Danza

Smith Leon Lightfoot Valastro – Teatro alla Scala, Milano

Come ogni anno la Scala dedica una serata ai coreografi contemporanei, assortendo un trittico composto da due balletti più brevi e danzati da un numero circoscritto di interpreti e un pezzo inedito decisamente più lungo che vede in scena trentaquattro danzatori. 

Venerdì 9 a Milano piove e la pioggia irrompe sonoramente anche sul palco del Piermarini nel primo pezzo di Garrett Smith, Reveal (2015), in un’atmosfera cupa percorsa da lame di luce e fumo (Michael Mazzola). La pioggia man mano si dirada e lascia spazio alla bellissima musica di Philip Glass, unendo un incalzante e drammatico movimento dal Double Concerto for Violin, Cello and Orchestra a una lunga e via via più dolce e quasi ipnotica variazione sul tema dal Tirol Concerto for Piano and Orchestra. Su questa musica danzano, spesso sganciandosi dal ritmo, dodici ballerini, uomini e donne che si confrontano, in particolare nei passi a due, a specchio, come a dire che in ciascuno c’è sempre un po’ dell’alterità, dell’opposto. Sotto la pioggia, la scena si apre sull’assolo di Agnese di Clemente, in bianco, unica danzatrice in punta di tutta la serata, alla quale si contrapporrà in nero, in mezze, Linda Giubelli. Lunghi ed estesi lift, sia femminili che maschili, si alternano a movimenti rapidi, concitati, spezzati e dal baricentro basso. Particolare attenzione è dedicata al lavoro di mani e volti, dalla forte espressività. Molto scenografici i lunghi mantelli ideati da Monica Guerra, come delle ali che nei salti fanno spiccare il volo ai danzatori; mantelli che assumono un significato simbolico, di nascondimento e rivelazione dei corpi, contrapponendo nudo e vestito, abito maschile e femminile. Uno di questi mantelli diventa enorme e da esso i ballerini escono, come fosse un sipario. Il significato generale del balletto potrebbe non essere così chiaro, ma come in tutte le arti astratte le spiegazioni sono superflue quando l’estetica parla da sola e la musica di Glass, che sembra non finire mai, in un crescendo strumentale, ci fa sperare che anche il balletto non finisca mai.

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Tutt’altra atmosfera, tutt’altro stile in Skew-Whiff di Sol León e Paul Lightfoot sulla celeberrima Gazza ladra di Rossini. Una coreografia del 1996, all’avanguardia ancora oggi, perfettamente inserita tra la prima e l’ultima coreografia, spezzando, anche dal punto di vista musicale, la sequenza e sdrammatizzando con ironia. Un pezzo interpretato da quattro ballerini, tre uomini che la fanno apparentemente da padroni e una donna. Skew-Whiff significa disequilibrio e difatti il suo linguaggio gioca su elementi antiestetici, con gesti volgari e grotteschi che contrastano con la bellezza dei corpi e la perfezione dei movimenti sostenuti da una tecnica sublime. Sulla musica di Rossini si innesta una danza tribale, impersonata da figure selvagge, che possono anche urtare per il biancore della pelle, accentuato dagli effetti di controluce (Tom Bevoort) e un’espressività quasi scimmiesca.  

Due terzi della serata sono occupati dall’inedito Memento di Simone Valastro, un balletto dai toni epici e ancestrali, che tratta della nascita e della morte. Il nutrito corpo di ballo emerge da una sorta di rampa che dalla buca dell’orchestra porta gli interpreti sul palco e risalendo, come un’onda, li riporta nel buio, con un senso circolare che rievoca il ciclo della vita. Una scenografia molto plastica, sulla quale i danzatori ballano, corrono, scivolano. Passi a due (citiamo per forza espressiva Nicola Del Freo e Benedetta Montefiore) si alternano a parti corali, che possono rievocare le lotte operaie, la forza del gruppo, nell’anonimato dei costumi, dai toni neutri e dal taglio morbido (Thomas Mika, autore anche della scenografia), simili ad abiti da lavoro. Il corpo di ballo si esprime nella solidarietà dei movimenti come quando afferra una ballerina che si lancia tra le braccia dei compagni, corre in cerchio o danza in perfetta sincronia. Il ritmo è serrato, traspare una fatica che è anche il senso della vita. È in questa coralità che la creazione di Valastro trova il suo momento più felice e riuscito e ha trovato nel corpo di ballo il suo miglior interprete. La musica vede uniti diversi brani, ben sette, di Max Richter e David Lang. Del primo sono scelte composizioni dal tono epico, adagi creati da morbidi e ampi violoncelli o dal pianoforte, altri andanti scanditi e ritmati dagli acuti dei violini, senza rinunciare all’elettronica. Di Lang sono contrapposti brani dalla cadenza sincopata che non mancano di armonia, momenti di sole percussioni, fino al drammatico e cantato, Simple Song#3.

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Reveal, Teatro alla Scala, Milano

Come un capolavoro d’arte astratta, la danza contemporanea esprime tutta la sua bellezza senza lasciarsi spiegare, trasmette senso e significato senza narrare, risulta perfetta pur non avvalendosi di un linguaggio codificato, che tuttavia necessita di una tecnica impeccabile. Il corpo di ballo della Scala come sempre conferma la sua straordinaria duttilità, capacità ricettiva e interpretativa di diversi linguaggi.