Spettacoli 2021

Macbeth

OperaLibera vi propone un piccolo resoconto sulla serata del sette dicembre: l’inaugurazione della stagione scaligera seguita insieme agli amici del loggione, in attesa della recensione più dettagliata relativa ad una replica, di prossima pubblicazione. 

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Anna Netrebko e Luca Salsi

“Quando in un teatro il loggione è vuoto è segno che la città non ha cervello” scriveva il critico musicale Bruno Barilli, nella serata della prima della Scala invece, per fortuna, il loggione era pienissimo. La gioia di ritrovarsi, in una Scala stracolma di fiori, firmati da Armani, e di emozione, come sempre accade in questa data, che è unica ed imperdibile per tutti i melomani. Scriviamo qui qualche emozione a caldo, un bilancio provvisorio in attesa di una futura recensione più ponderata.

Partiamo dalla tanto fischiata regia di Davide Livermore: un progetto sicuramente complesso, costoso, che vince per la capacità di essere veloce, di muoversi continuamente, un vortice visivo che sicuramente non annoia ed ha la giusta dose di spettacolarità. Per contro possiamo dire che spiacevole era la sensazione di già visto, una sorta di bigino di Livermore, le tende di Tosca, i video delle nuvole di Elisabetta Regina di Inghilterra, quasi autocitazioni. Oltre a questo un terzo atto scenicamente troppo vuoto e costumi non sempre azzeccati hanno provocato una sorta di ribellione del loggione alla fine della rappresentazione. Forse il punto non è non apprezzare il regista ma la voglia di vedere qualcosa di veramente nuovo. Ci riserviamo comunque di parlarne meglio dopo avere visto lo spettacolo con una completa visibilità. 

Sul podio Riccardo Chailly infonde alla partitura (viene eseguita la versione 1865 con l’aggiunta dell’aria finale di Macbeth dalla versione 1847) una lettura meditata e analitica, tesa a scavare nelle più sottili pieghe della contorta psicologia dei personaggi, soprattutto la coppia di protagonisti. Ecco allora la scelta di adottare tempi per lo più ampi e distesi, ricchi di dinamiche sonore e molteplici sfumature. Nei concertati, e nei momenti corali, il maestro milanese riesce poi a costruire atmosfere solenni e sinistre grazie alla brillantezza e politezza soprattutto degli ottoni e dei timpani.  Una prova di assoluto rilievo, capace di cogliere alla perfezione le intenzioni dell’autore e che ben sottolinea tutta la modernità di questo sommo capolavoro.

In grande spolvero è parsa l’Orchestra del Teatro alla Scala, sempre compatta, sonora, equilibrata e vibrante. Di assoluto rilievo la precisione negli attacchi e la morbidezza del suono. 

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Francesco Meli

Nel ruolo del protagonista Luca Salsi che affascina per la grandiosa capacità di scandagliare l’accento ed immergersi nelle profondità del fraseggio tratteggiando un personaggio allucinato, psicologicamente succube della brama di potere e dell’ingombrante presenza della Lady verso la quale prova una morbosa attrazione fisica. Il suo è un Macbeth interiorizzato, che sa piegare la vocalità per ottenere anche suoni opachi ed asprigni, e che rende, con un opportuno utilizzo del declamato, un’immagine meno regale ma più vicina al truculento magnate industriale concepito da Livermore. 

Grande era l’attesa per la Lady di Anna Netrebko, beniamina indiscussa del teatro meneghino. Il grande soprano ha siglato una prova in crescendo che, soprattutto nella scena iniziale, ha evidenziato qualche tensione sulla linea di canto, probabilmente dovuta all’emozione della serata, come da lei in seguito dichiarato e che le è costato qualche dissenso dal severo loggione. E se è vero che qua e là si coglie qualche forzatura (ad esempio sui toni gravi), è altrettanto palese come il mezzo sia sempre importante per volume ed espansione e come l’interprete sia sempre partecipe ed efficace dando vita ad alcuni momenti davvero di grande levatura sia nel canto di conversazione che nei cantabili. Riuscitissima la scena del sonnambulismo nella quale la Netrebko ha cesellato il fraseggio con alcuni pianissimi davvero suggestivi. Siamo sicuri che nel corso delle repliche, superata l’emozione della prima (siamo pur sempre alla prima delle prime), la sua Lady Macbeth non possa che conquistare maggiore sicurezza tornando a confermare le doti vocali e interpretative per le quali il soprano è famoso in tutto il mondo.

Eccezionale Ildar Abdrazakov nel ruolo di Banco: il mezzo opulento, dal bel colore vellutato, omogeneo e compatto ha tratteggiato un personaggio di grande classe ed eleganza sia nel fraseggio che sulla scena.

Bravissimo anche Francesco Meli come Macduff. La sua grande aria è affrontata con grande dolcezza e morbidezza, un colore vocale luminoso e un canto sfumato che hanno reso perfettamente il carattere appassionato del personaggio.

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Francesco Meli e Iván Ayón Rivas

Molto bene ha fatto anche Iván Ayón Rivas come Malcom; timbro solare, temperamento latino e ottima musicalità sono le caratteristiche di questo giovane artista “da tenere d’occhio”.

Splendida la dama di Chiara Isotton, svettante, tra l’altro, durante il concertato di primo atto.

Ottimo anche Andrea Pellegrini, un medico, sia sotto il profilo vocale che quello interpretativo. 

Di assoluto livello il magnifico Coro del Teatro alla Scala di Milano, diretto dal Maestro Alberto Malazzi, con lodi incondizionate per le sezioni femminili qui chiamate ad impersonare le famose streghe shakespeariane. 

Successo caloroso al termine, con punte di entusiasmo soprattutto per Meli e Abdrazakov,  qualche isolato dissenso per la Netrebko e sonore contestazioni per il team creativo.

Una produzione senza dubbio di grande livello per questa apertura di stagione alla Scala “ritrovata” che forse ha tradito un po’ troppa emozione. Da rivedere nel corso delle repliche.

Milano 15 dicembre 2021

A pochi giorni dalla prima, siamo tornati per assistere ad una replica della produzione inaugurale della stagione d’opera e balletto del Teatro alla Scala di Milano. 

Una realtà distopica, come dichiarato dallo stesso regista Davide Livermore, è quella in cui affonda le proprie radici questo Macbeth verdiano. La vicenda è ambientata in una città dominata da grattacieli, uno skyline disturbante, fantascientifico e severo che Macbeth e la sua consorte osservano dalle grandi vetrate del proprio attico. in questa non definita città particolarmente belli ed interessanti risultano i rimandi architettonici ai progetti del milanese Piero Portaluppi, architetto dotato di una notevole vena creativa e utopica e attivo proprio nella capitale lombarda nella prima metà del Novecento. Uno spettacolo di critica sociale che vede da una parte le grandi ricchezze di pochi e dall’altra il popolo fatto di emarginati, profughi abbandonati alla miseria, una massa uniformata che vive dietro una grata, che evoca i muri di confinamento tristemente noti ai giorni nostri. In questo contesto non c’è spazio per la magia: le streghe sono donne qualunque, segretarie che si agitano nevrotiche, impiegate e operaie dell’ azienda di Macbeth; allo stesso modo le presenze fantastiche sono semplici ragazzi di strada che popolano una foresta oscura. Il progetto registico, da un punto di vista visivo (scene di Giò Forma) affascina ma non aggiunge nulla di nuovo a quanto già firmato da Livermore. Più riusciti i primi due atti, con numerosi cambi di scena a vista: il palcoscenico si solleva per mostrare più volte l’azione suddivisa su due piani, un imponente ascensore compare spessissimo per portare i protagonisti dall’alto verso il basso (metafora della scalata al potere), quinte mobili si alzano e si abbassano per creare i diversi ambienti. Più vuoti e anonimi sono il terzo e quarto atto, salvati tuttavia dalla bella scena del sonnambulismo con la Lady che vaneggia su di un enorme cornicione sospeso a mezz’aria. Alla fine non vedremo muoversi la foresta di Birnam, quanto piuttosto i led sul fondale mostreranno allo spettatore una città in fiamme, un novello undici settembre; Macduff pugnalato Macbeth lo richiuderà in ascensore e speditolo all’inferno, fingerà di liberare il popolo che anzi rimarrà, negli ultimi istanti, bloccato dietro alla stessa  grata che già lo confinava dal resto del mondo. Il lavoro sulle masse e sui singoli è encomiabile al netto di qualche ingenuità, come la morte di Macbeth, a scena sostanzialmente vuota, dispiace inoltre constare che lo spettacolo funzioni meglio in alcune scene (sonnambulismo su tutte) nella controparte televisiva. Gradevoli i costumi, contemporanei, di Gianluca Falaschi, specie per quanto riguarda Macbeth e i nobili della corte, splendidi quelli della Lady (che Anna Netrebko sa indossare con grande eleganza), non molto riusciti nella loro ordinarietà quelli dei mimi. Bellissime, quanto perfette, le luci a cura di Antonio Castro

Curatissimi  e suggestivi i video, proiettati a ciclo continuo sulla pretendi fondo, a cura di D-Wok:  scene che evocano i videogiochi e le produzioni cinematografiche di Nolan. 

Qualche perplessità suscitano le coreografie a cura di Daniel Ezralow, non sempre intelligibili e, pur con la innegabile bravura dei danzatori, non sempre gradevoli alla vista. Una menzione particolare va riservata, ad ogni buon conto, ad un passaggio nei ballabili di terzo atto, dove una luciferina Netrebko si scatena tra i danzatori con divertita ironia.

L’esecuzione musicale, complessivamente già di ottimo livello la sera della prima, appare ancora più rifinita, complice forse la superata emozione del debutto, e raggiunge, in questa serata, risultati eccellenti.

A partire dal podio. Nella lettura del Maestro Chailly si coglie una molteplicità infinita di colori, una palette variegata di sfumature dove vengono sbalzate alla perfezione le inquietudini e i turbamenti di tutti i personaggi della vicenda. Il ritmo sembra ora leggermente più brillante ma è la spasmodica attenzione anche al più piccolo dettaglio sonoro a sconvolgere l’ascoltatore. I concertati risultano grandiosi, così come sinistre sono le scene delle streghe; nei ballabili, poi, riscontriamo quel respiro arioso che profuma di grand-Opéra. La lettura del direttore milanese è particolarmente ispirata nel delineare i due grandi protagonisti della vicenda: la costruzione melodica nelle arie, dei duetti e soprattutto dei recitativi e del canto di conversazione appare accuratissima nel disegnare una narrazione che vede nella bramosia del potere e nel tormento interiore i propri elementi distintivi.

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Ildar Abdrazakov, Anna Netrebko e Luca Salsi

L’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano mostra una simbiosi totale con il gesto ampio e sicuro di Chailly; il suono è reso con massima politezza, esemplare precisione, ragguardevole morbidezza ed omogeneità tra le varie sezioni. 

Luca Salsi veste i panni di Macbeth siglando una prova di assoluto rilievo. Il baritono scava ogni parola del testo, ogni accento della partitura con il giusto colore e una quantità impressionante di sfumature. Numerosi i passaggi dove questa sua lettura, frutto di uno studio approfondito con il direttore, piega la musicalità della linea al confine del declamato, con risultati espressivi di sicuro effetto. L’interprete, nel disegnare un potente dei giorni nostri, uomo d’affari senza scrupoli, è dunque sempre convincente e partecipe. Del pari importante è la resa vocale del personaggio grazie al bel colore schiettamente lirico del mezzo, alla rotondità della linea e alla sua compattezza tra i registri. 

Nel ruolo della Lady, Anna Netrebko appare in forma decisamente migliore rispetto a quanto ascoltato alla prima. Il celebre soprano russo sfoggia grande intelligenza e sensibilità interpretativa tratteggiando così una donna volitiva e grintosa, che si muove sinuosa e provocante sul palco, polo di irresistibile attrazione fisica e psicologica per il marito. Vocalmente dimostra un perfetto dominio del canto di conversazione e del fraseggio, cui infonde sempre la giusta intensità. La linea vocale affascina ancora una volta per il seducente colore brunito e la facilità con cui si espande compatta in sala; l’aria di ingresso viene affrontata con cipiglio fiero e baldanzoso, la cabaletta seguente risolta egregiamente nonostante le agilità abbiano perso la fluidità di un tempo. In secondo atto, dopo un’energica esecuzione de “La luce langue”,  al netto di qualche forzatura del registro grave, nota caratteristica delle prestazioni di questa fase della carriera, impressiona nel successivo brindisi, soprattutto per la contrapposizione delle due strofe, la prima più aggraziata, la seconda tra i denti, come espressione di un’ansia a stento trattenuta. Di assoluto rilievo, infine, la scena del sonnambulismo, grazie ad un suggestivo gioco di chiaroscuri.

Magnifico il Banco di Ildar Abdrazakov, artista di eleganza sopraffina, dotato di un mezzo prezioso, ben saldo e dal bel colore scuro. La linea vocale suona sempre omogenea e duttile, piegandosi facilmente alle esigenze della partitura. L’aria “Come dal ciel precipita” rimane uno dei vertici esecutivi della serata. 

Sugli scudi il Macduff di Francesco Meli, che ancora una volta si fa apprezzare il bellissimo timbro e il colore luminoso del mezzo. La grande aria di quarto atto viene affrontata con grande eleganza espressiva, un ventaglio riuscitissimo di colori e sfumature che conferiscono a questa pagina una grande nobiltà, un raggio di luce in un mondo di miseria e morte. 

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Luca Salsi

Efficace anche il Malcom Iván Ayón Rivas; il giovane tenore mette in evidenza un mezzo squillante e musicale, oltre ad un fraseggio sempre intenso e ben rifinito.

Splendida Chiara Isotton, la dama di Lady Macbeth, sonora, raffinata e sempre a fuoco; da segnalare come in questa produzione, la salita al do acutissimo nel concertato di fine primo atto venga demandato dalla Lady alla sua dama, cimento che la Isotton supera magnificamente.

Ben a fuoco anche Andrea Pellegrini, un medico, convincente tanto vocalmente quanto scenicamente.

Puntuali ed efficaci Leonardo Galeazzi, un domestico, Alberto Rota, un sicario, Costantino Finucci, un araldo e prima apparizione, Bianca Casertano ed Eva Blu Zenoni, entrambi allievi della Scuola del Coro di Voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni, nei ruoli, rispettivamente, di seconda e terza apparizione. 

Degno di ogni lode è il Coro del Teatro alla Scala di Milano, diretto dal Maestro Alberto Malazzi, magnifico nel famoso “Patria oppressa” di quarto atto dove riesce a creare bellissimi, quanto variegati, colori. Una menzione speciale per le bravissime sezioni femminili, nei panni delle streghe, vero e proprio personaggio protagonista del dramma, ineccepibili sotto il profilo vocale e anche, e soprattutto, scenico.

Al termine della rappresentazione la sala del Piermarini, pressoché esaurita, accoglie con lunghi applausi liberatori tutta la compagnia di canto e riserva meritate ovazioni al quartetto dei protagonisti e direttore.


MACBETH
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Macbeth Luca Salsi
Banco Ildar Abdrazakov
Lady Macbeth Anna Netrebko
Dama di Lady Macbeth Chiara Isotton
Macduff Francesco Meli
Malcom Iván Ayón Rivas
Medico Andrea Pellegrini
Domestico Leonardo Galeazzi
Sicario Guillermo Bussolini
1° Apparizione Costantino Finucci
2° Apparizione Bianca Casertano
3° Apparizione Rebecca Luoni

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Coreografie Daniel Ezralow
Nuovo allestimento Teatro alla Scala

FOTO BRESCIA AMISANO TEATRO ALLA SCALA