Rubriche 2021

Giorgio Federico Ghedini e l’«altro» Billy Budd

l lavoro tende a sovraeccitarmi, il sonno non viene e allora si inizia quel giro vizioso che mi fa star male. Devo tentare di finire l’operino in un atto di Venezia ed ecco spiegato quasi tutto.

L’operina di cui parlava Giorgio Federico Ghedini non è altro che “Billy Budd”, atto unico su libretto di Salvatore Quasimodo che rischiò di creare qualche tensione di troppo nel mondo dell’opera lirica. Ghedini si accostò al titolo omonimo di Herman Melville verso la fine degli anni Quaranta del secolo scorso. L’Italia si stava riprendendo faticosamente dalle distruzioni della seconda guerra mondiale e l’ultima fatica del compositore piemontese, “Le Baccanti”, era stata una cocente delusione.

L’amarezza influì pesantemente anche sull’esito del nuovo lavoro, visto che Ghedini voleva abbandonare al più presto il genere teatrale e l’esito di questo “Billy Budd” rafforzò le sue convinzioni. Oltre alla prima rappresentazione sempre più vicina, il musicista di Cuneo fu costretto a fare i conti con l’irritazione di Benjamin Britten che stava lavorando allo stesso soggetto in quel periodo. L’opera di Britten è rimasta stabilmente in repertorio, mentre quella di Ghedini viene rispolverata meno frequentemente, nonostante sia precedente dal punto di vista temporale. Il debutto avvenne infatti l’8 settembre 1949 al Teatro La Fenice di Venezia, con tanto di scene e costumi curati da Renato Guttuso. Due anni dopo fu la volta di Britten.

Quest’ultimo non gradì affatto la concomitanza e temeva molto la rappresentazione veneziana: a suo dire, il pubblico avrebbe ascoltato l’opera, anche se soltanto alla radio, quindi l’interesse per lo stesso titolo sarebbe stato inferiore. Le trame sono infatti simili e le variazioni molto rare. I marinai della storia ricordano la figura di Billy Budd e il narratore illustra al pubblico i fatti che segnarono la storia della nave inglese Indomitable. L’accoglienza riservata a Ghedini fu contrastante. Gli apprezzamenti non mancarono, soprattutto da parte di coloro che pensarono di aver ascoltato il miglior esempio di opera moderna del dopoguerra italiano. Allo stesso tempo ci furono opinioni opposte, come quella di Guido Maria Gatti.

Il direttore de “La Rassegna Musicale” non risparmiò alcuna critica: per Gatti “Billy Budd” era semplicemente un tentativo di opera, senza spunti o materiale drammatico di qualche interesse. Questi giudizi non contribuirono alla diffusione dell’operina, anche se Ghedini aveva lavorato sodo per ottenere il miglior risultato possibile. Il diverso successo dei due “Billy Budd” è presto spiegato. I compositori si accostarono a Melville in maniera troppo diversa e la scelta di Britten fu premiata nel corso degli anni. In effetti, il compositore cuneese non affrontò il romanzo originale in inglese, ma velocizzò i tempi con un mediatore linguistico. Britten, al contrario, puntò tutto su due librettisti già affermati nel mondo della letteratura.

Ghedini pensò anche di essere in una botta di ferro con la collaborazione assicurata da Salvatore Quasimodo. Il futuro Premio Nobel realizzò un libretto anomalo, quello che ancora oggi viene definito “oratorio scenico”. Musicista e librettista attirarono grande interesse, ma non riuscirono a convincere tutto il pubblico. Gianandrea Gavazzeni ricordò il consenso unanime della prima serata, mentre sul “Mondo” si parlò di un “canovaccio intenzionale”. “Oggi” fu ancora più esplicito e accusò Ghedini di essere uno dei tanti cacciatori di applausi, un atteggiamento da censurare. Giudizi a parte, il romanzo di Melville è stato una ispirazione molto forte, sia per i drammi musicali che per il cinema.

Nel 1951, lo stesso anno della prima rappresentazione di Britten, l’adattamento di Coxe e Chapman vinse a Broadway il premio per la miglior recitazione. Il grande schermo, invece, fu dominato dalla pellicola di Peter Ustinov del 1962, ma già vent’anni prima Luchino Visconti aveva cercato di convincere il Ministero della Cultura Popolare con un progetto simile. L’idea venne bocciata a causa dei contenuti eccessivamente esterofili: il fascismo era ancora in auge e il romanzo non fu sfruttato neanche per fare propaganda contro i nemici inglesi. “Billy Budd” non fu comunque l’ultima opera lirica realizzata da Giorgio Federico Ghedini.

Nei dodici anni successivi furono altri quattro i lavori musicali, vale a dire “Lord Inferno” (1952), “L’ipocrita felice” (1956), “Girotondo” (1959) e “La via della croce” (1961). Proprio “Lord Inferno” garantì un buon successo all’autore. L’opera fu presentata come “comoedia harmonica” e vinse la quarta edizione del Premio Italia grazie a quella che Ghedini definì come “possibilità illimitata di cambiamento delle scene, delle prospettive, delle atmosfere”. Il titolo successivo, “L’ipocrita felice” non è altro che il riadattamento per le scene con il titolo originale del racconto di Max Beerbohm da cui Franco Antonicelli aveva ricavato il libretto.