Der junge Lord – Teatro del Maggio, Firenze
Der junge Lord di Hans Werner Henze, fino ad oggi rappresentato una sola volta nel nostro paese, a poca distanza dal debutto in Germania del 1965 e nella versione ritmica in italiano di Fedele D’Amico, è andato ora in scena al Teatro del Maggio nell’originale lingua tedesca, attestandosi come proposta meritevole e coraggiosa, assolutamente degna di un Festival. Una scommessa pienamente vinta dal Maggio, forse al di là delle aspettative, considerato che le recite programmate erano prudenzialmente soltanto tre e che tutte hanno comunque visto la partecipazione di un pubblico numeroso ed entusiasta. In effetti l’edizione è davvero esuberante, con un racconto visivo e musicale di grande unità e coerenza, brillantezza e profondità, nella sinergia puntuale e feconda della direzione di Markus Stenz, della regia di Daniele Menghini e dell’interpretazione degli attori e dei cantanti.
La forza di questo allestimento è innanzitutto la sua stupefacente coralità, con una rappresentazione policroma e policentrica in fedele aderenza al libretto di Ingeborg Bachmann, la scrittrice austriaca, grande amica di Henze, che intese mostrarci la comunità dell’immaginaria Hülsdorf-Gotha in tutto il suo provincialismo e la sua limitatezza e dare forma ad un’opera buffa dai caratteri tipicamente tedeschi. Il lavoro di Menghini, in linea con quello di Henze, si richiama sì alla vivacità della tradizione comica del teatro musicale italiano, ma realizza al contempo un misto inscindibile di aspetti grotteschi e sinistri, dove l’ilarità si lega profondamente alla denuncia sociale e dove il ridicolo mette in luce tanto l’acriticità del conformismo quanto la stigmatizzazione del diverso. La scena del resto si apre proprio con i personaggi che sollevano la facciata del loro borgo, che è gabbia e pannello da quinta teatrale, con tanto di nomi che identificano i luoghi e che ci dicono che quella trama urbana in verità non è altro che una costruzione artificiosa di idee e pregiudizi.

Fin dall’inizio tutto ci appare sincronizzato come un grande orologio, una macchina che nelle scene di Davide Signorini e nelle coreografie di Sofia Nappi riprende il ritmo della narrazione musicale nonché la sua complessità polifonica. La piazza, il salone della Baronessa e il circo si stagliano in modi fantasiosi e surreali, mentre la panchina con la neve civetta con “La bohéme” così come il ballo con la rosa evoca “Der Rosenkavalier”, sempre con accurati cambi di scena che teatralizzano gli intermezzi strumentali. Lord Varrat, il sir inglese che con il suo arrivo mette in agitazione la provincia tedesca, nella seconda parte ci viene presentato come il deus ex machina di un gran budoir, un po’ Mefistofele un po’ de Sade, in una caratterizzazione forse eccessivamente calcata ma senz’altro funzionale a far emergere i desideri rimossi dell’ipocrita comunità. Di grande suggestione la scena nella biblioteca su cui vigila olimpico il ritratto di Goethe e con il debutto in società del misterioso nipote, appunto il giovane Lord, che si esprime con i versi del Faust, ma che in realtà è la scimmia ammaestrata del circo. Le luci di Gianni Bertoli creano degli eloquenti contrasti, incrinando talora la gaiezza con scenari spettrali, mentre i costumi di Nika Campisi svolgono un ruolo fondamentale nel definire l’ambiente con quelli pomposi e grotteschi dei cittadini, con il gusto per il superfluo delle dame e del seguito inglese e nella mescolanza dei generi sessuali, di cui è l’emblema il Segretario baffuto ma in abito da sera femminile. In gonna di tulle si presenta anche il giovane Lord, subito imitato da tutti i maschi del paese, che nel finale, insieme a tutti gli altri, resteranno con un palmo di naso scoprendo la vera identità del giovane rampollo. E l’intero borgo, in una scena di straordinario impatto, finirà a gridare dentro la gabbia che si richiude, mostrandoci così quali siano le vere scimmie della storia.
Markus Stenz stende un racconto di grande fluidità e compattezza, con sonorità che si addensano nei momenti concitati e si fanno rarefatte nelle parti liriche e negli interludi strumentali. La varietà dei ritmi e di timbri viene cesellata con accuratezza ed ampio sfogo viene dato ai passaggi cantabili, in un saldo collegamento con il palco. Ben integrati gli interventi del Coro diretto da Lorenzo Fratini che cementano l’aspetto polifonico dell’opera; assai puntuali anche le Voci Bianche dirette da Sara Matteucci, impegnate non solo in un canto leggiero e giocoso ma anche in cori aggressivi e drammatici. L’opera, benché scritta secondo il sistema tonale e in un costante dialogo con il passato, ricrea atmosfere tipiche del secondo Novecento e la lettura di Stunz ne evidenzia marcatamente l’ambivalenza, che corre sempre sul filo tra il sorriso intelligente e la perturbante riflessione, con momenti in cui si ha addirittura la sensazione di essere sull’orlo dell’abisso.

Molto affiatato il cast degli intrepreti, in una polifonia decisamente democratica nella definizione di ruoli principali e secondari.
Del resto, Sir Edgar, al centro della storia, è un ruolo muto, interpretato da Giovanni Franzoni che ne evidenzia gli aspetti ironici e giocosi come quelli più tormentati e sinistri. Insieme a lui meritano una particolare menzione di lode tutti gli altri attori e i ballerini della compagnia KOMOCO, che plasmano con puntualità l’anima multiforme di questo allestimento.
Rappresentato nella sua solenne ambiguità il Segretario di Levent Bakirci, che, vero doppio del suo padrone, modella con cura un declamato piano e scandito.
Lord Barrat, il giovane Lord, è Matteo Falcier che si distingeue per vocalizzi pieni, espressivi e ben differenziati fuori scena e per le frasi stentoree e definite durante il ricevimento.
Un particolare rilievo solistico è dato alla figura di Luise, la giovane innamorata interpretata da Marily Santoro, a cui è riservata un ampio monologo al secondo atto. Vocalità tersa e potente, di grande omogeneità, riesce assai modulata e drammatica nel passaggio sopracitato ed è alquanto coinvolgente nel duetto con Wilhelm.
Quest’ultimo è Antonio Mandrillo, dallo stile melodico ed elegante, con una proiezione chiara e salda anche se non sempre sfogata. I suoi interventi, misurati e sentiti, ci richiamano sempre alla commozione autentica, in un contesto dove trionfa invece senza posa la fiera delle vanità.
Anche alla Baronessa Grünwiesel è riservato un’ampia sezione solistica dove Marina Comparato esibisce un fraseggio puntuale e scolpito, a cui unisce un’intenzione tanto appassionata quanto ironica.
Ha uno speciale rilievo il personaggio di Begonia, la cuoca sbalzata con un canto rotondo e voluminoso da Caterina Dallaere, che rende i suoi due momenti con grande simpatia e vitalità.
Nel quartetto comico del comitato cittadino spicca la vocalità luminosa e spesso ad arte spinta e forzata da Lorenzo Martelli, che delinea il Professor von Mucker come una vera e propria macchietta. Intenso ed espressivo nella sua vanesia cupezza il Sindaco di Andreas Mattersberger, che esibisce una vocalità piena e diretta. Yurii Strakhov è un Oberjustizrat Hasentreffer enfatico e ben accentato e Gonzalo Godoy Sepúlveda rende Ökonomierat Scharf con nitore vocale e morale grettezza.
Ha uno stile fiorito, con vocalizzi precisi e svolazzanti come il suo costume, la Ida di Nikoletta Hertsak, di bella estensione e trasparenza.
Di surreale comicità la coppia delle signore Frau von Hufnagel e Frau Oberjustizrat Hasentreffer, la prima interpretata da Ioanna Kykna con voce scura e voluminosa, la seconda da Aloisia de Nardis di grande eguaglianza e dai nitidi acuti.
Chiaro e melodico anche James Kee come Amintore La Rocca, il capo del circo, che fraseggia con ampiezza ed alterna parlati a slanci lirici.
Letizia Bertoldi è una Cameriera di grande freschezza e vitalità e Davide Sodini rende il Lampionaio con un canto rotondo e strutturato.
Il successo decretato dal pubblico fa riflettere sull’importanza di proporre opere poco frequentate e recenti. Questo spettacolo tenta infatti lodevolmente di accorciare la distanza dello spettatore dall’opera contemporanea, proposito quanto mai in sintonia con un autore come Henze che ha sempre creduto al valore pedagogico dell’arte e che con il suo lavoro ha tentato, non senza critiche e sofferenza, di colmare la frattura tra la società e la musica del secondo Novecento.

DER JUNGE LORD
Musica di Hans Werner Henze
Maestro concertatore e direttore Markus Stenz
Regia Daniele Menghini
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Maestra del Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Sara Matteucci
Scene Davide Signorini
Costumi Nika Campisi
Luci Gianni Bertoli
Coreografia Sofia Nappi con i danzatori “KOMOCO”
Arthur Bouilliol, Leonardo de Santis, Glenda Gheller, India Guanzini, Paolo Piancastelli, Senne Reus, Julie Vivès
Assistente alla coreografia Adriano Popolo Rubbio
Sir Edgar Giovanni Franzoni
Sein Sekretär Levent Bakirci
Lord Barrat Matteo Falcier
Begonia Caterina Dellaere
Der Bürgermeister Andreas Mattersberger
Oberjustizrat Hasentreffer Yurii Strakhov
Ökonomierat Scharf Gonzalo Godoy Sepúlveda
Professor von Mucker Lorenzo Martelli
Baronin Grünwiesel Marina Comparato
Frau von Hufnagel Ioanna Kykna
Frau Oberjustizrat Hasentreffer Aloisia de Nardis
Luise Marily Santoro
Ida Nikoletta Hertsak
Ein Kammermädchen Letizia Bertoldi
Wilhelm Antonio Mandrillo
Amintore La Rocca James Kee
Ein Lichtputzer Davide Sodini
Circensi Giulia Cammarota; Andrea Fantauzzi; Marco Migliavacca
Figuranti specialiFilippo Beltrami; Vittorio Bentivoglio; Dario Tamiazzo; Leonardo Paoli; Simone Ticci
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino