Spettacoli

Il Tamerlano – Teatro Municipale, Piacenza

Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet [RV703], di Antonio Vivaldi, incanta il Teatro Municipale di Piacenza. 

Un florilegio, così potremmo definire questa opera di Vivaldi, o più correttamente un pastiche. Il prete rosso scelse infatti per questo componimento del 1735, su libretto di Agostino Piovene, arie sue e di altri compositori dell’epoca come Giacomelli, Hasse e Broschi

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Federico Fiorio

Per questo allestimento, Stefano Monti, che cura regia scene e luci, sceglie una ambientazione atemporale: uno spazio creato da quinte di finta roccia. L’elemento attorno a cui gira tutta la produzione, è una grande pedana, inizialmente presente sulla scena come un monolite che, spostandosi nello spazio, diventa progressivamente palco praticabile, reggia, barca, altalena. La nostra immaginazione è guidata in queste continue mutazioni dai contenuti video astratti e affascinanti di Cristina Ducci. Uno spettacolo minimalista ma dall’ innegabile atmosfera, creata con un buon lavoro di regia e sempre sostenuto dalle luci evocative di Eva Bruno. Notevoli i costumi che declinano fantasie “latex”, quasi sadomaso, con toni cupi e borchie metalliche, ben correlate al pesante trucco nero di tutti gli artisti. I cantanti sono costantemente affiancati sulla scena da un loro alter ego che esprime con l’arte coreutica quanto suggerisce la musica. Una buona idea per riempire uno spazio altrimenti vuoto anche se talvolta le coreografie pensate da Marisa Ragazzo e Omid Ighani risultano un po’ goffe ed eccessivamente ingombranti.  

Il versante musicale dello spettacolo vede trionfare la direzione del Maestro Ottavio Dantone, impegnato anche al fortepiano. Da profondo conoscitore del repertorio, Dantone riesce nella non facile impresa di conferire a questo pastiche musicale una certa unitarietà stilistica e drammaturgica. La lettura di questo direttore appare non meno che mirabile per la scelta dei tempi e dei ritmi di ogni singolo numero musicale, e, soprattutto, per la capacità di cesellare ogni recitativo, qui valorizzato in tutto il suo potenziale espressivo.

Sugli scudi anche la prestazione offerta dalla Accademia Bizantina, in evidente simbiosi con il quadro musicale disegnato dal gesto di Dantone. Ne scaturisce un affresco sonoro in cui si muovono, in perfetto equilibrio, sonorità delicate e cangianti, rispettose e mai prevaricanti rispetto alle voci presenti sul palcoscenico.

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Delphine Galou e Filippo Mineccia

Spicca, nel ruolo del protagonista, Filippo Mineccia grazie, tra l’altro, ad una presenza scenica atletica e spavalda, qual si conviene ad un conquistatore. Vocalmente esibisce un mezzo ampio, dall’emissione sicura, soprattutto nei centri che suonano morbidi e ben torniti. Particolarmente di gusto sono, poi, le variazioni, stilisticamente appropriate e coerenti. Meticolosa la cura dell’accento, sempre incisivo e coinvolgente.

Bravissimo è Federico Forio, nei panni di Andronico. La vocalità del sopranista colpisce per musicalità e duttilità, ma anche per la compattezza esibita a tutte le altezze. Di livello il controllo del canto fiorito. Scenicamente aggraziato, rende con la giusta partecipazione il dissidio interiore del personaggio, combattuto tra l’amore per Asteria e la fedeltà verso il sovrano Tamerlano verso cui mostra, tra l’altro, un bel contrasto timbrico.

Notevole il Bajazet di Bruno Taddia, cui va riconosciuto il merito, in primis, di una spiccata sensibilità nel pennellare i recitativi che vengono scolpiti con inusitata sensibilità e proprietà d’accento. Alla disinvoltura scenica si unisce la bellezza del timbro vellutato e del colore serotonino della linea vocale.

Il ruolo di Asteria è sostenuto da Delphine Galou che si conferma squisita interprete di questo repertorio. Vocalista di innegabile eleganza, sconta gli effetti di una lieve indisposizione, annunciata prima dell’inizio spettacolo, che, pur non inficiando in misura significativa l’efficacia di una prova stilisticamente appropriata, mette in evidenza una certa prudenza esecutiva e la percezione di un volume più contenuto.

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Bruno Taddia

Giuseppina Bridelli, piacentina doc, è semplicemente perfetta come Idaspe. La linea vocale è melodiosa e acrobatica, l’emissione fresca e ben timbrata. Avvolgente l’accento, sfumato e stilisticamente pertinente. Godibile e ben tratteggiato il personaggio sulla scena.

Completa il cast la Irene di Shakèd Bar, in possesso di un mezzo ben proiettato ed omogeneo. Se la prima aria, “Qual guerriero in campo armato”, lascia intendere qualche lieve tensione nelle acrobatiche salite verso i vertici dello spartito, l’esecuzione della successiva “Sposa son disprezzata”, affrontata con pregevole morbidezza e ottimo controllo del canto sul fiato, è di alto rango. Sempre coinvolgente l’accento, così da rendere al meglio la caratterizzazione del personaggio.

Grandi festeggiamenti finali per gli artisti alla ribalta che concedono al folto pubblico presente in sala un piccolo fuori programma: la ripetizione del finale dell’opera. Finalmente un sold-out anche per un titolo di nicchia, l’ennesima mossa vincente di un teatro che si conferma fra i più interessanti del nord Italia.

Marco Faverzani | Giorgio Panigati

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Delphine Galou

Uno spettacolo che fa bene al cuore e all’anima.

È un’operazione culturale di livello molto alto la produzione de Il Tamerlano di Antonio Vivaldi nell’edizione critica di Bernardo Ticci – coproduzione dei teatri di Ravenna, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Lucca – che segue l’uscita per la Vivaldi Edition di Naïve dell’omonimo album, disponibile su tutte le principali piattaforme di streaming.

La parte musicale è capitanata da un eccezionale Ottavio Dantone, che scrive anche le variazioni, con la sua strabiliante Accademia Bizantina, prodiga di suoni sopraffini e accenti sinceramente toccanti.

Non da meno è il cast vocale capeggiato da un Filippo Mineccia in ottima forma nei panni del protagonista. Di Mineccia, al di là della eccellente linea di canto, si apprezzano i colori drammatici, resi talvolta con un sapiente uso delle noti di petto, e un fraseggio altamente espressivo, che descrive il personaggio con grande intensità e passionalità.

Lo affianca il bravo Bruno Taddia che qui si fa cupo in un’ottima prestazione vocale di un Bajazet piegato dalla sventura, sapientemente concitato nei momenti di rabbia, poi più malinconico nei momenti di rassegnazione.

Annunciata indisposta, Delphine Galou è Asteria e non si smentisce per la resa di uno stile pressoché perfetto. L’indisposizione non si sente, anzi forse la porta a definire certi passaggi con maggiore cura, riconfermandosi una certezza in questo repertorio.

Federico Fiorio è un fiore che sta sbocciando, un gioiello che pian piano viene cesellato e che si spera continui su questa strada, poiché il suo canto è grazia pura.

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Il Tamerlano ovvero la morte di Bajazet, Teatro Municipale di Piacenza

Piroettante è l’Irene di Shakèd Bar, forse un po’ troppo svettante nell’aria di sortita, dove certi acuti appaiono un poco aspri, ma si tratta di una quisqulia nel complesso di una parte cantata e interpretata con accuratezza e vigore.

Bravissima l’Idaspe di Giuseppina Bridelli, fiore all’occhiello della città di Piacenza, sicuramente orgogliosa di un’artista che sta meritevolmente portando alto il nome della città in tutto il mondo.

Lo spettacolo di Stefano Monti è intelligente e centrato su di un mondo barocco atemporale e gestuale, coll’onnipresente rimando al teatro delle marionette. È efficace, ma tutto il resto è un po’ vecchio e già visto: la piattaforma centrale, le corde rosse e le proiezioni sono un retaggio ormai noioso. Interessanti invece le scenografie laterali, soprattutto per il loro uso in secondo atto e molto ben curati i costumi e il trucco. Ottime le luci di Eva Bruno.

Eccellenti le coreografie di Marisa Ragazzo e Omid Ighani per la DaCru Dance Company che diventano un’amplificazione degli stati d’animo dei personaggi. I bravissimi Davide Angelozzi, Sara Arlotti, Elda Bartolacci, Graziana Marzia, Kyda Pozza e Alessandra Ruggeri sono instancabilmente in palcoscenico per tutto il tempo nel ridisegnare il destino umano dei protagonisti come pupi attaccati ai loro fili.
Grande successo al termine della recita e grande richiesta, da parte del pubblico, di più barocco.

William Fratti

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Il Tamerlano di Antonio Vivaldi ha completato a Lucca la fortunata serie di debutti nei teatri dell’Italia centro-settentrionale che lo hanno coprodotto, trovando nel Teatro del Giglio una cornice raccolta ed elegante per un allestimento suggestivo e raffinato, con la regia di Stefano Monti e la direzione di Ottavio Dantone. Lo stile della sala lucchese ben si accorda infatti ad un Settecento come quello di Vivaldi pieno di inventiva ma anche di razionalità e le dimensioni contenute contribuiscono a creare un’atmosfera intima, da opera da camera, con il maestro Dantone al clavicembalo, l’ensemble strumentale al livello della platea ed i cantanti che scendono e salgono sul palco da due passerelle laterali.

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Marie Lys

La scena è spoglia ed austera, scura e “petrosa”, per dirla alla maniera di Dante, con aspetti che ricordano il genere fantasy e l’underground techno dark. Le luci di Eva Bruno sono per lo più fredde e taglienti, talora livide e plumbee, e le proiezioni di Cristina Ducci creano giochi enigmatici tra il naturale ed il fantastico, mentre una pedana solleva gli interpreti durante l’esecuzione delle arie, riproponendo in forma stilizzata la meraviglia della macchina barocca. Tutta l’ambientazione determina uno spazio sospeso e pare evocare un tempo indefinito, che sta prima o che sta dopo, da fantascienza apocalittica o da mondo preclassico. I personaggi sono arcaici e severi, con un trucco nero e pesante e capelli striati di rosso, ed indossano costumi che paiono maschere tragiche, realizzati dalla Sartoria Kleman con elementi di cuoio e metallo brunito.

Ogni figura del dramma ha il suo doppio danzante, che ne amplifica gli affetti, rivelandone il sentire in forme ora ritmiche e geometriche, ora brusche e scattose secondo le coreografie di Marisa Ragazzo e Omar Ighani. L’idea di associare in modo così stretto il movimento con l’espressione vocale è certamente un’ottima trovata, in quanto potenzia il senso narrativo e consente di superare una certa staticità drammaturgica dell’opera barocca. Tuttavia la danza pressoché continua finisce per perdere di incisività e risulta ingombrante in taluni frangenti di pura effusione lirica. I ballerini accompagnano dunque i cantanti come sorta di daimones e talora ne animano meccanicamente le azioni, tessendone i destini, mentre tutti i personaggi, pur con tratti animaleschi e torbide passioni, ci vengono presentati come archetipi e simulacri di un pantheon arcaico.

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Arianna Venditelli

La direzione di Dantone cura con precisione ogni dettaglio e lo raccorda all’insieme, conferendo unità e coerenza ad un’opera la cui varietà potrebbe farla risultare facilmente posticcia. Ogni sezione viene realizzata in una forma cristallina, per lo più luminosa e scintillante, ma anche notturna e screziata e comunque sempre trasparente. Particolarmente curata risulta l’espressività dei recitativi così come le variazioni d’intensità, con preziosi effetti in pianissimo. L’ Accademia Bizantina si dimostra perfettamente amalgamata, con sonorità definite, morbide negli archi e delicate nell’impasto dei fiati, e nella tensione continua ad una costruzione rigorosa ed armonica.

Eccellente il cast dei cantanti.
Filippo Mineccia
è un Tamerlano di grande vigore espressivo. La voce è moderatamente consistente e talune note risultano un po’ sforzate e spigolose; il canto è tuttavia sempre sicuro e scolpito, esatto nella tenuta del tempo, ricco di inflessioni e sfumature. Di forte impatto la prima aria “In sì torbida procella”, interpretata in una forma maestosa in grande sintonia con le intense vibrazioni dell’orchestra. Appassionato in “Cruda sorte, avverso fato”, con una linea ampia e melodica, tagliente e concitato nell’aria di furore al terzo atto. Ben delineato l’uomo di potere, inquieto ed arrogante ma capace infine di perdono, figura che in qualche misura si riconnette al mito illuministico del principe, presente soprattutto nella produzione metastasiana.

Di grande fascino e bravura Marie Lys nel ruolo di Irene. La voce è estesa e il canto agile e sicuro, con disinvolti passaggi dal grave all’acuto ed un incantevole fioritura di vocalizzi, come nel primo intervento “Qual guerriero in campo armato”. Sublime l’interpretazione dell’aria “Sposa son disprezzata”, ricchissima di sfumature e pervasa di sentimenti laceranti. Si svela infine dolcissima e seducente in “Son tortorella” ed esibisce un forte senso narrativo nei dialoghi.

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Gianluca Margheri

Gianluca Margheri è un Bajazet autorevole e fiero. Voce calda profonda, intona con un piglio virile ed un articolato fraseggio l’iniziale “Del destin non dee lagnarsi”; è poi intensamente drammatico e sofferente al secondo atto con “Dov’è la figlia?”, pur con qualche diseguaglianza e slittamento d’intonazione. Sbalzato con forza l’ampio recitativo accompagnato che esprime tragicamente il dissidio del padre e del principe vinto.

Molto incisiva l’Asteria di Delphine Galou. Umbratile e tagliente, delinea assai efficacemente la donna ferita e desiderosa di vendetta. Di grande eleganza in ogni parte, particolarmente raffinata in “La cervetta timidetta”.

Fresco e luminoso Federico Fiorio, di buon volume e di grande uguaglianza nei diversi registri. Sa esprimere con grazia la sofferenza del personaggio diviso tra ragione di stato e sentimenti del cuore e crea un momento incantato e sospeso con “Spesso tra vaghe rose” al terzo atto.

Arianna Venditelli interpreta con grinta e sicurezza le arie di Idaspe. Vocalità molto omogenea e di grande duttilità, rende “D’ira e furor armato” con virtuosismo ed energia.

Un vero trionfo di applausi per tutti.
Rivisitare l’antico ci aiuta a capire il presente, musicale e non solo. E questo spettacolo ce lo ha ricordato.

Lucca, Teatro del Giglio, 17 febbraio 2023

Andrea Poli

IL TAMERLANO ovvero la morte di Bajazet [RV703]
Tragedia per musica in tre atti
Libretto di Agostino Piovene
Musica di Antonio Vivaldi

Tamerlano Filippo Mineccia
Bajazet Bruno Taddia/Gianluca Margheri (17/02)
Asteria Delphine Galou
Andronico Federico Fiorio
Irene Shakèd Bar/Marie Lys (17/02)
Idaspe Giuseppina Bridelli/Arianna Venditelli (17/02)

Accademia Bizantina
Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia, scene e costumi Stefano Monti
Luci Eva Bruno
Contenuti video/3D Cristina Ducci
Pittura su tela Rinaldo Rinaldi, Maria Grazia Cervetti
Sculture Vincenzo Balena
Illustrazioni Lamberto Azzariti
Dacru Dance Company
Coreografie Marisa Ragazzo, Omid Ighani

Foto: Cravedi e Zani-Casadio