese preromantico, poco accattivanti e per giunta interrotte da un guasto tecnico, ma che trasmettono validamente il senso di un mondo fragile e inconsistente che è sul punto di sgretolarsi. Durante il duetto d’amore compaiono anche la Venere pudica e l’Apollo del Belvedere, risultando nel contesto buffi e posticci, ma che anticipano la conclusione in cui Anne si finge Venus e Tom si crede Adonis. Le scene e i costumi di Anna Jones, le luci di Charlotte Burton ed i video di Ergo Phizmiz danno vita a quadri colorati e fantasiosi, in grande aderenza al testo e con alcune trovate, come quella del cinghiale, desunte direttamente da particolari sottolineature del libretto. La città ha lo skyline della Londra contemporanea, multiforme e descritta a più livelli, dove il bordello è un grande luna park con clienti e prostitute intruppati come militari del divertimento. Il paese dei balocchi diviene poi la noia dell’anonimato londinese nell’appartamento di Tom mentre una city grigia e fumosa da Mary Poppins accoglie Anne al suo arrivo. Per contrasto, in un gioco ironico che ancora una volta pone in evidenza la distanza, Baba la Turca oltra a non avere la barba, non ha neppure i capelli ed è trasportata inscatolata come se fosse un frigorifero in una processione di pacchi tipo Amazon. Efficace l’attualizzazione del cellulare nel bicchiere al posto della parrucca in faccia prevista dal libretto, gesto che disconnette Baba interrompendone le incandescenze; molto vivace l’asta nella casa in stile vittoriano, grande fiera delle vanità con antichità greco romane e rinascimentali ed i partecipanti simili a galline con abiti fatti di materiale da imballaggio. La scena si spoglia completamente al cimitero, perdendo le sue eccentricità e i suoi svolazzi, al pari della musica che si riduce progressivamente al suono secco del clavicembalo. Un cumulo di pietra sembra l’ingresso dell’Ade e la fossa e la pala ci ricordano la cisterna del Fidelio. Oscura ed essenziale anche l’ambientazione del manicomio, con Tom che si è anch’egli definitivamente spogliato dei panni del libertino, deriso dai matti e vegliato dai due Prigioni, emblemi della sua sofferenza e custodi degli inferi in una cornice da tragedia classica.

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Matthew Swensen e Adriana Di Paola

Estremamente raffinata la direzione di Daniele Gatti che guida con gesto elegante l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e che rende con trasparenza la complessa architettura ideata da Stravinskij, riproponendo con precisione la varietà dei ritmi e la trama delle citazioni. L’attacco con la fanfara degli ottoni riesce poco gagliardo, mentre è assai vivace il viaggio a Londra e la scena del bordello. Delicato e toccante la copia del mozartiano “Soave sia il vento” con l’assolo struggente della tromba in sordina e molto brillante l’episodio dell’asta. Scolpita con rigore la scena del cimitero, dove la morbidezza degli archi e l’impasto dei legni contrasta con la spigolosità degli ampi e ben eseguiti passaggi del solo clavicembalo. Di portata solenne e tragica infine il quadro del manicomio. La lettura si mantiene dunque costantemente analitica e la forma alquanto levigata, anche laddove avrebbe potuto un pochino “sporcarsi” per risultare così più beffarda o graffiante.

Ben armonizzato con l’orchestra ogni intervento del Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretto da Lorenzo Fratini. Davvero eccellente la prova al terzo atto con una dinamica vivace e scintillante nella scena in casa di Tom e poi molto screziato e compatto nel primo coro dei matti. Magnifico il solenne coro funebre, che esprime tragicamente il senso di pietas per il destino del protagonista.

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Vito Priante e Matthew Swensen

Bravi tutti i cantanti, con caratteristiche differenti e complementari.
Il Tom Rakewell di Matthew Swensen è un giovane paesano, ingenuo ed impacciato, che si lascia sedurre dai propri sogni e resta intrappolato negli ingranaggi della City. Timbro solare, con un registro tendente un po’ al baritonale, ha una linea nobile ed un fraseggio rotondo, pur con una moderata consistenza e qualche imprecisione nell’intonazione in acuto. E’ morbido e naif nella cavatina del bordello e all’inizio del secondo atto esprime l’insoddisfazione del personaggio con un monologo articolato e ricco di accenti. Ritorna lirico nel duetto con Anne mentre diventa cinico con Baba. Di intensa drammaticità nella scena al cimitero, in un continuo crescendo di pathos interpretativo. Ferisce infine il vederlo deriso dagli altri pazzi, ormai inerme nella propria follia ed animato soltanto dall’ossessione per l’amore di Venere. Sublime e straziante nel chiedere perdono.

Davvero magistrale l’interpretazione di Sara Blanch come Anne Truelove, raffigurata con freschezza e candore, ma anche con forza ed autentica passionalità. Nell’ampio cantabile “Quietly, night, O find him and caress” è dolcissima e dolente, omogenea nel registro acuto e sicura nella tenuta delle note, con vocalizzi delicati e dovizia di colori. Con elegante agilità delinea poi la cabaletta in una forma energica e luminosa. Struggente nell’arrivo a Londra e nel terzetto che segue con Tom e con Baba. Spiccato con quest’ultima il contrasto delle voci, nell’accordo delle diverse modalità espressive. Commuove il suo garbato contegno nel manicomio fino all’incantevole ninna nana, dove esprime con semplice nobiltà l’assolutezza dell’amore, quello incondizionato, che non teme la fragilità e dimentica le colpe.

Vito Priante incarna Nick Shadow in tutta la sua carica di ambiguità e di potenza creativa. La voce è ferma ed incisiva, il fraseggio duttile e scolpito, rifinito nei dettagli. In ogni intervento è brillante ma sinistro, comunque mellifluo e seducente; di terribile eloquenza nei recitativi al cimitero fino all’ aria conclusiva, dove esprime una vertigine che ci ricorda il Don Giovanni.

Adriana Di Paola conferisce notevole spessore ed originalità al personaggio di Baba the Turk. La voce è scura ed incisiva, il canto sicuro e assai modulato. E’ sostenuta ed enigmatica nel terzetto con Tom ed Anne ed intona con furore e nervosismo l’aria di sdegno, sbalzata con molte agilità e cromatismi. E’ istrionica ed accorata nel suo riapparire al terzo atto e ben descrive l’evoluzione del personaggio, per essere infine piena di tatto e di verità nel dialogo con Anne e in “I shall go back”.

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Matthew Swensen e Sara Blanch

Father Trulove è James Platt che ben rappresenta la solidità del personaggio, scavando ogni frase con una vocalità compatta e profonda.
Vivacissimo ed ordinato Sellem, il banditore d’asta interpretato da Christian Collia, con una linea alquanto modulata ed una recitazione esuberante.
Marie-Clude Chappuis è una Mother Goose farsesca e seducente, con buon volume ed accenti taglienti; melodico e garbato Matteo Torcasso nel ruolo del Guardiano del manicomio.

Applausi per tutti, per Blanch e Di Paola anche a scena aperta; calorosi consensi anche per Wake-Walker e collaboratori.
“Non ogni libertino è salvato/ alla fine da Amore e da Bellezza:/ non ad ogni uomo è data una Anne/ che al Dovere si sostituisca”: così canta Anne nel Vaudeville conclusivo. E la favola finisce con la morale, quando era iniziata con il desiderio. Come se la pienezza espressiva si potesse raggiungere soltanto nel rispetto dei limiti, nella misura: in musica e non solo.

THE RAKE’S PROGRESS

Opera in three acts

Fable by Wystan Hugh Auden and Chester Kallman Music by Igor Stravinskij

Maestro concertatore e direttore Daniele Gatti

Regia Frederic Wake-Walker

Scene e costumi Anna Jones

Luci Charlotte Burton

Video (Collage, Animazioni, Generazione di immagini AI, Illustrazioni) Ergo Phizmiz

Tom Rakewell, a Rake Matthew Swensen

Anne Trulove, his Betrothed Sara Blanch

Nick Shadow, a Devilish Manservant Vito Priante

Baba the Turk, a Bearded Lady Adriana Di Paola

Father Trulove, Anne’s Father James Platt

Sellem, an Auctioneer Christian Collia

Mother Goose, a Whore Marie-Claude Chappuis

Keeper of the Madhouse Matteo Torcaso

Voices Giovanni Mazzei, Constanza Antunica, Antonia Fino,

Nadia Pirazzini

Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino

Maestro del CoroLorenzo Fratini

Foto: Michele Monasta-Maggio Musicale Fiorentino