Spettacoli 2022

Il trovatore

Il trovatore inaugura a Firenze il “Festival d’Autunno” dedicato a Verdi. Cambia quindi da quest’anno la programmazione artistica del Maggio: alla storica manifestazione in primavera vengono infatti affiancati altri due festival, quello d’Autunno e quello di Carnevale. La nuova proposta, studiata da Alexander Pereira e Daniele Gatti, mira a rendere il capoluogo toscano la “Città dei Festival”, puntando sulla qualità e guardando al modello di Salisburgo.

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Riccardo Fassi

Il trovatore è opera del racconto e la regia di Cesari Lievi pone in primo piano la narrazione di quanto accade o è accaduto fuori scena. L’azione è collocata in uno spazio che vuole essere un non luogo, scenario postbellico con cenere e relitti. Lo sfondo si apre alla dimensione del ricordo e la memoria diviene delirio in sintonia con la musica. Il passato si sovrappone al presente e l’allucinazione tracima visivamente nella realtà. Appare dunque la madre di Azucena a rapire il piccolo Garcia e la corda degli sgherri sembra il filo di un destino tremendo ed ineludibile. I costumi di Luigi Perego, autore anche delle scenografie, non sono accattivanti ma in linea certamente con l’atmosfera desolata e le luci di Luigi Saccomandi si accordano alla tinta fosca e notturna del dramma. Di grande suggestione le aperture della Parte Prima e Seconda, sorta di tableau vivant in uno stile impressionista; valida inoltre l’idea di proiettare lo spartito durante la canzone di Manrico ed anche il cambio di colore sull’ultimo arioso di Azucena. Il gioco si complica però con il progredire dell’opera e quel che funzionava diviene dal chiostro in poi sempre più cervellotico e di difficile leggibilità. Compaiono le suore con strani movimenti, l’ambiente ricorda un manicomio abbandonato, i due fratellini giocano a sposarsi, spuntano i doppi dei personaggi e le zingare si moltiplicano come zombi. A questo si aggiunge una gestualità troppo statica dei protagonisti, che fisicamente interagiscono assai poco tra di loro. A soffrirne è soprattutto la musica, da cui siamo distratti da tutta questa macchina; musica che nei quadri finali pare quasi ostacolata nel dispiegarsi nella sua ricchezza.

Sul podio Zubin Metha, alla guida dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. L’attacco è incisivo con evidenza di corni e percussioni, il sostegno alle voci sicuro e garbato. La direzione nel suo complesso si distingue per misura, in una dinamica che armonizza le pause liriche e i tempi concitati. Efficace la resa dei ritmi spezzati e delle parti sincopate, come quella della varietà timbrica e delle ampie arcate melodiche. Vivace la canzone delle incudini e ben costruito il concertato finale della Parte Seconda; preziosa e vibrante la scena conclusiva.
Trascinanti gli interventi del Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretti da Lorenzo Fratini, realizzati con forza e traboccanti di suggestioni tanto quello degli armigeri quanto quello degli zingari. Soave il coro femminile presso Castellor e scintillante quello della Pira.

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Caterina Meldolesi e Maria Josè Siri

Di notevole pregio l’intero cast dei cantanti.
Fabio Sartori interpreta Manrico con una voce luminosa e consistente ed un fraseggio ampio e modellato. Intona con morbidezza il motivo del trovatore e si esprime drammaticamente nel duetto con Azucena. E’ eroico nella cabaletta della Pira, potente ma senza compiacimenti nell’esecuzione del celeberrimo do. Benché la recitazione sia piuttosto ingessata, Sartori rappresenta con efficacia l’irruenza e la malinconia che caratterizzano il personaggio.

Dolente e appassionata la Leonora di Maria Josè Siri, in un flusso sonoro corposo e matronale. E’ estatica in “Tacea la notte placida”, dove sfoggia con sicurezza un canto tornito a tutto tondo, in una straordinaria tenuta delle note. Esegue con agilità le cabalette, pur con qualche acuto non troppo aggraziato, ed è intensamente drammatica nel recitativo del “Miserere”, in una posa altera e tormentata.

Fin dalle sue prime battute Amartuvshin Enkhbat si presenta come un Conte di Luna dall’emissione voluminosa ed omogenea. Traccia con ampiezza ogni melodia, sbalzando le arie ed i recitativi in forme piene e rotonde. Si muove con disinvoltura in tutti i registri ed in ogni pezzo d’insieme mantiene costantemente un canto nitido e robusto, che talora però risulta poco drammatico. Ne “Il balen del suo sorriso” realizza un momento di incantata bellezza, imprimendo al cantabile un carattere maestoso venato di struggimento.

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Amartuvshin Enkhbat, Maria José Siri e Fabio Sartori

Ekaterina Semenchuck interpreta Azucena in tutta la sorprendente originalità del personaggio e ci svela, come ebbe a scrivere lo stesso Verdi, che la zingara è la vera protagonista dell’opera. In “Stride la vampa” tinteggia con bravura lo stato allucinatorio di una donna che è un’emarginata ferita e una feroce assassina, vivido ritratto di una mente sovvertita dalla violenza. Impiega abilmente le note gravi espandendole in cupe sonorità e sale verso l’alto con impennate lancinanti; scura e profonda ma capace di aperture terribilmente lucenti. La Semenchuck cesella la gitana nella sua complessità, mostrandocene sì l’orrore dell’assetata di vendetta ma anche la dolcezza della madre premurosa. E’ duttile ed assai espressiva nella scena dell’interrogatorio e nell’incanto sospeso di “Ai nostri monti…ritorneremo…”.

Intonando “All’erta! All’erta” con magnetica autorevolezza, Riccardo Fassi segna l’avvio del dramma nell’interpretazione di un ottimo Ferrando. Voce compatta e profonda, ha una limpida dizione ed un fraseggio fluido ed articolato. Sinistro affabulatore, delinea con chiarezza i temi della scena iniziale ed esalta il ritmo di mazurca di “Abbietta zingara, fosca vegliarda”; è poi un armigero brutale nella scena con la zingara, facendo risaltare una linea piena e flessuosa.

Caterina Meldolesi nella parte di Ines è melodica e sofferente, con eleganti recitativi dal tono accorato. Chiaro e ben impostato il Ruiz di Alfonso Zambuto; definiti con appropriatezza anche il Vecchio Zingaro di Davide Piva e il Messo di Joseph Dahdah.

Molto applauditi tutti i bravi cantanti, ovazioni per Metha. Commovente di quest’ultimo il tenersi indietro per far applaudire gli altri sulla ribalta.

IL TROVATORE

Dramma in quattro parti

Libretto di Salvatore Cammarano
(completato da Leone Emanuele Bardare)
Tratto da El Trovator, dramma di Antonío García Gutiérrez 

Musica di Giuseppe Verdi

Maestro concertatore e direttore Zubin Mehta

Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi

Manrico Fabio Sartori
Il Conte di Luna Amartuvshin Enkhbat
Leonora María José Siri
Azucena Ekaterina Semenchuk
Ferrando Riccardo Fassi
Ines Caterina Meldolesi
Ruiz Alfonso Zambuto
Un vecchio zingaro Davide Piva
Un messo Joseph Dahdah

Coro e Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino