“L’equivoco stravagante” di Rossini e i doppi sensi inaccettabili per l’800
Volgarità nauseante e puerile insipidezza. Il giudizio immediato su “L’equivoco stravagante”, opera buffa in due atti di Gioachino Rossini su libretto di Gaetano Gasbarri, non fu certo tenero. Il dramma giocoso fu rappresentato per la prima volta in assoluto il 26 ottobre del 1811, dunque quasi 210 anni fa, ma come si fa per capire se le critiche siano state ingenerose o meno? L’accoglienza del Teatro del Corso di Bologna fu controversa e ancora oggi questo titolo viene associato al numero eccessivo di doppi sensi ed equivoci fin troppo allusivi. Il libretto non ha mai convinto del tutto, mentre il versante musicale merita un discorso a parte.
Gaetano Gasbarri è l’autore del testo. Si trattava dell’esordio assoluto a Bologna per Rossini, all’epoca 19enne. Il pubblico felsineo applaudì soprattutto l’atteso contralto Marietta Marcolini, immancabile nella prima fase della carriera del compositore pesarese. La cantante fiorentina interpretò nel migliore dei modi il ruolo di Ernestina e i critici riuscirono a scorgere nelle note l’estro del ragazzo marchigiano che iniziava a farsi conoscere dai teatri italiani. Allitterazioni, assonanze, anafore, parodie e “idiotismi” abbondarono fin troppo e ancora oggi si pensa che questo libretto non sia in grado di assicurare il giusto svolgimento drammatico dell’azione.
Eppure Gasbarri non era proprio l’ultimo arrivato. Di lui non si sa molto, nel 1817 diventò addirittura ministro dello stato civile proprio a Bologna. Il mestiere di librettista, invece, veniva svolto a tempo perso e la qualità complessiva non può che averne risentito. I titoli che si devono a questo librettista sono circa venti: oltre a Rossini, lavorò con Pavesi, Coccia e Celli. “L’equivoco stravagante” è famosa per il suo triste destino. Dopo appena due repliche ci fu il ritiro: gli incidenti con la censura e lo scandalo delle parole udite in teatro non potevano più essere tollerati. Al di là della volgarità inaccettabile per l’epoca, bisogna considerare la fattura delle parole di Gasbarri.
Ormai è un giudizio comune che il librettista non abbia svolto un lavoro dignitoso. Già dall’inizio si può notare l’incapacità di fare teatro, nonostante un faticoso tentativo di aggiungere un arzigogolo verbale dopo l’altro. Le prime quattro scene, poi, sono state messe malamente in fila, senza che ci sia una qualsiasi connessione sensata. I protagonisti della vicenda entrano ed escono come se si trattasse della hall di un Grand Hotel. Rossini, al contrario, era in splendida forma in quanto a ispirazione musicale. Le critiche sono concordi nel ritenere il libretto una sorta di spazzatura, ma il musicista affrontò la prova con disinvoltura.
Si è spesso detto che Gioachino Rossini sarebbe stato in grado di mettere in musica e in maniera efficace persino la lista della lavandaia e “L’equivoco stravagante” conferma tutto questo. Non ha neanche vent’anni eppure la cavatina di Buralacchio (Occhietti miei vezzosi ) e quella con il coro di Ernestina (Oh come tacita – Nel cuor un vuoto io provo) hanno impressionato fin da quella prima rappresentazione del 1811 e sono state paragonate a “ninfee sbocciate sopra acque putride”. Il quartetto Ti presento a un tempo stesso è altrettanto interessante, visto che poi le stesse soluzioni psicologiche e drammaturgiche verranno riprese in seguito.
La vena creativa di Gasbarri è stata definita anche “schizofrenica”. Questo autore pensava che i libretti fossero degli assemblaggi meccanici di situazioni sceniche, senza cercare delle connessioni tra una e l’altra. Questa “follia” letteraria è evidente soprattutto nei cambiamenti improvvisi del registro lessicale. L’esempio perfetto è quello del duetto di Ernestina ed Ermanno, quando il linguaggio diventa medio, ordinario, colloquiale e appassionato. L’effetto amoroso ottenuto da Rossini è comunque apprezzabile e non sono pochi i critici che hanno intuito in questa parte dell’opera alcune intuizioni de “La cambiale di matrimonio”.
La trama non è poi così complicata. Si tratta della storia di un padre ricco che vuole far sposare la figlia con un’altra persona piuttosto facoltosa, mentre invece la ragazza è innamorata di uno squattrinato. Non manca il finale alla “volemose bene”, con tutti i personaggi che si riconciliano e si trova una soluzione perfetta per ogni caso. Oltre ai doppi sensi, diverse scene sono state considerate espliciti riferimenti sessuali, un particolare che allarmò la censura dello Stato Pontificio. Soltanto nel 2002, a ben 191 anni di distanza dalla prèmiere, “L’equivoco stravagante” tornò in scena grazie al Rossini Opera Festival. La riscoperta è iniziata sedici anni fa e un mondo sempre meno bigotto potrebbe fare il resto.