Aida – Teatro del Maggio, Firenze
La supplica “Pace t’imploro”, sussurrata da Amneris come estremo sigillo dell’opera, fin dal principio sembra in realtà pervadere ed informare di sé tutta l’Aida secondo Damiano Michieletto, in un discorso visivo sostanzialmente coerente e assai penetrante, animato e sostenuto dalla lettura avvolgente e screziata di un carismatico Zubin Metha. L’edizione prodotta per la Bayerische Staatsoper di Monaco e ora ripresa per la prima volta in Italia come terzo titolo del cartellone lirico dell’87° Maggio Musicale Fiorentino, colloca infatti l’azione lontano da sfingi e palmizi, in uno scenario di guerra che ci costringe ad entrare nei sotterranei della nostra drammatica attualità. Un interno ampio e ferito, che fin dal principio ci appare parzialmente sprofondato e comunque destinato a venire sepolto da una pioggia di cenere, una palestra forse già diventata un bunker circondato da tenebre, dove tutti i personaggi sono costretti dal conflitto in corso a vivere imprigionati, senza tuttavia smettere di agire per vanagloria o volontà di potenza. Le scene di Paolo Fantin con i costumi contemporanei di Carla Teti si profilano come installazioni museali già di per sé eloquenti e dense di significati, mentre le luci di Alessandro Carletti passano da effetti neon zenitali a sfumature delicate, per lo più azzurrine e rosate, fino a ricreare nella semioscurità la notte inesorabile del mondo e dell’anima. La rappresentazione è complessa ma fluida, denuncia l’orrore e fa molto pensare, commuove e lacera nel profondo. Alcune scelte, pur senza l’Egitto, potenziano alcuni elementi della drammaturgia verdiana, come l’entrata del messaggero con la bambina morta seguita dai cori di guerra o la cerimonia della vestizione dei soldati durante il primo ballabile, rituale inondato di una luce calda eppure crepuscolare, con i corpi dei guerrieri mostrati come carne da macello e polvere nel vento. La dimensione celebrativa dell’opera, in parte legata anche al compimento degli ideali risorgimentali, viene trattata con grande originalità perché risolta per contrasto, con il successo militare mostrato in tutta la sua inconsistenza ed anzi ribaltato nel suo contrario, laddove il tripudio diviene lutto e il trionfo strage, in un incubo lacerante tra allucinazione e profezia.

In questo racconto di grande vigore ed organicità non tutto però funziona in rapporto all’opera verdiana, in quanto una tale lettura è di forte impatto ma ineludibilmente parziale. Non solo infatti lo spiccato esotismo e la marcata sensualità di numerosi passaggi non trovano alcun corrispettivo nella scena, ma l’azione risulta talora inutilmente caricata di dettagli estranei che ne indeboliscono la forza drammatica. Aida si riconosce nell’abbraccio con la madre della bambina morta, quando invece i due drammi sono alquanto diversi, e rievoca la sua famigliola felice quando è divisa tra l’amore per Radames e la fedeltà alla patria. Inoltre nel gineceo di Amneris avviene la distribuzione dei pasti caldi e durante il sensuale ballabile un clown sui trampoli intrattiene giocosamente i bambini. Anche la sequenza del processo non si staglia con rilievo, con i piani della rappresentazione poco differenziati e con una debole declinazione del conflitto tra potere politico e religioso, così come palloncini e fisarmonica banalizzano e tolgono qualcosa alla purezza trasfigurante del finale. E tuttavia la scena conclusiva è comunque strepitosa, con la citazione visiva delle piramidi e con il sollevarsi nel sogno della cripta dei due amanti, mentre Amneris resta in basso, nel buio, tra gli umani, a invocare la pace.
La direzione di Metha crea da parte sua una narrazione compatta e coinvolgente, con tempi distesi ma con un passo cadenzato e costante, conferendo risalto nella timbrica e nella dinamica alla tessitura cameristica dell’opera. Il preludio iniziale si distingue infatti per i delicati pianissimo, quello al terzo atto per gli impasti screziati e l’intero flusso sonoro dell’opera è voluminoso ma trasparente, spesso diafano e rarefatto, continuamente modellato da accurate variazioni d’intensità. Il trionfo e le parti maestose vengono rese con una contenuta pomposità e fanno emergere, in linea con la regia, il carattere retorico ed antieroico della situazione. Le sequenze più drammatiche vengono scolpite con vigore e precisione, in un saldo collegamento con gli interpreti e con il Coro, il quale, diretto da Lorenzo Fratini, spicca per potenza ed omogeneità e soprattutto per la duttilità nel plasmare la varietà degli interventi, dalla solennità di quelli militari alla delicatezza di quelli esotici e sensuali.

In questa vibrante cornice, l’intero cast degli interpreti si dimostra validamente capace di coinvolgere ed emozionare, nella dimensione del canto come in quella della recitazione.
Olga Maslova è un’Aida delicata e introversa, che esprime con nobiltà il conflitto che la tormenta e la purezza dell’amore che l’infiamma. Con voce morbida ed omogenea interpreta “Ritorna vincitor” in una considerevole varietà espressiva, ampie tenute dei fiati ed efficaci effetti di forte e di piano. Ha un contegno misurato ma passionale nel duetto con Amneris ed è struggente in “Cieli azzurri”, pur con poca fluidità nei vocalizzi in acuto. Assai drammatica nel dialogo con il padre, è infine eterea e levigata nella scena conclusiva.
Eroico e nobile anche il Radames di SeokJong Baek, che rappresenta energicamente il guerriero spontaneo e idealista che scopre l’inconsistenza della gloria e l’abisso che essa nasconde. Articola con rigoglio e ampiezza melodica l’intera sequenza “Ah se quel guerrier io fossi”, proiettando acuti saldi e luminosissimi, e con vigore e sicurezza esprime un’intensa drammaticità nel terzo e quarto atto, per alleggerirsi con soavità nel duetto finale.
Anche se ridimensionata dalle scelte registiche nella sua carica di sensualità e cattiveria, l’Amneris di Daniela Barcellona si impone per grinta ed autorevolezza, con una vocalità diretta e robusta e un fraseggio scolpito e incisivo. Nel dialogo con Aida come nella scena del trionfo delinea con vividezza le due anime del personaggio, ovvero il potere e la passione, che esplodono poi nella tormentata sequenza al quarto atto, resa con consistente volume e accenti marcati, in una forma di lacerante tragicità. Straziante infine l’invocazione conclusiva, con un’emissione di assoluto controllo e intenzione sublime.
Con voce piena e rotonda Daniel Luis de Vicente è un Amonasro energico e volitivo, sconfitto ma pronto a rituffarsi nella follia della lotta. Ha un canto definito e sbalzato nel duetto con Aida, che ci appare dunque travolta dall’orgoglio del padre.
Delineato con nitidezza anche il Ramfis di Simon Lim, uomo violento e oscuro, più poliziotto che sacerdote, di buon volume e dalla dizione scandita.
Voce piena e compatta il Re di Manuel Fuentes, immagine del politico benevolo ed opportunista.
Suji Kwon è una Sacerdotessa di bella estensione, omogenea ed elegante, e Yaozhou Hou, chiaro e puntuale, interpreta il Messaggero con partecipe intensità.
Tangibile la commozione in sala durante la recita e fragorosi alla fine gli applausi per tutti, soprattutto per la Maslova e la Barcellona, Baek e de Vicente, Metha e l’Orchestra. Lontano dall’Egitto e vicino alle nostre guerre, criticabile quanto condivisibile, viene quindi molto apprezzato dal sentire comune questo diverso e possibile volto di Aida.
AIDA
Musica di Giuseppe Verdi
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Maestro concertatore e direttore Zubin Mehta
Regia Damiano Michieletto
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video rocafilm Roland Horvath
Drammaturgia Mattia Palma
Movimenti coreografici Thomas Wilhelm
Regista collaboratore Eleonora Gravagnola
Il Re Manuel Fuentes
Amneris Daniela Barcellona
Aida Olga Maslova
Radames SeokJong Baek
Amonasro Daniel Luis de Vicente
Ramfis Simon Lim
Messaggero Yaozhou Hou
Sacerdotessa Suji Kwon
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino
leggi qui il saggio scritto da Dino Rizzo per il programma di sala