Danza

Madina – Teatro alla Scala, Milano

È in scena in questi giorni alla Scala Madina, creazione artistica che ha debuttato nel 2021 e che torna ora in cartellone. Difficile definire Madina, opera di Fabio Vacchi, che ne compone le musiche, su libretto di Emmanuelle de Villepin, tratto dal suo stesso romanzo La ragazza che non voleva morire (2008) e coreografie di Mauro Bigonzetti. Se citiamo Bigonzetti per ultimo non è un caso perché in effetti Madina non è un balletto, ma un pezzo di teatro-danza o un’opera coreografata, che ha la nobile ambizione di portare in scena temi estremamente attuali dal terrorismo, alla violenza sulle donne, dalla guerra, alla responsabilità individuale delle azioni. La giovane Madina, dopo aver subito abusi e soprusi, è obbligata a farsi kamikaze dal violento zio Kamzan, ma sceglierà all’ultimo di disertare, subendo la conseguente condanna al carcere a causa della morte dell’artificiere che raccoglie la cintura esplosiva rifiutata dalla ragazza.

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Madina, Teatro alla Scala, Milano

La carica patetica dello spettacolo è indubbia, grazie soprattutto alla musica, estremamente evocativa, al coro scaligero che conferisce toni cupi e apocalittici, alle ottime capacità interpretative di Antonella Albano (Madina) e Gabriele Corrado (Kamzan) e alle luci dai toni infuocati che alludono a un teatro di guerra. La coreografia è caratterizzata da movimenti violenti, asciutti, rapidi e da una gestualità drammatica che trasmette tutta la sofferenza della quale Madina è vittima, strattonata, trascinata e violata dall’inizio alla fine. Anche il corpo di ballo partecipa di questo clima, alternando momenti coreografici narrativi – i migliori – come il gruppo di cittadini ceceni in apertura o i giornalisti che danzano nella sede di un giornale parigino (belli i costumi di Maurizio Millenotti) e che richiamano il teatro-danza di Pina Bausch, ad altri di carattere più simbolico, meno convincenti per un certo déjà vu. Le scene in cui si sviluppa la vicenda sono di Carlo Cerri, di impronta fortemente operistica, su diversi livelli e piani, fatto raro in un balletto; più riuscite alcune, come la già citata sede del giornale, più discutibili altre, come quelle con video proiezioni di incendi e fiamme che sanno un po’ di teatro di provincia.

Per esprimere tutta questa carica drammatica e questa complessità di temi Vacchi ricorre a diversi linguaggi, interpolando alla danza il canto lirico di un mezzosoprano e di un tenore (Anna-Doris Capitelli e Paolo Antognetti), quello del coro e la recitazione di un attore che racconta gli eventi (Francesco Aricò), forse nel dubbio che tale e tanta densità di messaggi avesse bisogno di un supporto verbale per essere mediata.
Il risultato tuttavia non convince, lo spettacolo manca di una sorvegliata regia che avrebbe dovuto armonizzare linguaggi tanto diversi e dare una struttura narrativa a quella che in ultima analisi è una storia tratta da un romanzo. Si percepisce il mood, l’intento di interrogare lo spettatore su drammi attuali, ma la mancanza di una maturazione psicologica dei personaggi in scena, persino di Madina della quale è difficile cogliere la scelta di non farsi carnefice, fa sì che lo spettatore non partecipi di questo percorso e ne esca più annoiato che turbato. La coreografia, nonostante il sempre eccellente corpo di ballo, appare ripetitiva e carente di quella struttura drammaturgica che la danza, anche quella contemporanea, deve avere. Mancano del tutto momenti coreutici veramente memorabili, sia del corpo di ballo che dei solisti, forse anche perché la musica di Vacchi, diretta da Michele Gamba, non è scritta per i danzatori e non è stata scelta da un coreografo. Se la musicalità post moderna è indubbiamente funzionale al clima di paura e morte che l’autore vuol esprimere, non si pone mai il problema di sostenere il movimento o quanto meno di accompagnarlo. Manca, insomma, un arco emotivo che porti lo spettatore all’applauso finale e difatti qualcuno lascia la platea prima della chiusura del sipario.