Spettacoli

Thaïs

Alla Scala di Milano dopo ottanta anni torna Thaïs di Jules Massenet

Taide è una figura archetipica, più che storica, che attraversa i secoli: nella letteratura antica una meretrice, peccatrice redenta poi nel mondo Cristiano medievale. La troviamo così nei drammi medievali di Roswitha di Gandersheim e Marbodo di Rennes, nella Leggenda Aurea di Jacopo d Varazze, e nell’omonimo romanzo, edito nel 1890 di Anatole France. Proprio da quest’ultimo, Jules Massenet prende ispirazione per la sua Thaïs, su libretto di Louis Gallet, opera andata in scena per la prima volta nel 1894 a Parigi. 

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Marina Rebeka, Giovanni Sala e Lucas Meachem

Alla Scala di Milano, dopo ottanta anni, l’opera viene finalmente presentata nelle lingua originale francese, e con una ambientazione che abbandona, allontanandosi dal libretto, il previsto orientalismo della Tebaide e di Alessandria d’Egitto. La storia di amore, peccato e redenzione che vede protagonisti Thaïs ed il monaco Athanaël, si svolge ora principalmente in una bizzarra casa di piacere, a metà strada fra un padiglione di un luna park e un teatro da avanspettacolo. Lo spaccato del palazzo, lascia vedere le tante camere abitate da donne e uomini con provocanti costumi; sulla facciata campeggia il famoso incipit della Divina Commedia, a ricordare il percorso doppio di redenzione ma anche perdizione che l’opera racconta. La scena (a cura di Pierre André Weitz) risulta nel complesso sempre piacevole da guardare e ricca (bella l’estetica da cartoon anni quaranta usata soprattutto per evocare l’inferno) meno riuscito il convento trasformato in un anonimo muro grigio interrotto da una piccolissima chiesa, evidente segno della poca fede del convertitore Athanaël, soggiogato dalla bella Thaïs. La regia di Olivier Py sa muovere in modo attento i numerosi personaggi, risultando sempre disinvolta, crea scene corali ma mai confuse. Fondamentali, nella resa complessiva, le bellissime luci di Bertrand Killy spesso virate al rosso, simbolo della passione ma anche della dannazione infernale. In un’opera con ampie pagine orchestrali, non potevano mancare degli episodi coreutici, curati da Ivo Bauchiero: a balli dionisiaci si alternato delicati passi a due; splendido e delicatissimo quello sulle note della “méditation” eseguito dai bravissimi Emanuela Montanari e Massimo Garon. Volutamente esagerati e spesso sopra le righe i costumi, riuscitissimi, a cura di Pierre André Weitz, luccicanti e spesso succinti, con una estetica che strizza l’occhio al mondo del cabaret Belle Époque. 

Di altissimo livello il versante musicale dello spettacolo.

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Federica Guida

Il Maestro Lorenzo Viotti, dal podio, offre una lettura trascinante e per certi versi indimenticabile del capolavoro di Massenet. Il direttore coglie le molteplici sfaccettature di questa partitura bilanciando sapientemente i momenti prettamente romantici e di maggiore abbandono sentimentale, con altri che ne mettono in evidenza soprattutto lo stile decadente ed ammiccante, in alcuni passaggi, a suggestioni di gusto orientaleggiante. Dalla sua bacchetta sembra prendere vita una cascata di cromatismi e dinamiche sonore che ben sottolinea il contrasto tra gli episodi di maggiore introspezione dei protagonisti e le scene corali. Si percepisce inoltre una perfetta simbiosi con gli artisti sul palcoscenico, per i quali Viotti riesce a disegnare un tappeto sonoro delicatissimo ed emozionante.

Ad un gesto direttoriale di tale bellezza, l’Orchestra del Teatro alla Scala risponde con entusiasmo e grande maestria. Il suono sale dalla buca e si diffonde nella sala del Piermarini con grande politezza e precisione, non si percepisce sbavatura alcuna, quanto, piuttosto, una costante compattezza ed omogeneità tra le diverse sezioni. Risultano del pari suggestive, quindi, il momento della celeberrima “méditation” di Athanaël e i ballabili, pervasi da vitalità ed energia impressionanti.

Nella compagnia di canto trionfa Marina Rebeka nel ruolo del titolo. Il soprano lettone possiede una vocalità preziosissima, dal bel colore lirico, una linea musicale e sempre ben appoggiata. La totale padronanza tecnica, unitamente all’impressionante facilità con cui sale in zona acuta e sopracuta, ove si espande cristallina, consentono all’artista di espugnare con disinvoltura le innumerevoli difficoltà di cui è costellata la parte. Da notare, inoltre, la bellezza madreperlacea dei filati e dei pianissimi, in cui la Rebeka sa infondere una grande espressività, per rappresentare al meglio la progressiva trasfigurazione psicologica di Thaïs. Di grande raffinatezza è poi l’interprete grazie ad un fraseggio sempre curato e una presenza scenica composta ed elegante.

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Marina Rebeka

Ben tratteggiato anche l’Athanaël di Lucas Meachem, dotato di una voce dal timbro lirico e pastoso. La linea vocale suona sempre omogenea e ben tornita, vibrante nello stile declamato, controllata e solida in acuto. Sempre partecipe l’interprete, grazie ad un fraseggio accorato e all’impiego di accenti sfumati e ricchi di chiaroscuri. Il baritono mostra, inoltre, una buona padronanza scenica, cui si aggiunge un’adeguata credibilità nel trasmettere al pubblico le inquietudini e i turbamenti del cenobita.

Ottima impressione per il Nicias di Giovanni Sala, artista dotato di un mezzo caratterizzato da un bel colore lirico, pregevole intonazione e freschezza vocale. Apprezzabile il fraseggio, ben sfumato e sempre partecipe, con una menzione particolare per la scena dell’addio a Thaïs in secondo atto. Scenicamente risulta, inoltre, irresistibile, nelle vesti di un filosofo libertino, irriverente ed insinuante, senza mai scadere in forzature grottesche.

Semplicemente perfette Caterina Sala e Anna-Doris Capitelli, rispettivamente Crobyle e Myrtale, vocalmente disinvolte e scenicamente ancor di più, cui va il plauso di risultare perfettamente amalgamate tra loro.

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Marina Rebeka e Lucas Meachem

Perfettamente riuscita la Charmeuse (qui abbigliata come uno scheletro uscito dai quadri di Rivera) di Federica Guida che, grazie ad una vocalità fresca e duttile, sale con facilità sino alle vette del pentagramma sfoggiando, altresì, un ottimo dominio della coloratura e del canto fiorito.

Insung Sim conferisce al personaggio di Palémon la giusta solennità d’accento e ad una vocalità ben tornita.

Valentina Pluzhnikova, dalle fila dell’Accademia del Teatro alla Scala, risulta ben a fuoco nel ruolo di Albine, personaggio ben tratteggiato tanto vocalmente quanto scenicamente.

Ben amalgamati per colore vocale i cenobiti interpretati da Luigi Albani, Renis Hyka, Michele Mauro, Andrea Semeraro, Massimo Pagano e Giorgio Valerio, qui abbigliati come senza tetto stremati dalla fame.

Completa la locandina, nel ruolo di un servitore, Jorge Martínez (allievo dell’Accademia della Scala), efficace e puntuale vocalmente e scenicamente.

Encomiabile e di assoluto rilievo, per compattezza sonora e varietà di colori, la prestazione del Coro del Teatro alla Scala di Milano, diretto magistralmente dal Maestro Alberto Malazzi.

Serata da ricordare, coronata, al termine, da un meritato successo incandescente, un autentico trionfo per Marina Rebeka e Lorenzo Viotti.

Lo spettacolo rimarrà in cartellone sino al 2 marzo.

THAÏS
Comédie lyrique in tre atti
Libretto di Louis Gallet
Musica di Jules Massenet

Thaïs Marina Rebeka
Athanaël Lucas Meachem
Nicias Giovanni Sala
Crobyle Caterina Sala
Myrtale Anna-Doris Capitelli
Albine Valentina Pluzhnikova
Charmeuse Federica Guida
Palémon Insung Sim
Un servitore Jorge Martínez
Cenobiti
Luigi Albani
Renis Hyka
Michele Mauro
Andrea Semeraro
Massimo Pagano
Giorgio Valerio
Ballerini solisti
Emanuela Montanari
Massimo Garon

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Olivier Py
Scene e costumi Pierre André Weitz
Luci Bertrand Killy
Coreografia Ivo Bauchiero

FOTO BRESCIA/AMISANO TEATRO ALLA SCALA