Spettacoli

Il trovatore – Teatro Municipale, Piacenza

La stagione d’Opera 2022/2023 del Teatro Municipale di Piacenza prosegue con una nuova, attesissima, produzione de Il trovatore di Giuseppe Verdi.

Un arrivederci, è quello che dà, attraverso Il trovatore il teatro piacentino. Dopo una bella stagione ricca di successi la lirica nella città emiliana si prende una pausa, fino alla Fedora prevista in ottobre. L’allestimento visto è frutto di una collaborazione fra il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, il Teatro Goldoni di Livorno, il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona e il Teatro del Giglio di Lucca. La regia è di Stefano Monti che cura anche i costumi e le scene insieme ad Allegra Bernacchioni. Ci troviamo in un indefinito luogo atemporale, pulito ed essenziale, dove si muovono all’occorrenza grandi monoliti che vanno a costruire gli spazi scenici. Tutto è colorato di rosso, sporcato di nero, simbolicamente i due colori più importanti del trovatore, simboli di amore e morte. Una cromia che ci ha ricordato più di una volta la serie delle Combustioni di Alberto Burri. Fra i pochi elementi sul palco un grande albero che rimanda alla quercia che Giuseppe Verdi stesso associò nel suo giardino al Trovatore. Sapiente l’uso delle luci, firmate da Fiammetta Baldisseri, interessanti gli inserti di alcuni giochi di ombre, curati da Teatro Gioco Vita. Ben curati e rifiniti i costumi di Stefano Monti.Uno spettacolo che riesce ad essere piacevole a vedersi e funzionale anche nella sua essenzialità. 

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Anna Maria Chiuri

Il trovatore è, senza dubbio alcuno, tra le opere più amate da generazioni intere di melomani, ma è anche tra le più complesse da eseguire, tante sono le insidie di cui è costellata la partitura.

Dal podio, il Maestro Matteo Beltrami sembra leggere questo capolavoro tutto d’un fiato, e sceglie per lo più ritmi serrati che ben sottolineano le brucianti passioni che animano i personaggi della vicenda. Una direzione incalzante ed asciutta che, scena dopo scena, mantiene costante il focus sulla tensione narrativa, pur nel rispetto delle oasi liriche rappresentate dai momenti solistici dei protagonisti, tra i quali assume un rilievo inusitato il personaggio di Azucena, che di fatto rappresenta anche il vero perno drammaturgico della vicenda. Una conduzione che rifugge ogni manierismo e valorizza, al contrario, la essenzialità del racconto musicale stesso. 

Buona la prova della Orchestra Filarmonica Italiana che, seguendo puntualmente il gesto di Beltrami, restituisce un suono compatto e brillante. Un certo eccesso di volume, soprattutto nelle chiuse dei singoli atti, sembra sposarsi, inoltre, con le atmosfere concitate di questo dramma di cappa e spada.

Il cast, nel complesso, asseconda le indicazioni provenienti dal podio in una esecuzione integrale e senza tagli della partitura.

Angelo Villari, dopo la recente partecipazione al Festival Verdi di Parma, torna a vestire i panni di Manrico. Il tenore possiede una vocalità solida e ben sfogata in acuto, dove suona adeguatamente voluminosa. Interessante il colore, limpido e solare, che si sposa ad un timbro piuttosto corposo. Villari affronta la scrittura di slancio, enfatizzando, complice anche un fraseggio spavaldo ed appassionato, soprattutto il carattere eroico del personaggio. Giunto all’atteso appuntamento con la famigerata “pira”, offre l’esecuzione con doppia strofa del brano, coronato da una puntatura che accende l’entusiasmo degli spettatori.

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Ilaria Alida Quilico e Chiara Isotton

Piacevole sorpresa è la Leonora di Chiara Isotton. Il giovane soprano si fa apprezzare per buona musicalità e per una emissione flautata che rende particolarmente gradevoli gli attacchi. Rifiniti e ben torniti i centri, sicuro il registro acuto. Se durante l’aria di primo atto si coglie una certa cautela, con la prosecuzione della recita, la Isotton sembra acquisire una maggiore consapevolezza sino ad un quarto atto intenso e partecipe. La vocalità è, senza dubbio, di quelle importanti e siamo convinti che con il tempo e la frequentazione del ruolo, il soprano possa raggiungere un ulteriore equilibrio complessivo. Sotto il profilo interpretativo, inoltre, questa Leonora viene ben sbalzata nella sua dimensione di giovane donna innamorata, fortemente determinata a salvare l’amante nel finale.

Anna Maria Chiuri si dimostra artista a tutto tondo. Il mezzo, dalle suggestive inflessioni contraltili, sembra calzare come un guanto alla scrittura verdiana. L’artista mostra piena e perfetta padronanza della propria vocalità che viene piegata con duttilità alle esigenze della parte; mirabile, infatti, è la capacità di dosare il suono e di legare le frasi mantenendo una costante compostezza esecutiva. Ogni frase viene cesellata con la giusta intensità espressiva, dando rilievo ad ogni singola parola e senza incorrere in inutili esagitazioni di tradizione. La ballata di ingresso, “stride la vampa”, si tinge, così, di sinistro terrore che, nel duetto seguente, lascia il posto alla apprensione e all’affetto materno. È nella scena finale, quella del carcere, dove la Chiuri riesce a trovare il proprio vertice esecutivo: un canto a fior di labbro, quasi sussurrato che, velato di malinconica rassegnazione sembra anelare ad una felicità che non tornerà mai più. Una prova davvero di alto rango.

Completa il quartetto dei protagonisti Ernesto Petti nei panni de Il Conte di Luna. Il baritono possiede una vocalità dal timbro squisitamente lirico, di buon volume e di facile proiezione verso il registro superiore. L’ingresso in primo atto sembra poco vigoroso, a causa, forse, di stanchezza. A partire dall’atto successivo le cose migliorano, pur al netto di qualche occasionale opacità nel registro acuto. Si rileva, ad ogni buon conto, l’interessante scelta di eseguire l’aria “Il balen del suo sorriso” con un sottile e abile gioco di sfumature. Abbiamo già avuto modo di ascoltare Petti in altre occasioni e, probabilmente, questa prova lo coglie non al meglio delle sue ben note possibilità vocali, pur nell’ambito di una prestazione complessivamente buona. Innegabile, al contrario, la sempre gradevole presenza scenica, partecipe e di sicuro effetto.

Pregevole il Ferrando di Giovanni Battista Parodi che colpisce per un mezzo dal suggestivo colore notturno, voluminoso e in grado di aggredire con buona facilità la scrittura della scena di apertura dell’opera. Non trascurabile, inoltre, la statuaria presenza scenica.

Tra le parti di fianco spicca la musicalissima Ines di Iaria Alida Quilico.

Positiva la prova di Andrea Galli, uno spigliato Ruiz.

Completano la locandina Domenico Apollonio e Lorenzo Sivelli che si disimpegnano con onore nei ruoli, rispettivamente, di un vecchio zingaro e un messo.

Ben a fuoco, per intensità ed equilibrio, la compagine del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto con solidità dal Maestro Corrado Casati.

Successo travolgente al termine da parte di un teatro completamente sold out. E ora si attende l’autunno operistico piacentino che prevede, come già detto, un nuovo allestimento di Fedora di Umberto Giordano e il ritorno di Don Carlo, altro grande capolavoro verdiano.

Marco Faverzani | Giorgio Panigati

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Chiara Isotton e Angelo Villari

La nuova produzione de Il trovatore del Teatro Municipale di Piacenza lascia il segno in un pubblico entusiasta e in fibrillazione. È bello vedere una sala viva a tal punto e il fervore è più che giustificato e ben riposto su di uno spettacolo che, nell’insieme, ha dato delle emozioni, che è lo scopo primario di questa arte. Ciononostante non è privo di ombre.

L’allestimento di Stefano Monti, coadiuvato alle scene da Allegra Bernacchioni e alle luci da Fiammetta Baldiserri, è ben realizzato e avrebbe potuto dare qualcosa in più se i pilastri si fossero mossi maggiormente e si fossero evitate quelle strutture su rotelle che più che al melodramma fanno pensare a un ferramenta. Pure trascurabili i bidoni di metallo. E sinceramente imbarazzanti le corde rosse, ormai tratto distintivo delle regie di Monti. Regia qui ben centrata in alcune pagine d’assieme, ma ridotta alle sole posizioni in molte parti solistiche.

Matteo Beltrami è il bravo direttore di sempre – molto efficace è la liaison col palcoscenico – ed è ben seguito dall’Orchestra Filarmonica Italiana, ma va segnalato che il suono è spesso forte e la resa è parca di cromatismi. Ottimo il lavoro dei corni.

Luci e ombre anche nel canto, partendo dal presupposto che, come diceva una grandissima prematuramente scomparsa, non bisogna pensare ad avere successo, ma bisogna pensare di fare bene. Un altro importante assunto sta nella preparazione al canto verdiano, da sempre vittima della grande popolarità delle opere del Cigno. Fino al secolo scorso ci si è abituati a una tradizione che ha rappresentato i modelli e i gusti del tempo. Fin qui, nulla da eccepire. Nel nuovo secolo un pubblico sempre meno numeroso e meno popolare, ma più affinato e pretenzioso, ha portato anche gli esecutori a voler sempre di più rispettare la filologia e la differenza tra gli stili. Oggi, grazie a scuole italiane ed estere che hanno ben funzionato – e speriamo continuino a produrre i loro risultati negli anni a venire – soprattutto per l’azione di musicisti eccelsi, abbiamo e godiamo di un lungo stuolo di ottimi cantanti barocchi e rossiniani. Ma Verdi? E Puccini? Proprio a causa del grande favore dei loro capolavori non si è mai pensato di fare scuola, ma si è sempre lasciato tutto nelle mani della moda del momento.

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Anna Maria Chiuri e Angelo Villari

In questa produzione la sola a rispettare completamente lo spartito è l’Azucena di Anna Maria Chiuri, che ci regala una vera e propria lezione di canto verdiano. Ogni parola è intonata e fraseggiata con cura, seguendo tutte le indicazioni fornite da Verdi e maturate in tanti anni di carriera, fregandosene – se così possiamo dire – dei colleghi e dell’orchestra che talvolta sembrano sovrastarla, poiché la sua professionalità non la fa piegare a una esecuzione sensazionalistica, bensì la induce maggiormente a prodursi in delicati pianissimi o accenti drammatici, talvolta disperati, altre patetici, dove e quando occorre; ovvero dove e quando è indicato nella partitura.

Angelo Villari, Manrico, è indubbiamente un cantante molto generoso, tenore dotato di smalto e ottimo squillo. In alcuni momenti la sua voce tocca corde emozionali e la richiesta di bis della pira è tutta meritata. Come pure Ernesto Petti, Conte di Luna, è baritono in possesso di un bel timbro cantabile e anch’egli riceve gli opportuni applausi a scena aperta. Ma per ambedue dove sono i colori? Gli accenti? L’espressività? Entrambi cantano quasi tutta la parte in forte o medio forte e hanno ben poco rispetto delle dinamiche previste. Ma durante le prove musicali il direttore dov’era?

Discorso a parte per la Leonora di Chiara Isotton, che indiscutibilmente cerca di fraseggiare, ma il risultato è piuttosto alterno. Bella voce che si sposa perfettamente al cantabile del quarto atto, è invece meno salda nella prima aria e nelle parti di carattere. Sembra quasi una giovane cantante che ancora sta cercando la giusta interpretazione per il ruolo, ma non dovrebbe essere questo il caso.

Buona la prova di Giovanni Battista Parodi, che porta in palcoscenico un Ferrando ben definito.

Molto bene l’Ines di Ilaria Alida Quilico.

Adeguato il resto del cast con Andrea Galli (Ruiz), Domenico Apollonio (un vecchio zingaro) e Lorenzo Sivelli (un messo).

Sempre bene il bravo Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati, anche se ci si sarebbe aspettato qualche colore in più.

Grandissimo successo per tutti, con molte chiamate alla ribalta.

William Fratti

IL TROVATORE
Dramma lirico in quattro parti
Libretto di Salvadore Cammarano
dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi

Il Conte di Luna Ernesto Petti
Leonora Chiara Isotton
Azucena Anna Maria Chiuri
Manrico Angelo Villari
Ferrando Giovanni Battista Parodi
Ines Ilaria Alida Quilico
Ruiz Andrea Galli
Un vecchio zingaro Domenico Apollonio
Un messo Lorenzo Sivelli

Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Corrado Casati
Regia e costumi Stefano Monti
Scene Stefano Monti e Allegra Bernacchioni
Luci Fiammetta Baldiserri
Ombre Teatro Gioco Vita

Foto: Gianni Cravedi