Il lago dei cigni – Teatro alla Scala, Milano
Nel trentesimo anniversario della morte di Rudolf Nureyev la Scala prosegue con il programma in sua memoria, mettendo in scena il Lago dei cigni coreografato dal grande ballerino nel 1984. L’ultima rappresentazione scaligera risale al 2017 e allora fu scelta la versione “classica” di Marius Petipa e Lev Ivanov, sulla quale il tartaro volante, dopo aver interpretato più volte il ruolo di Siegfried, rielabora la propria versione, carica di riferimenti autobiografici e risvolti psicologici.
L’interpretazione data da Nureyev al balletto classico per eccellenza si caratterizza per una spiccata centralità delle figure maschili, non solo a livello coreografico, ma anche drammaturgico e oggettivamente lascia un po’ in ombra la figura di Odette/Odile.
Il balletto ha come motore il contrasto tra il principe Siegfried, ormai giunto alla maturità e chiamato ai suoi doveri sociali e il precettore Wolfgang di cui il mago Rothbart è l’alter-ego nella dimensione della fiaba del lago, sognata dal principe. Siegfried (un passionale e tecnicamente ineccepibile Claudio Coviello) invitato a scegliere una sposa dalla madre e dal precettore, in un momento di fuga dalla realtà e dal suo destino, in una dimensione tra sogno e viaggio fantastico, incontra Odette di cui si innamora. Odette (Martina Arduino) è la fanciulla cigno che simboleggia l’amore genuino e passionale, inarrivabile, al quale si contrapporrà l’amore imposto, socialmente inquadrato dall’istituto del matrimonio, presentato a Siegfried da Wolfgang durante il ricevimento a corte e incarnato da Odile. Nella versione di Nureyev soprattutto Odile diventa più uno strumento nelle mani di Wolfgang che una figura dalla volontà autonoma e i veri protagonisti del dramma restano Siegfried e Wolfgang/Rothbart, quest’ultimo interpretato da un meraviglioso Christian Fagetti che ha saputo, pur nel limitato spazio coreografico dato alla sua figura, portare in scena un personaggio di grande complessità psicologica espressa da una tecnica, non solo eccezionale, ma profondamente interiorizzata e piegata all’interpretazione.
L’intesa scenica tra i due ballerini si esprime al meglio nel memorabile passo a due maschile che rappresenta il contrasto tra il giovane e l’adulto, senza nascondere, da parte di quest’ultimo, un interesse che va al di là dei doveri professionali. Altrettanto felice il passo a tre che vede coinvolti i due uomini e Odette strappata dalle braccia di Siegfried dal perfido Rothbart, geloso più del principe che di lei. Siegfried, unico eroe della tragedia, rimasto solo, muore in scena e chiude il dramma.
Nureyev, pur avendo apportato profonde modifiche alla versione di Petipa e Ivanov, non ne tradisce tuttavia la classicità e giustamente conserva le intuizioni più felici: le danze di carattere a corte (bravissimi gli interpreti, impossibile qui ricordarli tutte, ma forse abbiamo apprezzato soprattutto la Ciarda con Maria Celeste Losa), la sublime interpretazione del corpo di ballo femminile nell’Atto bianco, con il castone prezioso dei cignetti (un plauso alla sapienza tecnica del quartetto Di Clemente, Granata, Giubelli, Gerani), l’uso delle braccia che passano dal lirico all’ironico, rievocando le movenze dei cigni in natura e su tutto la celeberrima musica di Čajkovskij, diretta da Koen Kessels.
Le ormai classiche scene di Frigerio, nella loro semplicità, sostengono il contrasto tra il rigore della corte (scale, colonne, arredi) e la libertà degli spazi naturali, così come sono ormai da repertorio i costumi di Franca Squarciapino, tra cui il bellissimo manto del mago Rothbart.
FOTO: Brescia Amisano – Teatro alla Scala