Spettacoli

La bohème – Festival Puccini, Torre del Lago

“Non voglio vedere queste scene”. Così il maestro Alberto Veronesi dal podio del Gran Teatro all’aperto di Torre del Lago si abbassa sugli occhi la benda con cui era entrato ed inizia a dirigere – non so se nel caso specifico sia questo il termine più appropriato- La bohème di Giacomo Puccini. Inutile girarci intorno: questo purtroppo è accaduto all’inaugurazione del 69° Festival Puccini, alla vigilia delle celebrazioni per il centenario della morte, e non possiamo nascondere che lo sketch abbia incrinato l’atmosfera festosa dell’evento. Incrinato sì, ma non direi che abbia del tutto compromesso la riuscita dello spettacolo, che ha dimostrato numerosi aspetti di interesse, tanto sul versante registico quanto su quello vocale.
Confesso che il sottoscritto, come altri presenti, ha fatto fatica a comprendere quello che stava accadendo e che sulle prime ha addirittura pensato ad una trovata facente parte dell’allestimento. Del resto, nel turbamento generale sono trascorsi alcuni secondi prima che piovessero i “buu” e i “vai a casa” contro il direttore bendato (ad onor del vero, vi è stata anche una minoranza che ha applaudito, il che sconcerta al pari della benda).

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In linea di massima, la direzione di Veronesi è stata formalmente corretta, piuttosto ordinata ed ha mantenuto costantemente una moderata vivacità; tuttavia è stata del tutto priva di accenti e sottolineature e non ci ha mostrato quindi una chiara e distinta intenzione espressiva. L’orchestra, oltre a trovarsi in pieno imbarazzo, ha fatto fatica a seguire il direttore e non ha quindi potuto esprimere al meglio un suono compatto e screziato. In difficoltà anche i cantanti ed il coro, talora fuori tempo, senza sostegno alcuno dalla buca orchestrale. Alle melodie non è stato dato sufficiente respiro, cosicché sono state depotenziate nella loro forza espressiva, mentre non vi è stata alcuna cura degli impasti orchestrali. Il terzo atto è stato quello meglio riuscito, con qualche effetto in pianissimo ed una venatura un poco più lirica. In definitiva, se il gesto di Veronesi era rivolto a salvaguardare l’integrità dello spirito pucciniano – o ciò che si presume sia tale-, si deve constatare che la scarsa cura del dettaglio e l’assenza di colori hanno determinato un’esecuzione ben lontana dal rendere giustizia al genio del Maestro. Ed è forse questo il peggiore tradimento.

Il cast dei cantanti si è dimostrato di notevole qualità, ben assortito nella diversità dei timbri e decisamente affiatato, pur con alcuni fuori tempo e sfasamenti in parte determinati dalla direzione o comunque da quest’ultima non recuperati.

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Oreste Cosimo e Claudia Pavone

Claudia Pavone ha di Mimì la freschezza e la malizia, creando un personaggio schietto e dolcissimo, più consapevole di sé che ingenuo. La vocalità è pulita e trasparente, di ampia estensione e con salite in acuto di estrema naturalezza. Delicata e sognante al suo apparire sulla scena e per l’intero primo quadro, acquista poi spessore drammatico nel terzo, con un duetto di accurato nitore ma con un trasporto emotivo non adeguatamente sostenuto dalla direzione. Molto intensa infine nella scena conclusiva, con sapienti modulazioni d’intensità.

Oreste Cosimo è un Rodolfo appassionato e vigoroso, poeta e sognatore ma traboccante di vitalità giovanile. Il canto è esteso e voluminoso, brillante ed assai modulato, con slanci verso l’alto di controllata intensità. Dispiega con ampiezza le melodie e conferisce una notevole carica drammatica agli ultimi due quadri.

Di pregevole carattere la Musetta di Federica Guida, voce omogenea e di estrema agilità. Luminosa e seducente da Momus, realizza un vero e proprio show tra accesa passionalità e gustoso divertimento. La ritroviamo poi in apertura della scena successiva con un magnifico ed accuratissimo vocalizzo e, verso il finale, imprime via via al canto rotondo una forma più dolente e malinconica.

Delineata con dovizia di sfumature la complessità di Marcello interpretato da Alessandro. Luongo. Il personaggio oscilla tra la solarità del creativo ed il furore del geloso, con un fraseggio articolato e una dizione scandita. E’ scintillante in coppia con Rodolfo, profondo e tormentato nell’amore con Musetta.

Agile e dinamico lo Schaunard di Sergio Bologna, con una linea melodica definita ed un gesto brillante e ritmato.

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Federica Guida

La spensierata leggerezza della compagnia, appropriatamente riflessa nelle differenti vocalità, è ottimamente controbilanciata da Antonio di Matteo nel ruolo di Colline. Profondo e compatto, con un fraseggio sbalzato ed una ferma tenuta delle note, ben esprime il carattere riflessivo e disincantato del giovane filosofo. Intensamente commovente la sua “Vecchia zimarra”, che con un tono accorato e mestissimo fa da preludio al requiem finale.

Di grande solidità e sicura impostazione anche Francesco Auriemma chiamato all’ultimo momento ad interpretare Benoit oltre al Sergente dei doganieri. Gustosa la scenetta del padrone di casa, resa con un canto ordinato e solare.

Ironico l’Alcindoro di Alessandro Ceccarini, caratterizzato con limpidezza in figura di macchietta; preciso e melodico il Parpignol di Marco Montagna, delineato principalmente in chiave surreale ed evanescente.

Pur con qualche incertezza e scollatura, dovuta alle già menzionate difficoltà, risultano comunque incisivi ed amalgamati gli interventi del Coro del Festival Puccini diretto da Roberto Ardigò; delicati e briosi poi quelli delle Voci Bianche sotto la guida di Viviana Apicella.

La trasposizione operata da Christophe Gayral nella primavera del Sessantotto francese risulta calzante, in una lettura che, pur con alcune forzature, non si scontra con la musica e con il testo, come in tanti allestimenti a cui purtroppo ci ha da tempo abituato il teatro d’opera. Le scene di Christhophe Ouvrad, direttamente attaccate da Veronesi, per quanto non troppo accattivanti, costituiscono validamente lo sfondo dei ben orchestrati movimenti di scena, con gli efficaci costumi di Tiziano Musetti che riprendono la moda giovanile degli anni sessanta mentre si rifanno a fogge precedenti per le figure che incarnano la cultura tradizionalista.

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Oreste Cosimo e Claudia Pavone

La scapigliatura-bohème fu ricerca di nuove forme di espressione e rottura con gli schemi precostituiti, analogamente quindi alla contestazione, che tuttavia alla sensibilità di noi contemporanei appare più caratterizzata politicamente in una maniera più forte. Gayral rappresenta l’esuberanza giovanile e il fermento estetico-politico, congiunto al desiderio di anticonformismo ed autenticità, come la perdita della giovinezza e il venir meno della propulsione vitale e ideale, nonché il conflitto tra tradizione e innovazione. La soffitta somiglia ad un garage o ad un loft, con atmosfere da collettivo o centro sociale. Se la struttura si perde nella vastità del palco di Torre del Lago, è però vero che questo luogo di giovinezza e di ingenuità appare suggestivamente luminoso nel buio, sorta di antro lucente immerso nella notte. Ben costruito tutto il quadro da Momus, con la soffitta diviene ruotando il caffè attorno al quale vengono organizzati i movimenti coreografici. Qui si accentua in modo paradossale e farsesco la contrapposizione tra i sessantottini-bohemien e l’establishment parigino che sfila in cortei con striscioni che inneggiano ai valori tradizionali: Dio, patria e famiglia ed appunto tradizione, in lingua francese. Nel mezzo a questo roteare sta la fantasia dei bambini e il numero variopinto di Musetta, spettacolo unitario e ben ritmato. L’ambientazione del terzo atto risulta invece un po’ pesante e poco in sintonia con il resto. La cornice del teatro con i velluti vermigli poco infatti valorizza il lirismo del duetto tra Rodolfo e Mimì e non ci offre altri incisivi elementi del Sessantotto e neppure di quel mondo di stampo vittoriano che era prima sfilato. Nel quadro conclusivo si ritorna nell’ambiente iniziale che nel frattempo si è ulteriormente arricchito di manifesti con pugni chiusi, macchie di sangue, richiami ecologisti e perfino croci stilizzate, il tutto in bianco e rosso. Particolarmente riuscita la morte di Mimì, dove si pone in evidenza come il lutto sia vissuto coralmente: tutti i personaggi condividono il dolore per la giovinezza che tramonta e per gli ideali che sembrano naufragare, prendendo congedo dalla contestazione come dalla bohème. La soluzione di Gayral compie qui un passo ulteriore, con qualche nostra perplessità, in quanto la trovata indebolisce la forza tragica della scena. Tutti i protagonisti infatti assieme ad un nutrito numero di giovani parigini avanzano verso la ribalta, portando cartelli con le immagini che tappezzavano la soffitta. Infine, compare al disopra una scritta in rosso “Look up”, con l’ invito quindi a svegliarsi, probabilmente dal torpore antidealistico seguito al naufragio degli entusiasmi e di cui qui è plastica immagine la morte di Mimì.

Alla fine fragorosi applausi per tutti i cantanti, in particolare per Pavone, Cosimo e Guida; contestato fin dalla ripresa dopo l’intervallo Veronesi, anche se con qualche debole applauso; molto applaudito Gayral che però si è preso anche lui qualche sparuta contestazione. Dispiace che il regista, che a stragrande maggioranza è risultato apprezzato, abbia alzato il pugno emulando il gesto sui manifesti. Un atto che acuisce la conflittualità ed una caduta di stile che sarebbe stato elegante evitare, soprattutto da parte di chi da questa tempestosa serata è uscito da vincitore morale.
Inoltre, nelle numerose chiamate al proscenio, oltre alla contentezza, si notava tra gli artisti anche un discreto nervosismo, con certuni che non prendevano cert’altri per la mano.
Questo episodio ci ricorda prepotentemente come il teatro musicale sia opera corale e totale e ci mostra in tutta la sua bellezza e fragilità il valore imprescindibile dell’armonica collaborazione. E al riguardo la migliore immagine ci viene offerta proprio dalla musica, con il suo continuo e faticoso lavoro per accordare le note e i differenti strumenti.

Segnaliamo, per completezza d’informazione, che, a seguito di un comunicato della Fondazione, le prossime recite saranno dirette da Manlio Benzi. E quindi un caloroso in bocca al lupo per il proseguimento di stagione. Viva il Festival Puccini.

LA BOHEME

scene liriche in quattro quadri
su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
musica di Giacomo Puccini

Regia  Christophe Gayral

Maestro concertatore e direttore d’orchestra  Alberto Veronesi

Scene  Christophe Ouvrad
Costumi  Tiziano Musetti da un’idea di Edoardo Russo
Disegno luci  Peter Van Praet

Mimì  Claudia Pavone
Rodolfo  Oreste Cosimo
Musetta  Federica Guida
Marcello  Alessandro Luongo
Schaunard  Sergio Bologna
Colline  Antonio di Matteo
Benoit  Francesco Auriemma
Alcindoro  Alessandro Ceccarini
Parpignol  Marco Montagna
Sergente dei doganieri  Francesco Auriemma

Orchestra e Coro del Festival Puccini
Maestro del Coro Roberto Ardigò

Coro delle Voci bianche  del Festival Puccini
Maestro del Coro Voci Bianche  Viviana Apicella

Assistente costumista  Linda Muraro
Assistenti alla regia  Angelo Smimmo e Lorenzo Massimo Mucci

Stagista – assistente regia  Henrique Pimentel
Movimenti coreografici  Angelo Smimmo

Sound designer  Luca Bimbi

Foto:     Giorgio Andreuccetti e Lorenzo Montanelli