Rubriche 2021

Il contributo fondamentale di D’Annunzio all’opera lirica

Il verso è tutto: si conclude in questa maniera l’Isotteo, una della tante raccolte di poesie di Gabriele D’Annunzio, il “Vate” che dominò la letteratura italiana tra il 1889 e il 1910. I suoi versi appunto hanno incantato e ispirato, a torto, però, viene troppo spesso dimenticato il contributo fondamentale che lo scrittore e poeta abruzzese ha fornito al mondo dell’opera lirica. In realtà, il nome di D’Annunzio è strettamente legato al Belcanto, non solo con preziosi e accurati libretti, ma anche con altri versi che hanno fornito l’ispirazione giusta a musiche teatrali. È dunque giusto e opportuno ripercorrere la “carriera” operistica il Principe di Montenevoso.

D’Annunzio e Mascagni

Il primo approfondimento lo merita Pietro Mascagni e la sua Parisina. Anzitutto, bisogna precisare che la storia dei rapporti tra D’Annunzio e il mondo della musica è fatta di difficoltà, incomprensioni e litigi. C’è anche chi ha dubitato della competenza musicale del Vate, anche perché non apprezzava molto né Verdi né la Giovane Scuola. Come si spiega allora la collaborazione proficua con Mascagni? Quest’ultimo approfittò della rottura degli accordi tra D’Annunzio e Giacomo Puccini. I trascorsi tra il livornese e il Vate non sono dei migliori, ma col passare degli anni i rapporti sono migliorati. Ecco allora i due frequentarsi in maniera assidua, dando vita a quella che il compositore definirà come un’opera “poderosa per contenuto musicale, ardita nell’espressione della parola, estremamente forte e violenta nelle situazioni drammatiche”.

Fu una vera e propria impresa durata 134 giorni, comprendendo anche quelli della strumentazione. Il 15 dicembre del 1913 il pubblico milanese del Teatro alla Scala è pronto per l’atteso debutto. La rappresentazione non passa certo inosservata, ma tutti si accorgono anche delle dimensioni eccessive di questa tragedia lirica in quattro atti (si cominciò alle 20:30 per finire addirittura all’1:40 del mattino). La fusione tra parola e musica era però ardita e interessante, con frasi lapidarie e drammatiche accompagnate da note dello stesso tenore. È un peccato che questa storia del tormentato amore materno tra Parisina Malatesta e il figlio Ugo d’Este sia rappresentata raramente, l’impegno dannunziano è evidente e proficuo, ma proprio l’ultimo atto, quello in cui musica e versi vanno maggiormente d’accordo, è spesso revisionato e tagliato.

D’Annunzio e Pizzetti

Il compositore parmigiano Ildebrando Pizzetti ebbe una vera e propria predilezione per D’Annunzio e sono soprattutto tre titoli che devono attirare la nostra attenzione. Anzitutto, Fedra, tragedia in tre atti rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 20 marzo del 1915. Pizzetti cerca con impegno di sfruttare la lezione operistica del ‘600, ispirandosi perfino a Monteverdi, nel tentativo di amalgamare il più possibile musica e poesia. La Fedra dannunziana era una tragedia poco classica e istintiva, non fu semplice redigere un libretto d’opera e tagliare molte parti. Il canto, comunque, riesce a focalizzarsi bene sul registro centrale delle voci, con un declamato piuttosto severo e intervallato che si adatta bene ai ritmi dei versi dello scrittore. Le altre due composizioni sono La figlia di Iorio e La Pisanelle.

Nel primo caso (San Carlo di Napoli, 4 dicembre 1954), il libretto è dello stesso Pizzetti, ma è evidente l’ispirazione alla Figlia di Iorio di D’Annunzio, tanto che la trama è più che fedele. Il clamoroso successo di quella prèmiere è la testimonianza di quanto il Vate abbia contribuito alla storia dell’opera. Nel secondo caso, si tratta di musica sinfonica, una suite del 1922 che prende spunto da una commedia dannunziana in versi francesi, La Pisanella o la morte profumata, di nove anni prima.

D’Annunzio e Zandonai

Impossibile non parlare della splendida Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai. Questa tragedia in quattro atti su libretto di Tito Ricordi (Torino, Teatro Regio, 19 febbraio 1914) è un altro esempio fondamentale per far capire dove sia arrivata l’ispirazione dannunziana. Il beneplacito dello scrittore pescarese non era scontato, ma arrivò quasi inatteso. Il trionfo dell’opera ha scatenato la leggenda secondo cui D’Annunzio non sia mai andato a seguire dal vivo una rappresentazione del lavoro che aveva oscurato la sua tragedia originaria. In effetti, Zandonai ha voluto eliminare del tutto la fiorentinità duecentesca del poeta, ma è pur rimasto lo status di affresco storico, per non parlare del clima eroico. Questa musica colta, ritenuta a torto inadatta per il melodramma, è uno dei capisaldi operistici di sempre.

Le altre collaborazioni e ispirazioni

L’approfondimento non può certo dimenticare gli altri lavori che hanno avuto a che fare con D’Annunzio. Si tratta della composizione teatrale Le martyre de Saint Sébastien (1911), i cui versi sono proprio del Vate: la lingua francese conferisce ulteriore eleganza e potenza ai versi, mentre la musica di Claude Debussy ha garantito in parte l’orchestrazione. Si può concludere il tutto, infine, con La nave di Italo Montemezzi (1918) e il Sogno d’un tramonto d’autunno, poema tragico che ispirò la musica di Gian Francesco Malipiero.