Spettacoli

Rigoletto e la maledizione (Festival Verdi 2022)

Il Festival Verdi 2022 propone una interessante scommessa: “si può dare vita ad un’ opera con pochi elementi orchestrali e scenici?” La risposta è sì, scoprite tutto nella nostra recensione di “Rigoletto e la maledizione” in scena a Busseto. 

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Matteo Mezzaro, Irene Celle, Andrea Comelli, Gianluca Andreacchi e Andrea Galli

“Sono stato, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole” scriveva Giuseppe Verdi nel 1863: il legame fra il Maestro e la sua terra è innegabile e percorre tutta la sua vita. Dalle Roncole, frazione che ancora oggi conserva la casa natale del musicista, in soli cinque chilometri ci si ritrova a Busseto, cittadina dove Verdi ha vissuto, e dove ha incontrato il generoso mecenatismo di Antonio Barezzi. Ancora oggi si può visitare l’abitazione che ha accolto per anni il compositore e la sua prima moglie, Margherita, figlia di Barezzi e si può spesso sentire risuonare l’immortale musica verdiana nel piccolo teatro cittadino. Una storia di amore e odio fra il compositore ed i bussetani, amati perché parte della sua vita e della sua formazione di uomo e artista, odiati per i pettegolezzi spesso troppo invadenti sulla sua vita privata. La costruzione del teatro bussetano è esempio di questo rapporto tormentato: Verdi offre ben 10000 lire per la sua costruzione, che ritiene, però, fin da subito inutile tanto da non presenziare alla serata inaugurale nel 1868. Un teatro di soli 307 posti, derivato dal riadattamento del teatro di corte della duecentesca Rocca Pallavicino, un gioiello italiano progettato dall’architetto Pier Luigi Montecchini, ornato dalle sculture di Giovanni Dupré, dalle pitture di Giuseppe Baisi, Alessandro Malpeli e Gioacchino Levi. Il 15 agosto del 1868, l’inaugurazione è con Rigoletto e oggi, per il Festival Verdi 2022, Rigoletto torna in una versione particolarissima. La sfida, proposta al Maestro concertatore e Direttore Alessandro Palumbo, è quella, vinta, di ricreare l’opera riarrangiandola e proponendola con l’ensemble cameristico “Victor Hugo”. Al pianoforte, suonato con grande bravura e sensibilità, il Maestro Gianluca Ascheri accompagnato da sei fiati e da un contrabbasso altrettanto incisivi. Le sonorità dei singoli strumenti si fondono perfettamente tra loro creando un amalgama che consente di valorizzare ogni particolare, ogni colore del capolavoro verdiano: in altre parole una scelta che non fa rimpiangere l’assenza dei complessi orchestrali. Una prassi già in voga all’epoca di Verdi, quando, spesso, le opere erano suonate nei salotti, con pochi strumenti. Una abitudine antica che ha permesso, grazie anche alle dimensioni ridotte della sala, una sorta di lente di ingrandimento capace di dare risalto ad ogni singola nota e personaggio. Le emozioni, i sentimenti, i tormenti, vengono dunque amplificati e divengono così più spaventosi nella loro autenticità. La solitudine e il dolore di Rigoletto suonano ancora più cupi, la lussuria del Duca più graffiante, l’amore di Gilda più puro.

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Luca Bruno e Marina Ogii

Mirabile l’attenzione filologica dell’operazione che ha permesso di mantenere ben a fuoco i colori originali dell’opera verdiana proposta qui in versione integrale, senza alcun taglio e in una esecuzione che ripulisce la partitura dalle numerose licenze dovute alla tradizione esecutiva. A questa bella e riuscita operazione musicale, corrisponde l’altrettanto attenta regia di Manuel Renga che riesce a porre al centro sempre i protagonisti del dramma e una scena con pochi elementi (a cura di Aurelio Colombo) ma non per questo inefficace. Uno spettacolo che si regge su tante intuizioni creative e sulla capacità di sfruttare pienamente tutto lo spazio della sala, con i palchi di proscenio e la stessa platea inglobate nello spettacolo  si crea così un Rigoletto connotato da una dimensione intima e viscerale che coinvolge  il pubblico presente. Apprezzabile il rimando alla Madonna col Bambino di Giulio Romano conservata agli Uffizi, che compare riprodotta su una grande tenda, un collegamento ideale con Mantova e la sua cultura pittorica. Particolarmente ricchi i costumi storici di Pierluigi Samaritani che conferiscono ad ogni personaggio una sua consolidata veste teatrale, fissandone in qualche modo la maschera. Sempre corrette e adatte le luci di Giorgio Morelli. Uno spettacolo quindi che riesce pienamente nella sfida proposta, ricreare un’opera nella sua totalità, senza perderne i colori, una dimostrazione di come una ricerca musicale attenta e non banale  possa dare vita ad una grande opera anche con mezzi limitati. 

Ottimo anche il versante musicale dello spettacolo.

Il Maestro Alessandro Palumbo respira letteralmente con gli strumenti in buca e con le voci degli interpreti in palcoscenico. Ottima la sua prova, costruita con un gesto attentissimo nello sbalzare le sfumature delle singole frasi musicali e che sa creare un equilibrio perfetto tra le dinamiche e nelle scelte dei tempi, nel massimo rispetto delle caratteristiche vocali dei singoli interpreti. Una prestazione che raggiunge il cuore dello spettatore mostrando questo grande capolavoro nella sua vera essenza: una tragica riflessione sulla società e sulla crudeltà e commiserazione della natura umana. 

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Matteo Mezzaro

A Luca Bruno spetta il compito di vestire i panni di Rigoletto, ruolo di grande complessità interpretativa, oltre che vocale. Il baritono cosentino possiede un mezzo di buon volume e dal caratteristico colore chiaro; con buona musicalità riesce a superare l’ardua scrittura siglando una apprezzabile prova vocale. Si avvertono, tuttavia, la mancanza di una maggiore raffinatezza espressiva e di un più meditato scavo nell’accento, caratteristiche, queste, che concorrono inevitabilmente alla completa riuscita del personaggio del buffone nato dal genio verdiano.

Matteo Mezzaro dona al Duca di Mantova la sfrontata sicurezza di una linea vocale squillante e ben proiettata verso l’acuto. Il mezzo, compatto ed omogeneo tra i registri, mostra una ragguardevole morbidezza, particolarmente evidente nella zona di passaggio, impreziosita da un buon controllo del canto sul fiato. Particolarmente suggestiva è la grande scena di apertura di secondo atto, dove Mezzaro, grazie alla pienezza di un canto naturalmente espressivo, disegna una oasi di romantico abbandono che, dopo l’aria, si accende dei toni di una palpitante cabaletta (nella cui ripetizione, tra l’altro, vengono inserite delle riuscitissime variazioni). Merita, inoltre, una menzione speciale anche la celeberrima “La donna è mobile” la cui esuberante esecuzione viene impreziosita da pertinenti variazioni. Una voce, quella di Mezzaro, da tenere d’occhio e che, con una ulteriore maturazione del ruolo, potrebbe riservare interessanti sorprese. 

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Marina Ogii, Chiara Notarnicola

Chiara Notarnicola tratteggia il personaggio di Gilda con una linea vocale dal colore cristallino e buona intonazione. Si fa apprezzare per la rotondità nei centri e lo squillo del registro superiore. Vinta l’emozione del duetto con Rigoletto in primo atto, offre una prova in crescendo che culmina in un secondo atto che commuove per il malinconico disincanto infuso nel racconto al padre dell’onta subita. Particolarmente riuscita, tra l’altro, la puntatura sovracuta in chiusura della celebre invettiva (uno dei pochissimi arbitrii concesso nell’alveo di un’esecuzione che, come ricordato poc’anzi, si mantiene sempre filologica). Convincente del pari è poi l’ultimo atto dove, grazie alla varietà del fraseggio, il soprano rende alla perfezione quel ventaglio emotivo che palpita nel cuore di Gilda, sino al tragico epilogo finale.

Molto bene lo Sparafucile di Christian Barone, in possesso di un mezzo suggestivo per velluto e colore notturno.

Particolarmente curato, inoltre, è l’accento, sempre elegante e mai grottesco. Allo stesso Barone, inoltre, è affidato il breve inciso pronunciato da un usciere nel finale secondo.

Un plauso speciale per l’ottima prova di Marina Ogii, qui impegnata nel duplice ruolo di Giovanna e Maddalena. Il mezzosoprano, la cui linea, ampia e sonora, risulta sempre duttile e naturale nel registro di petto, riesce nel non facile compito di creare il giusto contrasto tra i due personaggi da lei interpretati. La sua Giovanna sa essere docile, ma anche furbescamente opportunista, mentre Maddalena viene dipinta come una donna sensuale e procace  pur senza forzature di certa tradizione. 

Semplicemente perfetto è il trio dei cortigiani, Gianluca Andreacchi, Eugenio Maria Degiacomi e Andrea Galli, rispettivamente Marullo, il Conte di Ceprano e Borsa, cui viene affidato il difficile compito di sostituire il coro. Vocalmente ben allineati per il piacevole intrecciarsi dei rispettivi timbri e colori caratteristici, risultano scenicamente godibilissimi, tanto sul palcoscenico, quanto nelle loro fugaci apparizioni nei palchi di proscenio.

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Matteo Mezzaro e Marina Ogii

Tonante come si conviene il Conte di Monterone di Andrea Comelli, particolarmente incisivo bello scagliare la maledizione contro i suoi aguzzini durante la festa di primo atto alla corte del Duca.

Ben a fuoco vocalmente e scenicamente aggraziata è poi Irene Celle, una aristocratica Contessa di Ceprano, ma anche un ingenuo e spaesato paggio di corte.

Al termine dello spettacolo il pubblico accorso numeroso, tributa un successo vivissimo a tutta la compagnia e al direttore. A prendere gli applausi sul palcoscenico è chiamato, meritatamente, anche l’ensemble “Victor Hugo”, la cui splendida prestazione è senza dubbio uno degli elementi fondamentali dell’ottima riuscita dello spettacolo.

E mentre sono in corso le ultime repliche delle produzioni operistiche e gli ultimi concerti in cartellone è tempo di bilanci: un Festival Verdi che ha vinto la sua scommessa offrendo al pubblico una edizione di grande livello e qualità!

RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi

Il Duca di Mantova Matteo Mezzaro
Rigoletto Luca Bruno
Gilda Chiara Notarnicola
Sparafucile Christian Barone
Maddalena Marina Ogii
Giovanna Marina Ogii
il Conte di Monterone Andrea Comelli
Marullo Gianluca Andreacchi
Matteo Borsa Andrea Galli
il Conte di Ceprano Eugenio Maria Degiacomi
La Contessa di Ceprano e un paggio Irene Celle

Ensemble Victor Hugo 

Flauto Yuri Guccione, Oboe Carlo Ambrosoli,  Clarinetto Gioia Pasquetto, Vittoria Ecclesia, Corno Luca Medioli , Fagotto Camilla Di Pilato, Contrabbasso Matteo Zabadneh, Pianoforte Gianluca Ascheri

Maestro Concertatore e Direttore Alessandro Palumbo
Progetto e Regia Manuel Renga
Scene Aurelio Colombo
Costumi Teatro Regio di Parma

Luci Giorgio Morelli
Movimenti scenici Giorgio Azzone

Foto: Roberto Ricci