Spettacoli

Lucia di Lammermoor – Teatro Massimo Bellini, Catania

Lucia di Lammermoor, gioiello operistico tra i più amati dai melomani di tutto il mondo, torna sul palcoscenico del Teatro Massimo Bellini di Catania dal 19 al 27 aprile 2024 con la direzione dell’insigne maestro Stefano Ranzani, che vanta una carriera prestigiosissima nel panorama internazionale ed è stato Direttore Artistico e Musicale dell’Ente lirico etneo dal 2007 al 2008; la regia è affidata alla competenza artistica di Giandomenico Vaccari, noto anche per un lungo percorso da dirigente teatrale in varie città italiane e numerose collaborazioni all’estero. L’allestimento del Teatro Giuseppe Verdi di Salerno si avvale di un cast di assoluto rilievo, con Maria Grazia Schiavo nel ruolo del titolo, Christian Federici in quello di Enrico Ashton, Francesco Demuro nei panni di Edgardo, Marco Puggioni (Arturo), George Andguladze (Raimondo), Claudia Ceraulo (Alisa) e Nicola Pamio (Normanno).

Lucia di Lammermoor è un dramma tragico in due parti (la prima in un atto, la seconda suddivisa in due atti) composto da Gaetano Donizetti e segna l’inizio della fertile collaborazione con il librettista napoletano Salvadore Cammarano, che scriverà in seguito numerosi altri lavori per il genio bergamasco. La fonte letteraria cui si ispira è il romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott, che vanta una fortuna straordinaria riguardo agli adattamenti delle sue opere nel melodramma, prima fra tutte La donna del lago di Rossini a Napoli, dove ebbe luogo anche il debutto di Lucia di Lammermoor, esattamente il 26 settembre 1835 al Real Teatro San Carlo, salutato da un grande successo di pubblico. Interessante e singolare che Cammarano anteponga al testo del libretto un “Avvertimento dell’autore” in cui intende spiegare come ha dovuto sottostare alle “severe leggi drammatiche” per ridurre, allontanandosi “più che non pensava dalle tracce di Walter Scott”, le 300 pagine del romanzo nelle due ore di durata dell’opera. Il librettista elimina molti personaggi secondari e riferimenti d’ambientazione storica presenti nel romanzo dello scrittore scozzese, concentrandosi sulla tragica fine dell’infelice amore tra Lucia Ashton ed Edgardo di Ravenswood; il loro legame amoroso, ostacolato da interessi e contese tra due famiglie rivali, condurrà entrambi ad una funesta dissoluzione. Il racconto in versi è corredato da didascalie molto ricche di dettagli ed indicazioni utili alla messa in scena, rivelando la personalità di un Cammarano uomo di teatro a tutto tondo che lavora in perfetta intesa con il compositore per creare un capolavoro di straordinaria bellezza come Lucia di Lammermoor.

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Maria Grazia Schiavo

Molte sono le ragioni per apprezzare pienamente l’allestimento al Bellini di Catania. Le scelte registiche di Giandomenico Vaccari denotano un’approfondita conoscenza della fonte letteraria, nonché del libretto e della partitura, per una messa in scena che non vuole riscrivere la drammaturgia dell’opera, bensì cercare di renderla al meglio nel rispetto filologico dell’originale. Se  il Teatro è il luogo dove tutto si può fare, dunque lo spazio della massima libertà espressiva, Vaccari vive tale libertà con spirito di fedeltà all’opera rappresentata. Con le bellissime scene, gli eleganti costumi, le accurate proiezioni digitali di Alfredo Troisi, con le suggestive luci di Antonio Alario, il pubblico è trasportato dentro alle altezze e alle policrome ogive delle architetture gotiche immerse nelle fredde e brumose ambientazioni nordiche. Un altro elemento scenico che richiama direttamente la Scozia di Walter Scott è la presenza della neve, sia all’inizio che alla fine della rappresentazione, una neve che trascende la mera connotazione atmosferica per assumere una potente valenza simbolica, che si fa gelo dell’anima, freddo del cuore. Un ruolo fondamentale per la creazione di un clima tetro, caliginoso, di gusto gotico e soprannaturale è l’apparire intermittente di fantasmi (come quello che tormenta Lucia nella scena della fontana) che accompagnano i personaggi in scena e gli spettatori per tutta la durata della recita.

La direzione del maestro Stefano Ranzani si distingue per intensità interpretativa e rigorosa dedizione alla resa delle tonalità originali, alla cura e allo studio di ogni singolo suono, di ogni nota per trasformarli in un discorso musicale sublime che mantiene puro e integro il disegno armonico complessivo voluto da Donizetti. Come Ranzani stesso ha dichiarato, da direttore non vuole essere un demiurgo al di sopra di tutti che impone la sua lettura, ma desidera lavorare al servizio del compositore e del pubblico. Con mano esperta e cognizione dei tempi della partitura guida la nutrita, eccellente compagine orchestrale coinvolgendo intimamente il pubblico con tinte sonore soffuse e calibrando le esigenze della buca con quelle del palcoscenico e dei cantanti; il risultato è di livello altissimo, un suono limpido, definito, esatto negli attacchi e negli importanti segmenti solistici grazie ad un’orchestra decisamente in forma sfolgorante e ad una direzione così appassionata e carismatica. Precisi e puntuali anche gli interventi del coro, sapientemente istruito dal maestro Luigi Petrozziello.

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Maria Grazia Schiavo e Christian Federici

Il cast canoro è composto da artisti di ampia esperienza e talento: su tutti s’impone come indiscussa protagonista della serata Maria Grazia Schiavo, dotata di uno strumento vocale denso e carezzevole dal magnifico colore; la sua lunga frequentazione con uno dei ruoli più complessi per voce di soprano, la sua incomparabile padronanza tecnica che non le fa temere le ascese agli acuti e sovracuti né gli spostamenti d’agilità ai centri e ai gravi, oltre ad una straordinaria espressività attoriale sul palcoscenico fanno di lei una Lucia perfetta da tutti i punti di vista. Per l’intero corso della sua presenza in scena la Schiavo sfodera una vocalità fluente e disinvolta, pronta ad offrire a chi ascolta arditi gorgheggi, slanci drammatici di inarrivabile virtuosismo, trilli, volate, un repertorio ampio di colorature che esalta la virtù, la grazia, la purezza della passione amorosa di Lucia, ma sa evidenziare anche la fragilità, la delicatezza e la debole sensibilità del suo mondo interiore ferito al punto da distaccarsi dalla realtà e rifugiarsi nella follia quale evasione dal dolore. A tanta maestria ed efficacia interpretativa il pubblico del Bellini risponde con osannanti ovazioni a scena aperta a partire dalla cabaletta “Quando, rapito in estasi” del primo atto fino alla famosa “scena della pazzia” nel secondo atto della seconda parte dell’opera.

Protagonista maschile al fianco di Lucia è Edgardo, interpretato da Francesco Demuro. Il tenore mostra una voce di grande spessore, capace di accenti lirici e drammatici e di una linea di canto eccellente, duttile, soffice; l’abilità negli acuti brillanti e profondi cresce nel corso della sua performance fino a rendere più convinto il fraseggio e straziante, commovente il finale “Tu che a Dio spiegasti l’ali,/o bell’alma innamorata”. Qui si raggiunge con il fiato sospeso l’apice emotivo della rappresentazione, mentre immagini sonore e visive si fondono in un’alchimia ipnotica: Edgardo sul proscenio, pronto a darsi la morte, piange il suo disperato, perduto amore, invocando Dio affinché possa ritrovarlo in cielo; intanto dal fondo della platea assistiamo al lento incedere di una Lucia spettrale, rigida, emaciata, con lo sguardo impietrito, che avanza nel suo abito bianco insanguinato e lascia cadere al suolo dai pugni protesi piccoli frammenti di terra (forse una suggestione data dai versi di Alda Merini “Ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle/Potesse scatenar tempesta” che troviamo citati nell’atrio del Teatro?).

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Maria Grazia Schiavo

Il baritono Christian Federici rende il personaggio di Enrico molto efficace e convincente nell’evolversi della vicenda. Con la sua timbrica salda e robusta, con la spiccata e consapevole esposizione interpretativa, delinea la figura del fratello di Lucia con tratti più umani, meno aggressivi e prepotenti nell’imporre la sua volontà su di lei. Notevole la prova del basso George Andguladze nei panni di Raimondo; con la sua vocalità dal colore scuro e l’imponenza del fraseggio ben incarna il ruolo di ministro di Dio e confidente di Lucia. Completano bene il cast la devota Alisa della catanese Claudia Ceraulo, lo sventurato sposo Arturo del tenore Marco Puggioni,  ben centrato e credibile nella scena del matrimonio, il Normanno di Nicola Pamio.

Un teatro gremito in ogni ordine tributa giustamente ripetuti e calorosi applausi che culminano in uno scoppio di entusiasmo acclamante nel finale.

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Foto di Giacomo Orlando