Rubriche 2021

Una vita semplice: Amelita Galli-Curci

Una vita semplice: è in questo modo che Amelita Galli-Curci, uno dei principali soprani di coloratura di inizio Novecento, descrive nel 1921 i suoi trentanove anni fino a quel momento vissuti in una intervista rilasciata al New York Times. Una modestia e una parsimonia che la caratterizzano sempre. Amelita Galli era nata a Milano nel 1882 in una famiglia borghese ed ebbe sin da subito l’importante possibilità di concentrarsi sullo studio del pianoforte. Ma doveva essere la sua voce a conquistare e non la musica prodotta dalle sue mani. Questa cantante autodidatta riuscì a sfruttare al meglio l’ottima impressione che aveva destato in Pietro Mascagni, compositore in rampa di lancio e che la incoraggiò a proseguire la carriera operistica dopo averla ascoltata.

Gli ascolti degli altri soprani e la lettura di vecchi trattati di esecuzione canora furono sufficienti per formare la sua voce, tanto è vero che il debutto avvenne nel 1906, a neanche ventiquattro anni. Fu scritturata a Trani e il suo primo ruolo fu quello di Gilda nel Rigoletto di Giuseppe Verdi. La fama cominciò proprio dal piccolo centro pugliese e cominciò progressivamente a espandersi in tutta Italia. Il doppio cognome non è altro che la conseguenza del suo primo matrimonio con il marchese Luigi Curci, un rapporto difficile e che terminò dopo dodici anni. Le recite sconfinarono in Europa e in America del Sud (in particolare si può ricordare la Lucia di Lammermoor a Buenos Aires con Enrico Caruso nel 1915).

L’approdo negli Stati Uniti, invece, avvenne quasi nell’anonimato, nel 1916. Si trattava di un soggiorno breve, ma la sua Gilda conquistò gli americani, tanto da costringerla ad accettare un contratto con la Chicago Opera Company. Nel 1921, appunto, fece parte per la prima volta della Metropolitan Opera House di New York, un connubio che durò fino al 1930. L’intervista citata in precedenza si riferisce proprio a questo periodo: la Galli-Curci parlò alla stampa della sua vita priva di dissipazioni, senza cene e divertimenti di sorta e senza concedersi nemmeno un bicchiere di vino, di thè o caffè. L’impressione fu immediatamente quella di una donna completamente dedita alla sua arte. Il debutto newyorkese nella Traviata la spaventava, ma confessò anche come si trattasse di una paura piacevole.

Nel frattempo aveva sposato il suo pianista che la accompagnava, Homer Samuels. Il 1930 fu un anno determinante, in quanto Amelita Galli-Curci decise di abbandonare i teatri all’età di quarantotto anni, convinta ormai che l’opera fosse giunta al tramonto. Da quel momento, si dedicò quasi esclusivamente ai concerti e fu ammirata soprattutto per aver affrontato con coraggio i suoi guai fisici. Non è un caso, infatti, che ancora oggi si parli del nervo Galli-Curci: operata alla tiroide nel 1935, il soprano milanese subì delle lesioni al nervo della laringe e questo le impedì di arrivare alle tipiche note del registro acuto. Il deterioramento vocale fu evidente nel corso di una interpretazione della Bohème nel 1936, un declino che la costrinse a ritirarsi in maniera definitiva dalle scene e a dedicarsi all’insegnamento del canto, attività che durò fino al 1963, anno della sua morte. Una delle sue principali allieve fu il soprano americano Jean Fenn.

Cosa si può dire della voce della Galli-Curci? Si può forse dire che il profilo timbrico non era tra i migliori in assoluto, ma senza dubbio il suo canto brillava per agilità, dizione e fraseggio. Spesso si parla male dei soprani leggeri di un tempo, ma basta ascoltare una delle tante registrazioni di questa cantante per ricredersi: la tecnica è completa, i brani leggeri sono caratterizzati da grande gusto e in più mancano le leziosaggini che si è abituati a sentire ai giorni nostri. La sua carriera poteva concludersi molto più tardi, ma gli eventi hanno voluto diversamente: la dedizione e la passione per l’opera italiana (definita da lei stessa come un qualcosa di unico e inimitabile) furono delle alleate più che valide sul palcoscenico, la Galli-Curci ha cantato per trasmettere queste sue emozioni al pubblico e renderlo ancora più partecipe. Basta una sua frase per capire come considerasse il teatro, pronunciata in occasione del ritiro: Non usiamo gli stessi giocattoli per tutta la vita! E quel giocattolo lei lo ha reso divertente e coinvolgente, un qualcosa a cui è impossibile resistere.