Spettacoli

L’amore dei tre re – Teatro alla Scala, Milano

Dopo settant’anni, torna alla Scala L’amore dei tre re, il capolavoro di Italo Montemezzi su libretto di Sem Benelli

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Chiara Isotton e Giorgio Berrugi

“L’uomo è nato libero, e dappertutto è in catene” diceva Jean-Jacques Rousseau e l’opera del 1913 di Italo Montemezzi, parla proprio di  catene, anche se metaforiche, e di violenza.  Nella fattispecie quella che deve subire la giovane protagonista, Fiora, schiacciata ed infine uccisa dalla volontà di tre uomini. Un’opera in qualche modo attuale, perché parla di quella violenza domestica sulle donne oggi tristemente diffusa. Il regista Àlex Ollé, de La Fura dels baus, porta in scena proprio le catene da cui è legata Fiora. In un ambiente scuro e atemporale (scene di Alfons Flores), pendono una selva di catene di acciaio; una scelta evocativa, messa in risalto dalle luci particolarmente ispirate di Marco Filibec. L’allestimento si completa con un sistema di scale che si alzano dal pavimento fino a costituire la torre citata dal libretto, riportandoci alla memoria le fantasie di Maurits Cornelis Escher. Lo spettacolo, se da una parte risulta visivamente riuscito, tende però a stancare per una certa staticità, un generico senso di vuoto e forse per le scarse idee registiche; anche i costumi pensati da Lluc Castells risultano un po’ anonimi e poco ispirati. 

Il versante musicale dello spettacolo si regge, in primis, sulla presenza sul podio del Maestro Pinchas Steinberg. Il direttore, di comprovata ed acclarata esperienza in questo repertorio, offre una lettura appassionata e travolgente della partitura, un racconto strumentale denso ed avvolgente fatto di sonorità rotonde e vibranti. Il maestro ci regala, così, una prova stilisticamente impeccabile che, attraverso dinamiche dalle molteplici sfumature, sa cogliere l’intenzione dell’autore in un equilibrio sospeso tra il decadentismo delle pagine più liriche e l’incipiente verismo di quelle più scattanti e drammatiche (su tutte l’assassinio di Fiora). 
Ottima l’intesa con i complessi dell’Orchestra del Teatro alla Scala, protagonisti di una prestazione che risalta per precisione e brillantezza. Dalla buca si leva un magma sonoro di notevole compattezza che supporta al meglio le voci che agiscono sul palcoscenico.

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Chiara Isotton e Evgeny Stavinsky

Nel cast spicca la Fiora di Chiara Isotton. Il soprano sfoggia una vocalità rigogliosa, dai centri vibranti, che si espande con sicurezza verso un registro superiore ampio e ben proiettato. Attraverso una linea musicale e compatta, Isotton affronta la scrittura con la giusta veemenza e senza sbavature. Particolarmente riuscito anche lo scavo interpretativo del personaggio, grazie ad un fraseggio incisivo e ad una presenza scenica appassionata.

Evgeny Stavinsky presta ad Archibaldo un mezzo vellutato, corretto nell’emissione e preciso nello scandire la frase musicale. L’esecutore è piuttosto attento e adempie alle richieste della partitura in virtù di una esibita omogeneità tra i registri. Sotto il profilo interpretativo, poi, Stavinsky fraseggia con nobiltà e austerità, rifuggendo ogni eventuale eccesso emotivo del carattere del personaggio. Credibile e sufficientemente granitica la presenza scenica.

Roman Burdenko domina la parte di Manfredo con una vocalità sonora, ampia nei centri e ben timbrata in acuto. Adeguatamente curato l’accento che, grazie ad un buon utilizzo delle sfumature e dei colori, risulta piuttosto espressivo e variegato. Pertinente e disinvolta la caratterizzazione del personaggio sulla scena.

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Giorgio Berrugi, grazie ad una linea pastosa dal timbro chiaro, infonde in Avito tutto il possibile abbandono enfatico dell’amante appassionato. L’esecuzione vocale, al netto di qualche imprecisione della zona di passaggio, risulta piuttosto corretta. Anche il fraseggio, scandito attraverso un declamato languido ed incisivo, riesce a delineare al meglio l’impeto amoroso di questo personaggio.

Giorgio Misseri, con il suo timbro adamantino, tratteggia un Flaminio vocalmente ben rifinito ed interpretativamente coinvolto.

Completano la locandina lo squillante giovanetto di Andrea Tanzillo, l’incisivo fanciullo di Cecilia Menegatti, la puntuta giovanetta di Silvia Spruzzola, la vecchia ben caratterizzata da Daniela Salvo e, ancora, la ancella dalla spiccata musicalità di Fan Zhou.

Notevolissima, pur limitata a pochi interventi concentrati nel terzo atto, la prova del Coro del Teatro alla Scala, guidato con la consueta perizia da Alberto Malazzi. Da sottolineare, in particolare, l’intensità del cordoglio funebre espresso dinanzi al simulacro di Fiora in apertura di sipario.

Il pubblico, mosso da grande curiosità nello scoprire (o riscoprire) questo capolavoro musicale del repertorio tardo romantico italiano, partecipa numeroso allo spettacolo e riserva, al termine, vivo successo a tutti gli interpreti e direttore. 
Si chiude così la stagione d’opera 2022/2023 del Teatro alla Scala e ora i riflettori sono tutti puntati sull’attesissimo Don Carlo inaugurale del prossimo Sant’Ambrogio.

L’AMORE DEI TRE RE
Poema tragico in tre atti
Libretto di Sem Benelli
Musica di Italo Montemezzi

Archibaldo Evgeny Stavinsky
Manfredo Roman Burdenko
Avito Giorgio Berrugi
Flaminio Giorgio Misseri
Un giovanetto Andrea Tanzillo
Un fanciullo Cecilia Menegatti
Fiora Chiara Isotton
Ancella Fan Zhou
Una giovanetta Silvia Spruzzola
Una vecchia Daniela Salvo

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Pinchas Steinberg
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Àlex Ollé/La Fura dels Baus
Scene Alfons Flores
Costumi Lluc Castells
Luci Marco Filibeck

Foto: Brescia/Amisano – Teatro alla Scala