Spettacoli

Don Carlo – Teatro alla Scala, Milano

Come di consueto, OperaLibera vuole proporvi le impressioni a caldo sulla prima del Don Carlo scaligero, in attesa della recensione su accredito. 

“Decipit frons prima multos” la prima impressione spesso inganna, recita un antico motto latino, e proprio per questo motivo abbiamo deciso qui di offrirvi solo poche impressioni sul Don Carlo e non una recensione dettagliata che potrete poi leggere fra pochissimi giorni.

Anna Netrebko e Michele Pertusi

Come di consueto abbiamo assistito dal loggione del Piermarini a questa nuova ed attesa produzione e sotto i nostri occhi si è svolta una serata forse un po’ atipica, meno mondana e scintillante del solito. Lo si avvertiva già a partire dai pochi fiori in sala, che addobbavano solo due lati del palco reale, quello che nei giorni precedenti alla prima ha mosso tante polemiche politiche. Una serata caratterizzata da sparuti personaggi famosi e dall’assenza del Presidente Mattarella. Perché alla Scala non si assiste mai solamente ad una prima, ma ad un frullatore di sentimenti, stati d’animo, pensieri gridati ad alta voce, superflui, nel parere di chi scrive, in un paese di palese e storica democrazia, che da un singolo esplodono e riverberano mediaticamente come un fuoco fatuo. Un grande evento, uno show, anche televisivo che ingoia nel suo vortice tutto, crea polemiche e sensazionalismi che per fortuna poi velocemente sfumano. Opportuno invece è il grido silenzioso e garbato del sovrintende Dominique Meyer che in apertura di serata ricorda a tutti come l’Unesco abbia riconosciuto la pratica del canto lirico patrimonio immateriale dell’umanità. Fra le cose belle delle serata i tanti volti amici e quel sentirsi parte di una grande famiglia un po’ pazza, che guarda con gli occhi di bambini mai cresciuti al palco aspettando che avvenga la magia del teatro. Un incantesimo che sotto la regia di Lluís Pasqual avviene solo in parte, causa una messa in scena appesantita da una certa staticità e un eccessivo uso di toni serotini, ma ne parleremo più approfonditamente.

Musicalmente ci ha emozionato soprattutto la sorprendente prova di Anna Netrebko che, con questa splendida Elisabetta di Valois segna una delle sue prove migliori degli ultimi anni al Piermarini. Subito dopo gli applausi più grandi vanno alla sublime Eboli di Elina Garanča, di impareggiabile eleganza, nel canto e sulla scena. Michele Pertusi, al suo primo Sant’Ambrogio, si presenta in condizioni di salute non ottimali (percepite durante i primi due atti e confermate da un annuncio del sovrintendente Dominique Meyer prima della ripresa dello spettacolo), ma ciò nonostante la statura dell’artista consente di portare a termine il ruolo a regola d’arte, a testimonianza di una non comune intelligenza interpretativa ed esecutiva. Luca Salsi trova bellissimi colori per un Marchese di Posa a tratti particolarmente vigoroso. Francesco Meli dipinge un Don Carlo di assoluta credibilità anche se il settore acuto si mostra in più occasioni affaticato. Jongmin Park è un eccellente Frate, mentre come Grande Inquisitore, pur possedendone tutte le note, difetta un tantino di ieraticità.

Resta da dire della direzione di Riccardo Chailly, esemplare per precisione e per il lavoro di cesello sulla splendida compagine orchestrale. Va sottolineato, tuttavia, il predominare di colori plumbei e ritmi spesso rallentati che conferiscono al racconto una atmosfera a tratti troppo funerea.
Splendido più che mai, infine, il Coro scaligero diretto da Alberto Malazzi.
Al termine festeggiamenti per tutti gli interpreti (eccezion fatta per qualche contestazione rivolta a Meli) che si trasformano in grandi ovazioni per Salsi, Garanča e Netrebko. Pubblico diviso tra acclamazioni e disapprovazioni all’apparire di Chailly, mentre il team registico riceve sonore stroncature.

E mentre uscivamo da teatro per concludere i festeggiamenti ambrogini con una bella fetta di panettone, sentivamo crescere in noi il desiderio di tornare in teatro per assaporare di nuovo questo immenso capolavoro verdiano. A presto, dunque, per tutti gli aggiornamenti dalla corte di Filippo II.

19.12.2023

Come già anticipato, siamo tornati alla Scala per assistere  ad una replica dello spettacolo. È sempre curioso come si avvertano, dopo la prima di Sant’Ambrogio, una tensione ed emozione in sala completamente differenti. Alla seconda visione, lo spettacolo pensato dal regista Lluís Pasqual e dallo scenografo Daniele Bianco ci è parso riuscito solo in parte. Una produzione interamente giocata sulle tinte della notte: quel nero che è chiaro rimando alla pittura barocca spagnola. Un allestimento sicuramente elegante ma in verità anche molto statico, che sfrutta principalmente una grande torre rotonda al centro della scena e alcune grate e cancelli. Se il celeberrimo “Autodafé” risulta decisamente ricco e spettacolare, con il suo grande retablo dorato di gusto iberico, è anche vero che quest’ultimo viene usato per pochissimi minuti. A riempire la scena ed appagare gli spettatori sono per lo più i meravigliosi costumi alla moda del Seicento di Franca Squarciapino, dettagliati e ricchi risultano essere una delle cose più riuscite in assoluto. Taglienti e minimaliste le luci di Pascal Mèrat che seguono l’impostazione registica. Un po’ miseri, invero, i video di Franc Aleu che sono limitati però  al poco spazio concesso loro sulla grande torre al centro del palco. Ugualmente costretti sono i movimenti coreagrifici di Nuria Castejón, che spesso devono essere estesi a quasi trecento persone, che di fatto riempiono il palco. Più apprezzabili i momenti coreutici più intimi come quelli pensati per la “Canzone del velo”. 

Di gran livello il versante musicale dello spettacolo, con alcune punte di indiscutibile eccellenza.

In primis, e l’avevamo già potuto intuire in occasione della prima, la magnifica Elisabetta di Valois di Anna Netrebko che giunge a questo appuntamento in forma smagliante. La vocalità del soprano russo si conferma oggi di ineguagliabile bellezza e ricchezza, risuonando ampia nei centri e luminosa in acuto.  La facilità con cui Netrebko riesce a piegare uno strumento tanto importante, per volume ed estensione, in delicate mezzevoci e pianissimi di adamantina purezza, testimonia, inoltre, un magistrale controllo tecnico. In tal senso, risultano quasi prodigiose l’aria di primo atto “non pianger mia compagna” e, soprattutto, la preghiera a Carlo V nel quadro conclusivo, dove la voce sembra letteralmente galleggiare in sala con effetti a dir poco suggestivi. Il soprano conquista il meritato trionfo della serata non solo per la splendida esecuzione vocale, ma, anche, per la lettura interpretativa data al personaggio, qui dipinto, attraverso un fraseggio dinamico e ricco di colori, come una regina volitiva e combattiva.

Don_Carlo_Milano_2023_1
Elīna Garanča

Altrettanto efficace è Elīna Garanča che affronta il ruolo di Eboli con una vocalità salda e torrenziale, dal seducente timbro vellutato. Il mezzosoprano lettone, forte di una linea compatta e ben appoggiata, riesce ad imprimere al personaggio la giusta intensità disegnando con pregevole incisività lo sviluppo psicologico del ruolo. Eccola, allora, passare con naturalezza dalla ammiccante freschezza della scena del giardino, sino alla ruggente maledizione, in terzo atto, delle trame da lei stessa ordite, la cui impetuosa esecuzione le vale le acclamazioni del pubblico. Un plauso, inoltre, alla elegante e sempre raffinata presenza scenica.

È un vero piacere, poi, ritrovare Michele Pertusi in ottima forma rispetto a quanto udito alla prima, dove la prova complessiva ha risentito di qualche segnale di affaticamento. In questa occasione, lo strumento, con il suo peculiare impasto timbrico di puro velluto, si espande con limpidezza e sfoggia, ancora una volta, un controllo tecnico di infallibile precisione. Esecutore e fraseggiatore divengono un unicum imprescindibile nella creazione di un personaggio vivo e palpitante. Il Filippo II di Pertusi è un sovrano autorevole in pubblico ma, al tempo stesso, un uomo divorato, nella solitudine dei suoi appartamenti, dal dubbio e dall’inquietudine. La magistrale esecuzione di “ella giammai m’amò”, scandita con infallibile musicalità e il seguente duetto con l’inquisitore, punteggiato da un fraseggio scolpito nel marmo, rappresentato alcuni tra i momenti meglio riusciti della serata.

Luca Salsi presta al Marchese di Posa una vocalità ampia e ben sfogata, dispiegata con forza e possanza in una linea ben tornita e sempre piegata alla giusta valenza espressiva. Il baritono parmigiano mostra, come di consueto, una grande attenzione alla parola scenica e raggiunge il suo apice esecutivo nella scena del carcere, affrontata con il giusto impeto.

Nel ruolo del titolo, Francesco Meli si apprezza per la caratteristica bellezza di un mezzo dalla innegabile morbidezza e capace di piegarsi in apprezzabili mezzevoci. Permane, tuttavia, la tendenza a risolvere la salita nel registro acuto attraverso alcuni portamenti che producono, poi, occasionali durezze con esiti non sempre piacevoli all’ascolto. Di grande intelligenza e sensibilità, poi, l’interprete, che attraverso un fraseggio arguto e sempre pertinente, disegna il carattere irrequieto del personaggio.

Jongmin Park, con un mezzo dall’ampia cavata e dal timbro scuro, affronta diligentemente la scrittura del Grande Inquisitore, pur non possedendo quella tremenda ieraticità che dovrebbe scaturire da questo oscuro personaggio. Decisamente meglio riuscita la sua interpretazione del ruolo del frate.

Elisa Verzier è un Tebaldo vocalmente luminoso e scenicamente leggiadro.

Rosalia Cid scolpisce il proprio intervento come voce dal cielo con precisione e assoluta musicalità.

Completa la locandina Jinxu Xiahou che, nei doppi panni de Il conte di Lerma e Un araldo reale, offre una prova vocalmente solida.

Per quanto riguarda il podio, che tanto aveva diviso il pubblico la sera del debutto di questo spettacolo, ad un secondo ascolto non possiamo che ammirare la meticolosa cura con cui Riccardo Chailly lavora sulla partitura, scardinandone ogni passaggio e sbalzandone ogni più piccolo dettaglio. Il maestro milanese procede nel racconto musicale attraverso una visione di fondo cupa e pessimista, come se tutta la vicenda fosse costantemente permeata da un alito incombente di morte ed oppressione. Una visione suggestiva e di grande fascino, specie per la capacità di far affiorare tutti i colori espressivi del dettato verdiano ma che, se da un lato sembra sposarsi ottimamente con la lettura registica qui proposta, sembra poi voler rinunciare a qualsiasi altra sfumatura. Alle indicazioni di Chailly risponde l’Orchestra del Teatro alla Scala, in stato di grazia, tanto sono la bellezza e la rotondità del suono,

Un plauso incondizionato, infine, va rivolto allo splendido Coro del Teatro alla Scala, guidato superbamente da Alberto Malazzi.

Grande successo al termine con festeggiamenti particolarmente intensi per Netrebko, Pertusi e Garanča.

Marco Faverzani | Giorgio Panigati

Al di là di qualsiasi considerazione mondana, con la quale sarebbe facile infarcire la recensione di un evento come è sempre stato ed è la Prima della Scala, ciò che conta per l’appassionato esperto ed esperiente è sempre e solo la musica.
La cronaca di ciò che è accaduto davanti e dietro le quinte è facile da ricostruire anche non essendo stati presenti, ma ciò che è importantissimo, invece, è testimoniare l’evento musicale che prende forma in tale serata tradizionalmente prestigiosa e celebrata. Dunque, essere presenti significa assistere all’opera andata in scena come da tradizione, il 7 dicembre 2023, che precedentemente è stata pubblicizzata, anticipata, fotografata, analizzata dai tabloid, con un interesse volto spesso ben più agli accadimenti politici e mondani che precedono coinvolgono e seguono l’immancabile Inno di Mameli che apre la serata, seguito in questa occasione anche dall’annuncio del sovrintendente Dominique Meyer della fresca nomina dell’Opera Italiana quale “Patrimonio immateriale dell’Umanità” dall’Unesco”, che alla valenza artistica dell’evento.
Il sovrintendente Meyer… E’ giusto citarlo: colui che ha fatto del Wiener Staatsoper un teatro di meraviglie durante la sua direzione, adesso dona alla Scala la propria simpatia e semplicità, facendosi, poi, anche da portavoce dell’indisposizione che, purtroppo, colpito il basso Michele Pertusi, impegnato nella fondamentale parte dell’imperatore Filippo II.

Don_Carlo_Milano_2023_3
Michele Pertusi e Luca Salsi

Cronaca a parte, dunque, come prima accennato, quel che ha contato e dovrebbe contare per primo è l’ascolto; e tale ascolto, per chi scrive, parte sempre dal Direttore d’orchestra. Molti a dire e scrivere, allora, se sia “piaciuta” o “non piaciuta” la concertazione e direzione d’orchestra del Maestro Riccardo Chailly; ma in pochi che cerchino di esplicitare il perché di questa variabile di fondamentale importanza.
Il Maestro Chailly è un grande direttore d’orchestra; l’autorevolezza della sua bacchetta è innegabile e possiede, ovviamente, caratteristiche di gusto e impostazione che possono essere, come tutto in musica, condivise o meno. I tempi, per esempio: il Maestro ha una concezione dei tempi che a volte lo porta a dilatarli; ma nel contempo la sua capacità di sviscerare ogni sonorità, anche la più recondita, della partitura ne fa un gigante. Dargli dunque in mano il “Don Carlo” nella versione del 1886, in quattro atti in italiano, significa fargli affermare di avere da gestire “la Bibbia di Verdi”… E non è che la Bibbia, quella vera, sia facile e leggera da leggere e comprendere. Tenendo fede a questo paragone, altrettanto è accaduto al “suo” Don Carlo.
Affidandolo alla bacchetta di Chailly nella versione forse meno bella, a parere di chi scrive (che ama non solo i cinque atti in italiano, ma ancor più forse quelli originali in francese), ha significato dargli modo non solo di eseguire tale Bibbia ma anche di tuffarcisi dentro con il proprio modo di pensare la direzione e di concepire tempi e dinamiche. Pertanto, se la direzione di Chailly può non essere piaciuta ad alcuni è solo perché il Don Carlo è un capolavoro assolutamente bilanciato e ponderoso, concepito già di suo per essere tale. La direzione di Chailly, a tratti, lo ha reso talmente solenne che la grandiosità che scaturisce in automatico è diventata quasi insistenza. Un Don Carlo ipertrofico non risponde ai requisiti di tale capolavoro che non ha bisogno di essere ingigantito: è già immenso.

Ecco, dunque, la fonte della discordia dei pareri, alla quale chi scrive si unisce, ma sempre con immenso rispetto e ammirazione nei confronti di un grandissimo direttore d’orchestra, che è stato capace di tenere in pugno organico orchestrale e palcoscenico, in un’edizione scenicamente grandiosa e con un cast di tutto rispetto.
Eppure, siamo tutti esseri umani: si consenta alle meravigliose, iconiche figure che si stagliavano sulla scena di avere il mal di gola e una tosse che scappava a tratti: come è successo al grande Michele Pertusi. Si consenta alla primadonna Anna Netrebko di entrare in scena con un velo di stanchezza sia nelle sembianze che nella voce…E così via…

Il teatro e la vita non son la stessa cosa” diceva il grande Ruggiero nei suoi “Pagliacci”; dunque, una recensione di uno spettacolo a questi livelli può anche tener conto di qualche incidente di percorso e di qualche momento di defaillance; occorsi, per esempio, anche a Francesco Meli, nel ruolo del titolo. Appunto, il tenore, che ha la caratteristica (che va sempre più accentuandosi con il trascorrere della carriera) di stimbrare il piano, ha dato modo di far ascoltare falsetti alla francese che sarebbero stati ammissibili solo, al limite, nella versione francese dell’Opera verdiana. Dunque, unendo a questa sua caratteristica, che non a tutti i puristi e gradita, anche un’umanissima emozione, con un acuto che gli è sfuggito, si è creata la figura di un Don Carlo non particolarmente pregnante, né messa a fuoco debitamente.

Don_Carlo_Milano_2023_4
Michele Pertusi

Anna Netrebko, a parte ciò che prima si accennava, è stata una Elisabetta che non rispondeva ai canoni di dolcezza e arrendevolezza che sono propri del personaggio: una Elisabetta aspra nei toni, quasi ribelle e carica di insolita rabbia: il soprano ha dato del personaggio una lettura inusuale. Fermo restando, però, che vocalmente è stata, come sempre, fonte di finezze di emissione nei filati e nelle espressioni tecniche di grande difficoltà che caratterizzano questo ruolo. Era come se le fosse rimasta un’eco di Lady Macbeth nei gravi e nelle espressività. Ma resta e si conferma sempre una grande cantante.

Elina Garança, Eboli, che ha debuttato nel ruolo relativamente di recente, è stata la stella femminile più brillante in palcoscenico. Ha dominato la parte con grande perizia, sia tecnica che interpretativa e la sua Principessa, priva una volta tanto della benda all’occhio, ha destato l’entusiasmo degli spettatori. Chapeau.

Il Rodrigo di Luca Salsi si è mostrato un po’ distorto nel carattere, un po’ troppo ghignante e, nello stesso tempo, permeato, a dire dell’interprete stesso, da un egoismo che in effetti però non si è mai riscontrato nel carattere generoso e nobile di questo personaggio. Secondo il Salsi, Rodrigo “tira acqua al suo mulino” più che a quello dell’amico fraterno Don Carlo; e questo, per chi scrive, non corrisponde affatto ad una lettura caratteriale corretta. Pertanto il Salsi è stato un Rodrigo convincente fino ad un certo punto, mostrando una punta di egocentrismo personale anche nel curare sulla scena soprattutto i pezzi forti della propria parte, ma trascurando, purtroppo, l’intonazione di alcuni propri recitativi al primo atto.

Dispiace sottolineare la performance quasi mancata di Michele Pertusi, Filippo II, poiché lo si era sentito e visto giganteggiare in questa meravigliosa parte nella recente messa in scena di Modena. Tuttavia, pur se l’orecchio attento aveva notato la voce compromessa fin dalle sue prime battute, è rimasto soddisfatto dal suo “Ella giammai m’amò”, caparbiamente affrontata e ben riuscita, così come da tutto l’insieme della sua recita. Nel complesso, una grandissima lezione di tecnica, nel dominare corde infiammate e ribelli e catarri imprevedibili.

Don_Carlo_Milano_2023_2
Francesco Meli e Anna Netrebko

Del Grande Inquisitore, Jongmin Park, che ha sostituito l’indisposto Ain Anger ed ha sostenuto dunque due parti (era destinato solo a quella del Frate, interpretato come Carlo Quinto, nel IV atto, da Huanhong Li), è giusto sottolineare la correttezza e l’impegno: l’età è l’esperienza forgeranno il basso in nuce, che al momento incontra difficoltà nella cavata e deve curare i gravi profondi.

Tutti gradevoli gli altri interpreti; il Coro del Teatro alla Scala, diretto dal M° Alberto Malazzi, è stato impeccabile. Tale Coro, così come l‘Orchestra, si può considerare un’ “Eccellenza Italiana”.

E “last but not least” la regia di Lluís Pasqual, con le scene di Daniel Bianco e i bellissimi, tetri costumi di Franca Squarciapino, ambientata, una volta tanto, nel periodo storico corretto.
Una visione oscura, quella del Pasqual, pesante nella messa in scena, statica per il coro, un punto di vista dichiarato “intimistico” dal regista, che, pur rendendo interessante il “dietro le quinte” del Potere, anche nell’Autodafé con la vestizione dei sovrani, non ha reso brillantezza a quel tanto decantato “Barocco” a cui si diceva ispirato e che si riprometteva di ricreare in scena. Più spunti dai “Caravaggeschi” (Caravaggio è troppo, in questo caso) che dal Velázquez, dunque, nei colori corruschi e nelle luci fosche di Pascal Mérat : lo spettacolo si è mostrato visivamente eccessivamente solenne e appesantito, nonostante i movimenti coreografici di Nuria Castejón.

Pubblico di vip e meno vip, dunque, alla fine, di opposto pensiero su svariati fronti, fra applausi scroscianti e qualche dissenso.
Appuntamento, atteso già da adesso, al prossimo 7 dicembre 2024.

Natalia Di Bartolo

DON CARLO
Opera in quattro atti
Libretto di Joseph Méry Camille du Locle
Traduzione italiana di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi

Filippo II, Re di Spagna Michele Pertusi
Don Carlo, Infante di Spagna Francesco Meli
Rodrigo, Marchese di Posa Luca Salsi
Elisabetta di Valois  Anna Netrebko
La Principessa d’Eboli Elīna Garanča
Il Grande Inquisitore, Jongmin Park
Un Frate, Jongmin Park
Tebaldo, paggio di Elisabetta Elisa Verzier
Il conte di Lerma / Un araldo reale  Jinxu Xiahou
Una voce dal cielo, Rosalia Cid
Deputati fiamminghi Chao Liu,* Wonjun Jo,* Huanhong Li,*
Giuseppe De LucaXhieldo Hyseni,* Neven Crnić

*Allievi dell’Accademia di perfezionamento per cantanti del Teatro alla Scala

Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Coro Teatro alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Lluís Pasqual
Scene Daniel Bianco
Costumi Franca Squarciapino
Luci Pascal Mérat
Video Franc Aleu
Coreografia Nuria Castejón

FOTO: Brescia e Amisano – Teatro alla Scala