Spettacoli

Mefistofele – Roma, Teatro dell’Opera

Il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la nuova stagione con Mefistofele di Arrigo Boito, proponendo un allestimento complesso ed originale che si articola appropriatamente, in accordo alla struttura dell’opera, in una serie di quadri giustapposti che ci presentano una grande varietà di situazioni, con trovate d’effetto e di notevole interesse, talora intensamente commoventi, talaltra invece poco calzanti e non troppo convincenti.

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John Relyea

La regia di Simon Stone mantiene la scena costantemente inscatolata da pareti bianchissime, creando così un enorme stanzone che cambia colore grazie alle luci materiche ed efficaci di James Farncombe e dove sono collocati, come fossero giocattoli, gli arredi di Mel Page, autrice anche dei plastici costumi. Lo spazio è dunque chiuso, senza orizzonte, perfino nel Prologo in cielo, con schiere di figure immobili immerse in un candore abbagliante, perturbato soltanto dall’emergere di Mefistofele da una scala a chiocciola al centro del palco. Meno suggestivo e poco comprensibile il primo atto ambientato al luna park, giostra del mondo dove lo spirito diabolico, anziché travestito da frate, si presenta come un clown che ricorda It di Stephen King. Qui come altrove, il mettere in campo troppi elementi finisce infatti per allontanarci dalla vicenda, che è già nel libretto narrata da una lingua artificiosa ed eccessivamente letteraria. Di maggiore efficacia invece la scena nello studio di Faust, con immagini radiografiche che simboleggiano una scienza che indaga e scarnifica senza appagare il desiderio di sapere. Nell’episodio del giardino l’ambiente si illumina di verde mentre una lunga vasca piena di palline colorate evoca per un verso il gioco dell’amore, ma dall’altro lo spoglia di mistero e sensualità. Originale ed alquanto articolata la scena del Sabba, complesso e sinistro rito sacrificale durante un’adunata fascista. Se la Grecia di Elena con architetture da Las Vegas risulta posticcia e ci rimanda all’idea di una classicità divenuta feticcio e quindi non più perseguibile, la prigione e l’Epilogo sono sicuramente i quadri più emozionanti, il primo improntato ad una notturna essenzialità, il secondo invece ancora luminosissimo ed ambientato in una residenza assistita, assai confortevole ma falsamente rassicurante. Ed è comunque qui che Faust, nell’amarezza della vecchiaia e nell’imminenza della morte, riesce a lanciare il proprio sguardo al di là della scatola bianca, in direzione del pubblico, ed è là che finalmente, insieme agli altri anziani della casa, intravede un possibile orizzonte di pienezza.

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Joshua Guerrero e John Relyea

Su podio, alla guida dell’ Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, è il maestro Michele Mariotti con una direzione energica e coinvolgente, fin dal preludio dall’andamento maestoso ma punteggiato da pause ed arpeggi delicati. Di notevole solennità e formale rigore l’intero Prologo, con ben calibrati interventi del Coro del Teatro dell’Opera guidato da Ciro Visco e delle Voci Bianche dirette da Alberto De Sanctis; di grande unità poi tutta la scena del Sabba, dove il coro dà prova di estrema compattezza e precisione. Altre sezioni sono invece realizzate da Mariotti in maniera meno nitida, specialmente i passaggi in piano e in pianissimo, mentre talora l’orchestra viene spinta con un impeto eccessivo e finisce per coprire le voci. Resi però con estremo pathos e dolcezza tanto la scena della prigione quanto quella conclusiva.

Proteiforme il Mefistofele di John Relyea, che sbalza con spavalderia ogni attualizzazione del personaggio, dal clown inquietante al gerarca fascista. Omogeneo e voluminoso, con gravi robusti ed acuti ben proiettati, esibisce un fraseggio rotondo e marcato, anche se in velocità la dizione perde di limpidezza. Interpreta con ritmo e vivacità l’aria “Son lo spirito che nega” ed è di travolgente esuberanza nel Sabba.

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John Relyea, Maria Agresta, Joshua Guerrero

Il ruolo di Faust è affidato a Joshua Guerrero, che rende con una linea ferma e decisa la complessità del personaggio, evidenziandone con forza la natura camaleontica. Il timbro è chiaro e l’emissione costante, anche se al primo atto gli slanci riescono un tantino forzati. Dal secondo quadro però le salite in acuto divengono trasparenti e luminose, in un canto che intensifica il proprio spessore drammatico pur mantenendosi terso e melodico. Questo Faust di Guerrero è di volta in volta insoddisfatto o passionale, egoista o annoiato, fino al fallimento del finale a cui conferisce, con intensa espressività, un che di sereno e radioso.

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Maria Agresta e Joshua Guerrero

Maria Agresta è una Margherita struggente e tormentata, di accesa sensualità nella scena del giardino e di terribile dolcezza in “L’altra notte in fondo al mare”, resa con una voce di grande eguaglianza e con un’ottima tenuta delle note. E’ assai delicata in “Spunta l’aurora pallida” e spiccatamente drammatica nell’ampio monologo di Elena.

Agile e melodica la Marta/Pantalis di Sofia Koberidze e smagliante il Wagner di Marco Miglietta, con un canto potente anche se non troppo modulato; nobile il Nereo di Leonardo Trinciarelli.

Alla fine molto applauditi la Agresta e Guerrero, ovazioni per Relyea e Mariotti.

MEFISTOFELE

Musica di Arrigo Boito
Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo
Libretto di Arrigo Boito dal Faust di Goethe

Direttore Michele Mariotti

Regia Simon Stone

Maestro del Coro Ciro Visco
Scene e costumi Mel Page
Luci James Farncombe

Mefistofele John Relyea
Faust Joshua Guerrero
Margherita / Elena Maria Agresta
Marta / Pantalis Sofia Koberidze
Wagner Marco Miglietta
Nereo Leonardo Trinciarelli

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma

Foto:    ph Fabrizio Sansoni-Opera di Roma