Rubriche 2021

Il misterioso personaggio che ostacolò la carriera di Gaetano Coronaro

Un grande successo e tanti rimpianti: si può riassumere in questa maniera la vita artistica di Gaetano Coronaro, compositore vicentino che i suoi principali biografi non hanno tardato a definire “troppo onesto”. Le difficoltà incontrate nel corso della carriera furono dovute a delle coincidenze oppure ci fu davvero una oscura manovra di un personaggio influente nel mondo del melodramma (mai identificato) che lo ostacolò a causa dell’invidia? Prima di addentrarci in questi misteri, bisogna capire chi era realmente Coronaro. Nato a Vicenza nel 1852 da Luigi e Anna Cattaneo, venne avviato inizialmente agli studi classici, anche se le doti musicali emersero sin da subito.

Per questo motivo cominciò a studiare pianoforte, armonia e contrappunto con il maestro Francesco Canneti, oltre al violino. Ne 1870 gli venne consigliato il Conservatorio di Milano, anche se non c’erano posti vacanti per la scuola di composizione. Di conseguenza, fu ammesso come allievo violinista nella classe di Eugenio Cavallini. Frequentò le lezioni di Franco Faccio e si conquistò diverse simpatie e stime. Già nel 1871 fornì una grande prova con “Ouverture campestre”, una esecuzione che destò l’ammirazione di un critico severo e preciso come Filippo Filippi della Gazzetta Musicale.

Secondo Filippi:

Il Coronaro, giovanissimo, benché non abbia compiuto ancora i suoi studi, è già maestro provetto, così profondamente conoscente l’arte sua; aggiungasi una fantasia fervida, un’immaginazione svelta, vivace e una spiccata tendenza all’originale senza affettazioni strane, né ardimenti troppo esagerati.

Il saggio finale al Conservatorio del 1873, “Un tramonto”, fu un altro successo e gli garantì la borsa di studio da duemila lire dell’editrice Giovannina Lucca per studiare e perfezionarsi all’estero. In poche parole, la carriera era cominciata nel migliore dei modi. I cinque anni successivi vennero dedicati alla ricerca infaticabile di un soggetto melodrammatico: la scelta ricadde su “La creola”, quella che è la sua opera più famosa e che venne rappresentata per la prima volta al Teatro Comunale di Bologna il 27 novembre 1878.

Ogni recensione si caratterizzò per il grande entusiasmo nello scoprire un simile talento. Lo stesso Filippi parò di un’orchestra che non aveva nulla da invidiare a quelle dei grandi maestri, mentre persino Jules Massenet si scomodò per scrivere a Coronaro e assicurargli la sua più cordiale e sincera ammirazione. Il trionfo sembrava soltanto all’inizio, eppure i momenti di gloria si limitarono a questo breve periodo. L’opera successiva che aveva intenzione di far rappresentare, “La signora di Challant”, rimase inedita, nonostante i contatti con un librettista importante come Giuseppe Giacosa; “Malacarne” ebbe una buona accoglienza a Brescia, ma erano già passati troppi anni (il debutto avvenne nel 1894).

Coronaro non si perse mai d’animo di fronte alla sfortuna e agli eventi negativi. L’ultimo lavoro rappresentato fu “Un curioso accidente”, la cui prèmiere è datata 11 novembre 1903 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino. Il  grande rimpianto fu quello dell’altra opera del musicista veneto che non arrivò alla ribalta, “Enoch Arden”. Il poema di Alfred Tennyson lo conquistò come mai nessun altro soggetto aveva fatto: si immedesimò nel personaggio e la melodia fluì in maniera copiosa fin dal primo momento.  Per ben due svolte sperò nella rappresentazione del suo melodramma prediletto.

La prima fu ad Amburgo e la seconda a Milano nel 1905, ma dopo aver istruito artisti e orchestra i teatri fecero inspiegabilmente marcia indietro, al punto da far sprofondare Coronaro in una grandissima tristezza per l’enorme delusione. Chi lo aveva ostacolato? La biografa Elisabetta Oddone nel 1909 (un anno dopo la morte di Coronaro) non fa intuire chi possa essere stato, nel suo libro si fa più che altro riferimento all’onestà del compositore e al fatto che magari non sapesse imporsi nel difficile mondo teatrale con il suo carattere disponibile e accondiscendente.

Anche il suo librettista Antonio Fogazzaro fa le stesse identiche allusioni. In quel 1905, l’anno in cui “Enoch Arden” non riuscì a vedere la luce, vennero rappresentate per la prima volta opere come “Fatkmè” di Luigi Dall’Argine, “Le ultime ore di Torquato Tasso” di Pietro Moro, “Sangue boero” di Ciro Bello, “Jana” di Renato Virgilio, “Cassandra” di Vittorio Gnecchi, ma soprattutto “Amica” di Pietro Mascagni. Più che a un altro compositore invidioso si deve pensare a un personaggio ben inserito nelle realtà teatrali italiane e in grado di stabilire quali lavori far rappresentare nelle varie piazze, sembra a causa del successo mai del tutto digerito de “La creola”.