2014

Concerti 2014

NICOLAS KRAUZE [Lukas Franceschini] Verona, 8 febbraio 2014.
Il terzo della Stagione Sinfonica al Teatro Filarmonico è stato a dir poco memorabile con un programma sfizioso dedicato al ‘900.
Bisogna dare atto al Direttore Artistico, Giovanni Gavazzeni, di essere riuscito in una programmazione concertistica molto accattivante e preziosa offrendo l’esecuzione di pagine musicali inconsuete e con parti solistiche di primo piano.
Un esempio è offerto dal concerto in oggetto: Sostakovich, Ravel e Bartok, tre autori cardine del secolo scorso. Del compositore russo abbiamo ascoltato la rarità del Concerto n. 1 per pianoforte e tromba n. 1 Op. 35. Opera del 1933 con organico cameristico, infatti, è accompagnata da soli archi, esprime la musicalità dell’autore che sotto taluni aspetti fa il verso a Sergeij Prokofiev. La musica è briosa, talvolta spregiudicata ma intrisa di un acceso ritmo melodico, fondendo molteplici influenze occidentali in un’elaborata e personale ibrida freschezza. Ravel compose il Concerto in Re Magg. per la mano sinistra nel 1931 dopo aver conosciuto il pianista Paul Wittgenstein a Vienna, il quale durante la prima guerra mondiale era rimasto mutilato del braccio destro, ma aveva continuato con ostinazione e coraggio la carriera concertistica. Di famiglia facoltosa aveva potuto commissionare spartiti specifici a diversi compositori tra cui Richard Strauss e Prokofiev. Ravel scrisse una delle sue pagine migliori come rilevato da tutti, ed espresse una pienezza sonora dalle cinque dita di estrema ricchezza e varietà pari ad una tastiera suonata da entrambi le mani, non dimenticando la cadenza finale con sonorità barocche che impegna il solista in difficoltà quasi impossibili. Nella seconda parte il celebre Concerto per orchestra di Béla Bártok, commissionato dalla Kussevitzki Fundation ed eseguito per la prima volta alla Carnegie Hall nel 1943. Ultimo lavoro per orchestra del compositore della Transilvania è lineare e disteso rispetto ai precedenti, la compagine strumentale è molto folta e la struttura grandiosa, raggiungendo risultati magnifici. La varietà strumentale e ritmica sono imponenti, sia nelle sezioni centrali, in cui si ravvisa un beffardo can-can, sia e soprattutto nel tempo finale un vortice di suoni di elevato virtuosismo orchestrale.
A dirigere queste peculiari partiture abbiamo avuto la felicissima sorpresa di conoscere il direttore francese Nicolas Krauze, il quale è dotato di tecnica sopraffina che pone l’accento soprattutto ai dettagli ma raggiunge esiti ottimali anche nell’insieme delle partiture. Una presenza che speriamo di rivedere presto e frequentemente a Verona. L’orchestra dell’Arena di Verona è particolarmente maturata in questi ultimi anni offrendoci prestazioni di rilievo soprattutto in campo sinfonico. Anche in quest’occasione è stata particolarmente brillante e malleabile in stili così differenti, la sezione archi era decisamente coesa nel primo brano, mentre qualche incoerenza marginale si è riscontrata nella sezione fiati nel concerto finale.
Di pregio anche a presenza del pianista Roberto Cominati, ben preparato tecnicamente, stile appropriato ed innata eleganza. In Sostakovich era brillante nel tempo ritmico ma il meglio arrivava nel brano di Ravel ove incisività, passione e virtuosismo erano encomiabili. Ci regala due bis, dei quali ho riconosciuto solo Claire de lune di Debussy, intimistico ed estasiante. Menzione particolare alla prima tromba dell’Arena di Verona Massimo Longhi che ci ha ammaliato per tecnica e particolare briosità di sfumata interpretazione.
A tutti è arriso un sincero, convinto e meritevole successo.

FRANZ SCHOTTKY [Lukas Franceschini] Verona, 15 febbraio 2014.
La Stagione Sinfonica al Teatro Filarmonico prosegue con un programma dedicato al romanticismo ottocentesco e all’espressionismo del novecento. Il Concerto per violino e orchestra fu composto da Brahms per l’amico concertista Joseph Joachim nel 1877 ed è contraddistinto dal forte impatto lirico. La considerevole imponenza del primo movimento ove si scorgono temi diversi – discorsivi, energici, lirici – si finisce producendo una grandiosa elaborazione contraddistinta da una cadenza (composta dallo stesso Joachim) che si riallaccia all’esposizione iniziale. Mirabili prestazioni virtuosistiche sono richieste al violinista nell’adagio – secondo movimento – per poi concludersi in un tempo finale agli antipodi del primo, ove Brahms attinge alle musiche popolari ungheresi creando una sonorità cristallina e martellante, lasciando libero spazio al solista di “giocare” virtuosisticamente con l’orchestra in un vortice che rasenta temi tzigani, quasi una velocissima czarda.
Quando Sostakovich compose a soli diciannove anni la sua Prima Sinfonia (1925), lasciava intendere già una prodigiosa carriera di musicista, in seguito non disattesa. L’opera è tipicamente giovanile, spumeggiante di vivacità talvolta anche grottesca ma in sé racchiude elementi lirici del contemporaneo che poterebbero parafrasare la musica di Prokofiev. Gli effetti sono strabilianti per la strumentazione oltre ad una personalissima funzione dei tempi, tra i quali spicca il quarto caratterizzato da una ritmica nitida ed interiore.
La violinista Anna Tifu ritorna ad esibirsi in concerto a Verona dopo gli ottimi esiti precedenti e riconferma le sue particolari doti interpretative e tecniche. Nel concerto tocca la vena di una delle massime espressioni del romanticismo d’oltralpe, e qui la nostra interprete si esibisce in una performance tesa e scintillante sovrastando spesso l’orchestra in quel continuo duello incessante di suono, lei sa come rendere il suo strumento unico ed imperante nel contesto. Non è trascurato l’elemento lirico reso con raffinata eleganza e un fraseggio ispirato, per trionfare nel tempo finale in un gioco di colori, tecnica prodigiosa e seduzione interpretativa di prim’ordine.
Franz Schottky, credo per la prima volta al Filarmonico, concerta con rigore e perizia mettendo accenti di valido sentimento e tenendo a buon filo l’orchestra veronese, in ottima forma, nel concerto brahmsiano mentre nella sinfonia ha posto particolare rilievo agli aspetti folkloristici cui le alle sezioni dei fiati erano chiamate a prova importante, non disattesa.
Grande successo al termine, in particolare per Anna Tifu, la quale ha concesso quale bis una sezione della Partita n. 2 di Johan Sebastian Bach.

SERGEJ ALEKSANDROVIC KRYLOV – ROMAN BROGLI-SACHER [Lukas Franceschini] Verona, 8 marzo 2014.
Il nuovo appuntamento della Stagione Sinfonica della Fondazione Arena aveva la peculiare presenza del violinista russo Sergej Aleksandrovic Krylov del direttore tedesco Roman Brogli-Sacher. In programma, il Concerto per violino e orchestra di Piotr Ilic Cajkovskij e la Sinfonia n. 4 in Sol Magg. di Gustav Mahler.
Il Concerto per violino fu eseguito solo nel 1881 a Vienna dopo tre anni dalla sua composizione ed è da sempre una partitura preferita dai grandi violinisti. In effetti, è una delle pagine di più fenomenale virtuosismo per violino che sia state scritte, cui sono affidate incombenze rasenti il trascendere. Il clima della composizione è decisamente russo, anche se non una delle partiture migliori di Cajkovskij, tuttavia gli episodi enfatici e liricizzanti si rincorrono con la brillantezza dell’ultimo movimento, nel quale gli effetti virtuosistici e sonori sono di estrema enfasi.
Nella seconda parte della serata la sinfonia mahleriana, brano atipico nel panorama del compositore poiché ha un organico ridotto rispetto alle altre, mancano addirittura i tromboni. I temi rincorrono sotto taluni aspetti la melodica mozartiana e del settecento. Particolare mansione è data al violino solista che tracia una sorta di danza dal sapore chopiniano sopra gli altri strumenti, per arrivare al finale ove per la prima volta compare il cantante solista, qui un soprano, che canta un lied da Il corno meraviglioso del fanciullo descrivendo le gioie placide del paradiso, la sinfonia si termina in modo sereno ispirando un mondo irreale lontano dall’uomo.
Il concerto è stato quasi memorabile. Innanzitutto per il grado elevato raggiunto dall’Orchestra della Fondazione Arena in campo sinfonico, che negli ultimi anni è stato particolarmente apprezzato anche dal pubblico che gremisce la sala ad ogni concerto. Quest’aspetto va doverosamente rilevato ed apprezzato, quando invece sovente si tende a valorizzare più i complessi ospiti saltuariamente a Verona, senza rendersi conto di cosa possediamo in casa. L’altro punto era la presenza del violinista russo Krylov che nel celebre concerto cajkovskiano ci ha ammaliato ed estasiato. Il violinista è un eccellente virtuoso con tecnica strabiliante accomunata da un altrettanto poetico linguaggio d’espressione. Non mancano momenti di grande stupore nell’ammirare la perfetta esecuzione e la brillante profusione di un suono sempre calibrato e di nitido ascolto. Brogli-Scher è un compìto accompagnatore, non sempre in sintonia con il solista, manca almeno in parte della leggerezza del romanticismo che il pezzo richiede.
Lo stesso direttore nella seconda parte dirigendo la Sinfonia mahleriana trova un terreno molto più fertile ed ispirato della sua bacchetta. La brillantezza dei colori, i trasporti psicologici della più ispirata composizione di Gusta Mahler si sono uniformati ad uno stile meritevole di plauso anche e soprattutto nel riflusso della tematica iniziale ben resa dall’orchestra, che ha avuto qualche incertezza negli ottoni. Il quarto movimento è accompagnato da un lied cantato da Lisa Houben, che non andava oltre la sufficienza, sia per interpretazione sia per voce non particolarmente calibrata.
Grandioso successo al termine con ovazioni per Krylov che regalava al pubblico due bis: una Trascrizione della Toccata e Fuga in re min. di Johann Sebastian Bach e il Capriccio n. 24 di Niccolò Paganini.

VERDI DANSE [Simone Ricci] Roma, 17 aprile 2014.
Il Teatro dell’Opera di Roma ha scelto cinque serate per mettere in scena questo spettacolo, una selezione accurata di musiche di Giuseppe Verdi tratte dai ballabili delle sue opere.
L’omaggio del Teatro Costanzi alle musiche tratte dai ballabili delle opere di Giuseppe Verdi si deve a un’intuizione di Micha van Hoecke, direttore del Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Una selezione del genere non era affatto semplice, anche perché lo spettacolo è stato condensato in meno di due ore, ma il risultato finale è stato apprezzabile dal punto di vista dell’amalgama e della fusione tra le varie musiche. Che cosa hanno in comune “Don Carlos”, “I masnadieri”, “Macbeth”, “Jérusalem” e “I Vespri Siciliani”? Ovviamente le storie e le ambientazioni non coincidono, ma la coreografia del danzatore e regista belga ha permesso al pubblico (non molto numeroso a dire la verità nella prima replica a cui ho assistito) di fruire di uno spettacolo fluido e scorrevole.
Queste musiche verdiane sono fin troppo spesso trascurate, dunque l’occasione per apprezzarle era ghiotta: il contributo del Cigno di Busseto al balletto è stato tra i più importanti dell’800, visto che il compositore, pur non apprezzandolo, doveva rispettare il meccanismo del grand opéra parigino, il quale imponeva allestimenti sfarzosi, grandi scene di massa e vivaci coreografie da inserire nel secondo e soprattutto nel terzo atto delle rappresentazioni. Il Teatro dell’Opera di Roma ha selezionato le cinque opere citate in precedenza, affidandosi ai costumi eleganti e variopinti di Anna Biagiotti.
“Verdi Danse” inizia con un accenno al pianoforte della cosiddetta “Romanza senza parole” di Verdi, un breve preambolo prima di consentire all’orchestra di cimentarsi con i primi ballabili, quelli del “Don Carlos”. La scena è dominata da un fondale in cui il volto del compositore viene riprodotto più volte, una sorta di quadro di quelli che hanno reso famoso Andy Warhol. Un giovane di cui non si conosce l’identità (potrebbe essere lo stesso Verdi visto che in scena c’è anche il violinista Bagasset, il primo ispiratore del bussetano quand’era bambino) incontra dei musicisti: i due ballerini protagonisti nella serata di ieri erano Erika Gaudenzi e il lettone Timofei Andrijasenko, a loro agio nel dar vita ai tipici sentimenti del “mago”, vale a dire l’amore, i contrasti familiari e anche la nostalgia.
Le note successive non appartenevano invece a un ballabile: si tratta dell’ouverture de “I masnadieri”, con il suo celebre e struggente assolo di violoncello (magari un po’ troppo rallentato in alcuni punti) e due soli ballerini in scena. Denys Ganio, popolarissimo in Francia e non solo, poteva essere nuovamente Verdi che ripercorre le tragedie che hanno caratterizzato la sua vita (la morte dei due figlioletti e della prima moglie Margherita Barezzi), mentre a Gaia Straccamore spettava il ruolo di anima, elegante e raffinata. Le danze del “Macbeth” venivano invece dominate da Ecate, ruolo affidato ad Alessandra Amato, una dea della notte seducente e misteriosa.
La scenografia mostrava una grande luna di colore nero, con tanti samurai ad accompagnare la ballerina, una sorta di rivisitazione giapponese della famosa tragedia, con parecchie scelte visive in grado di trasmettere al pubblico le emozioni crescenti. Ecco poi i numerosi balletti tratti da “Jérusalem”, la versione francese de “I lombardi alla prima crociata”. L’atmosfera era più vivace e frizzante, con Vinicio Colella al pianoforte e le ballerine parigine del pittore Edgar Degas alle prese con i loro esercizi e i vezzosi tutù, una ripetizione continua di jetées e rond de jambes. La prima parte si chiudeva con “Arrigo”, una breve danza di un uomo con maschera (Manuel Paruccini) e il solo accompagnamento alla fisarmonica di Mario Stefano Pietrodarchi.
Dopo un veloce intervallo, la seconda parte di “Verdi Danse” era dedicata interamente ai ballabili de “I Vespri Siciliani”. Scelta piuttosto azzeccata, con danze scatenate (il balletto delle Quattro Stagioni) e costumi ricchissimi. La coppia Alessio Rezza-Roberta Paparella impreziosiva il tutto e gli applausi più convinti erano proprio quelli al termine della performance solitaria di Rezza. Le scene di Carlo Savi risultavano essenziali ma appropriate, mentre l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma era diretta con sicurezza e piglio deciso da David Garforth, bacchetta britannica che vanta numerosi balletti nel suo curriculum. È un peccato che il pubblico non sia stato numeroso, con le novità si può anche rischiare un risultato di questo tipo, ma “Verdi Danse” ha celebrato degnamente la musica del compositore emiliano, nonostante le sole cinque serate scelte dal Costanzi.

STABAT MATER [Lukas Franceschini] Verona, 17 aprile 2014.
In prossimità della Pasqua la Stagione Sinfonica della Fondazione Arena ha programmato l’esecuzione dello Stabat Mater di Gioachino Rossini al Teatro Filarmonico.
E’ supposto che durante un viaggio in Spagna nel 1831 Rossini si lasciò convincere la composizione di uno Stabat Mater riservato alla cappella privata del cardinale Don Manuel Fernandez Varela. Il testo della celebre sequenza attribuito a Jacopone da Tosi fu suddiviso in dodici parti. Rossini nell’anno successivo ne musicò solo sei, poi causa malanni di salute pregò l’amico Giovanni Tadolini di musicare i restanti, ed in questa veste lo Stabat Mater fu rappresentato a Madrid nel 1833. Deceduto il cardinale, i suoi eredi vendettero il manoscritto all’editore Aulangnier, Rossini si rimise al lavoro non volendo che fosse pubblicata la versione a due mani e intentando causa allo stesso editore, da cui ne nacque un processo con la parziale vittoria del pesarese. Rossini dopo aver ridotto i sei pezzi musicati da Tadolini a quattro ne compose la musica e la prima esecuzione del definitivo rossiniano avvenne alla Salle Ventadour di Parigi nel 1842, con protagonisti: Giulia Grisi, Emma Albertazzi, Mario di Candia e Antonio Tamburini. Con la “Petite Messe Solennelle” è da considerarsi tra i capolavori sacri della vecchiaia oltre ad essere la sua composizione nel genere più eseguita. Scritto anni dopo il culmine della sua attività creativa, abbandonata a soli trentasei anni nel 1829, lo spartito conserva la prassi dei numeri chiusi e l’alternanza delle arie solistiche a pezzi d’assieme, oltre allo stile della formazione giovanile impartita da maestri come don Malerbi e Padre Matteri. Colpisce il linguaggio armonico, l’orchestrazione ricercata e la grandiosità delle parti soliste. Nel marzo successivo lo Stabat Mater fu eseguito a Bologna, prima italiana, dove il compositore curò personalmente la preparazione, ma prego l’amico Gaetano Donizetti di dirigere l’esecuzione.
Stefano Montanari, stravagante direttore nell’abbigliamento, tornava a Verona dopo il meraviglioso Dido and Aeneas dello scorso anno. La concertazione della partitura è cesellata nella scelta dei tempi molto stringati e una dettagliata analisi del ritmo molto duttile e con cura estetica che oserei affermare barocca. Egli tralascia lo spirito oratoriale preferendo una lettura quasi teatrale. In tale linea lo segue con particolare immedesimazione la brava Orchestra dell’Arena molto corposa ma precisa nelle varie sezioni. Anche il Coro, istruito da Armando Tasso, ha fornito una prova convincente di solida compattezza e professionalità.
Il quartetto solistico era invece molto disomogeneo. Pretty Yende, giovane soprano “scaligero” oggi di fama quasi internazionale, ha una voce troppo leggera per esprimere la drammaticità della parte, in particolare dell'”Inflammatus”, pur avendo un registro acuto di ottima fattura. Più convincente Ekaterina Semenchuk, mezzosoprano russo, con voce di rango ma in parte poco espressiva. Francesco Marsiglia è tenore interessante con bel timbro chiaro e linea di canto convincente, la partitura prevede il Re bem. che realizza in una sorta di falsetto poco stilizzato, meglio sarebbe stato a voce piena. Infine, il basso Mirco Palazzi (che sostituiva all’ultimo il previsto Marco Vinco), il quale possiede un timbro molto accattivante ma è poco espressivo e con fraseggio monotono.
Buon successo al termine, con molte chiamate.


XU ZHONG [Lukas Franceschini] Verona, 27 aprile 2014.
Verona, 27 aprile 2014. Grandioso successo per il pianista e direttore cinese Xu Zhong nell’ambito della rassegna Concertistica della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico.
Il programma era accattivante: Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven, Danza dei sette veli da “Salome” e Suite Op.59 da “Der Rosenkavalier” di Richard Strauss. Il primo concerto beethoveniano è stato definito un’elegante musica di società, non in senso dispregiativo, che risente ancora l’influenza di Haydn, analogo paragone con la Sinfonia n. 1, tuttavia si ravvedono elementi di rilevante personalità nel Rondò conclusivo. La genialità del compositore sfocerà in seguito ma va ammirata l’eleganza della strumentazione e la sciolta inventiva pianistica che creano un profilo musicale di piacevole fluidità. Il pianista e concertatore Zhong è interprete preciso e raffinato, capace di considerevole trasparenza nel fraseggio e di un’esemplare eleganza che mai lo portano a momenti forzati, ricama la tastiera come fosse di cristallo nel sapiente, delizioso e passionale ricamo musicale. Altrettanto si può afferare nella veste direttoriale, nella quale colpiscono l’assoluta padronanza degli equilibri delle varie sezioni orchestrali.
Richard Strauss è “padrone” della grande orchestra sinfonica del ‘900, e con l’opera Salome (da Oscar Wilde) affronta il tema della seduzione, complessa ed estrema. Nella celebre danza seduttiva la protagonista sfodera tutto il suo passionale erotismo e mette in luce aspetti quasi inimmaginabili rispetto la giovane e viziata fanciulla che si presenta all’inizio. La danza è un vortice di passione intima ma portata all’eccessiva esaltazione. Né “Der Rosenkavalier” il compositore tedesco rende omaggio alla Vienna imperiale di un tempo, al momento della composizione giunta al crepuscolo. Il walzer è il tema portante dell’esecuzione (una suite tratta dall’opera) in magico mondo fantastico, elegante, ormai perduto e che non avrà altro revival. Definirei eccellente la sintonia tra il direttore e l’Orchestra dell’Arena di Verona in queste due sezioni di grande difficoltà interpretativa tecnica. La perfetta musicalità di Zhong si dimostra trascinante per tutte le sezioni orchestrali, in particolare fiati e percussioni qui in primo piano. Appassionato nella danza, ma fermo e concentrato il braccio nei momenti più incisivi, tenendo la compostezza e l’eleganza che contraddistingue il suo essere musicista. Una presenza quella del maestro Xu Zhong che ci auguriamo di vedere presto a Verona, credo ne sia stato convinto anche il pubblico, seppur non numeroso, che ha tributato un autentico trionfo sia al direttore sia all’organico orchestrale al gran completo.

FESTIVAL MONTEVERDI 2014 [Marco Benetti] Cremona, 2 maggio 2014.
Il Festival Monteverdi 2014 intitolato “Les Nations” si è aperto quest’anno con uno spettacolo alquanto singolare che ha visto protagonisti Il canto di Orfeo Ensemble  diretto da Gianluca Capuano e le magnifiche marionette della Compagnia Carlo Colla & Figli.
Dando uno sguardo generale al programma del festival risulta chiaro che il titolo della manifestazione “Les Nations” vuole essere un preludio ad EXPO 2015: per ogni nazione viene presentata una coppia di concerti che prenderà in considerazione, nei rispettivi padiglioni, la musica barocca italiana, francese, tedesca e inglese. In questa prospettiva si colloca il concerto di apertura tutto dedicato alla musica dell’autore che da il nome alla manifestazione, Claudio Monteverdi. La scelta è caduta su due madrigali di genere rappresentativo, Il Ballo delle Ingrate e il Combattimento d Tancredi e Clorinda tratti entrambi dall’ VII libro dei madrigali (Venezia, 1638). La scelta consueta di rappresentare scenicamente questo genere di composizioni si è realizzata con l’intervento delle marionette della Compagnia Carlo Colla & Figli di Milano, che con la regia di Eugenio Monti Colla hanno dato vita ai personaggi mentre Il canto di Orfeo diretto da Gianluca Capuano ha fatto risuonare nel Teatro Ponchielli di Cremona le armonie del cremonese.
Per il Ballo delle Ingrate all’alzata del sipario ci troviamo davanti ad una cornice dipinta con tre aperture, due laterali e una centrale: nelle due nicchie laterali vengono posti i due pupazzi di Venere (Marta Fumagalli) e Amore (Francesca Boncompagni che sostituisce Silvia Frigato), l’una posta su uno sfondo azzurro con nuvolette bianche e l’altro entro un porticato dalla luce rossastra. La parte centrale risulta all’inizio chiusa: essa viene aperta sulle ultime parole di Venere precedenti la prima battuta di Plutone (Salvo Vitale), per farci entrare nel regno di Ade. Su un trono di pietra, circondato di stalagmiti e stalattiti, pipistrelli, diavoli, draghi alati siede Plutone che severo impone le leggi dei morti al coro delle Ingrate, donne velate che lamentevoli danzano attorno al Re degli Inferi. Salvo Vitale si rivela un Plutone davvero impressionante, capace di reggere tutta la parte molto virtuosistica e dall’estensione notevole scritta da Monteverdi aggiungendo ulteriori abbellimenti.
Per il Combattimento di Tancredi e Clorinda si assiste sempre alla medesima tripartizione della scena: nelle nicchie ai lati questa volta si presentano cortigiani mantovani seduti e in piedi, a destra la marionetta del Testo (interpretato da Fulvio Bettini) e nel centro abbiamo le due marionette di Tancredi inizialmente a cavallo poi ne scende (Massimo Altieri) e Clorinda (ancora Francesca Boncompagni). Dopo la prima sezione del madrigale che si svolge nell’oscuro seno della notte, si illumina questa parte della scena e risplendo sullo sfondo le porte e le torri dell’accampamento cristiano in cui minuscoli crociati vi entrano in lontananza. Non mancano gli effetti speciali che risultano sorprendenti: il sangue che sgorga dalle “mammelle […] tenere e lieve” (un fazzoletto rosso) o il “picciol rivo” da cui Tancredi coglie l’acqua per battezzare l’infedele Clorinda.
Gianluca Capuano e il suo ensemble danno prova di un suono ben equilibrato, con tempi molto adatti a far risaltare il linguaggio caratteristico della Seconda prattica, tutto costruito sui contrasti degli affetti. Uno spettacolo assai riuscito e molto piacevole, che il pubblico cremonese ha premiato concedendo 10 minuti di applausi.

PUCCINI – BERNSTEIN [Lukas Franceschini] Verona, 3 maggio 2014.
La “strana coppia” Giacomo Puccini-Leonard Bernstein sono i compositori protagonisti del nono Concerto Sinfonico dell’Orchestra dell’Arena di Verona. In programma spartiti di rara esecuzione con particolare attenzione al tema religioso.
Di Puccini è stato eseguito Preludio Sinfonico, il quale è considerato da molti musicologi la maggiore composizione sinfonica del maestro di Lucca. Composto per l’esame finale dopo gli studi al Conservatorio di Milano fu eseguito, nell’istituto, nel 1882. Il tema si sviluppa prevalentemente sull’intuizione delle battute iniziali, poi modificate con intervalli e armonici, in seguito si ricavano due temi sostanziali, uno si sviluppa in un cantabile. Oggigiorno questo spartito è ritornato, seppur non frequentemente, nei programmi dei concerti e la critica tenda a scorgervi degli “echi” wagneriani, piuttosto che lo sviluppo di una rapsodia. In effetti, come ravvisato da Filippo Filippi (critico musicale ottocentesco), vi sono alcuni rimandi all’elaborazione dei temi di Lohengrin, come l’accompagnamento arpistico della celebre romanza da Tannhäuser. Tuttavia, Puccini non imboccò la strada del “wagnerismo” operistico, tanto meno del romanticismo sinfonico, individuando una strada propria nel primo settore, una melodia estatica talvolta malinconica che non potrebbe avere altri autori. La Messa di Gloria, propriamente Messa per orchestra e coro a quattro voci con tenore e baritono solisti, fu composta nel 1880. In tale occasione doveva essere un esercizio per il diploma all’Istituto Musicale di Lucca, ivi vene eseguita in prima, anche se il Credo risale a qualche anno prima come composizione autonoma. La partitura non fu mai pubblicata e sebbene ben accolta l’esecuzione, la riscoperta è collocata negli anni ’50 del secolo scorso. Alcuni temi saranno riutilizzati in opere quali Edgar e Manon Lescaut. La prassi della musica liturgica fu terreno fertile nella famiglia Puccini, il padre Michele fu maestro musicale di chiesa a Lucca molto rinomato, e comunque comporre una messa era anche obbligatorio per gli studi di composizione. Si tratta di un lavoro interessante ma che risente della giovanile intuizione del compositore che sceglie strade e canoni in parte non convenzionali, ad esempio un finale piuttosto mesto. Anche la critica storse il naso rilevando lo scarso intimismo spirituale delle varie sezioni. Accettiamo oggi una partitura della prim’ora, con la curiosità di scoprire anche pagine meno note del più importante musicista italiano a cavallo tra ‘800 e ‘900.
I Chichester Psalms, per voce di ragazzo acuta o controtenore, coro e orchestra, è una composizione corale di Leonard Bernstein, il quale ha dichiarato esplicitamente nei suoi scritti che la parte solista non dovrà mai essere cantata da una donna. Tale imposizione è per rafforzare il significato liturgico della sezione cantata, poiché il Salmo 23 (un salmo di Davide) doveva essere ascoltato come se cantato da David stesso. Il testo è tratto dai salmi originali ebraici, selezionati dallo stesso compositore. La partitura fu commissionata dall’organista John Birch e dal presidente Walter Hussey per il Southern Cathedrals Festival del 1965 che si teneva nella Cattedrale di Chichester La prima esecuzione ebbe luogo a New York alla Philharmonic Hall il 15 luglio 1965 diretta dal compositore cui seguì il 31 la performance alla Cattedrale di Chichester diretta da John Brich. Questa partitura assieme alla Sinfonia n. 3 “Kaddish” sono i brani più apertamente di tradizione ebraica di Leonard Bernstein e in entrambe vi è la presenza del coro. I Chichester Psalms sono noti per la loro difficoltà musicale d’esecuzione, in particolare la sezione d’apertura è uno dei passaggi corali più difficili. Come in molte altre composizioni di Bernstein l’arpa ha un ruolo significativo, qui addirittura due, in un gioco iniziale prima dell’intervento dell’orchestrale. Curioso è che il brano cantato dal ragazzo solista è stato adattato da un musical (The Skin of Our Teeth) mai completato da Bernstein, mentre il tema maschile è stato adattato da materiale eliminato da West Side Story; nel finale una nota all’unisono sull’ultima sillaba del testo in pianissimo mentre il coro canta “amen” e una tromba in sordina riprende il motivo iniziale con indubbio effetto.
Nella lunga serie di concerti della stagione questo è stato il meno riuscito. Il direttore Gianluca Martinenghi era più a suo agio con Puccini rispetto Bernstein. Nel Preludio ha trovato fraseggio e colori davvero affascinanti, regalando al brano pucciniano raro pathos ed armonia ispirata. Nei Chichester Psalms a mio avvivo mancava una coesione tra orchestra e coro, quest’ultimo, diretto da Armando Tasso, particolarmente sottotono, spesso sfasato, mentre un plauso meritato va riconosciuto al Coro di Voci Bianche, istruito da Paolo Facincani, puntuale e preciso, con la bella prova di Timur Ghirotti nella parte solistica. Altra sintonia nella Messa, ove il direttore ha scavato in profondità nella complessa e ruvida partitura, trovando momenti emozionanti soprattutto nel colore orchestrale, anche se le sezioni erano chiuse con decisione. L’orchestra lo seguiva con attenzione e le parti solistiche hanno figurato con ottima realizzazione. Anche il Coro dimostrava maggiore saldezza nel secondo brano e seguiva il gesto direttoriale con più ampio stile, non lasciavano particolare traccia i due solisti: Davit Babayants, per parte troppo breve sarebbe interessante ascoltarlo in altra partitura, Cataldo Caputo troppo monocorde e poco ispirato.


DANIELE RUSTIONI – FRANCESCA DEGO [Lukas Franceschini] Verona, 10 maggio 2014.
Senza indugi possiamo definire memorabile l’ultimo Concerto della Stagione Sinfonica della Fondazione Arena di Verona, protagonisti il direttore Daniele Rustioni e la violinista Francesca Dego.
In programma musiche del ‘900 di eccezionale valore: il Concerto per violino n. 1 di Sostakovic, il poema sinfonico “Fontane di Roma” di Respighi e la Suite “L’uccello di Fuoco” di Stravinskij. Il concerto per violino fu composto nel 1955, dedicato a David Oistrakh, e si svolge su un piano di conflitti drammatici esteriori. Il primo movimento, il “notturno, è di complessa scrittura e si possono intuire influenze di altri autori come Bartok in particolare nel virtuosismo melodico del solista. Se lo “scherzo” intermedio è velato d’ironica piacevole lieve intonazione e la successiva passacaglia che riserva al violino una lunghissima cadenza di estrema abilità tecnica, concludendosi nel quarto movimento in un tema musicale festoso popolaresco e particolarmente ricco timbricamente. Respighi fu uno dei più classici rari sinfonisti italiani, gli altri erano troppo occupati con l’opera, e curò in maniera particolare il colore orchestrale basandosi sui modelli di Rimskij-Korsakov e Richard Strauss. In questo repertorio egli espresse la sua migliore produzione, affrontando anche un certo aggiornamento culturale musicale Tali peculiarità si riscontrano in maniera emblematica nel poema sinfonico Fontane di Roma del 1916, di semplice ispirazione, fresco colore e tipico lirismo. La Fontana di Villa Giulia evoca un aspetto pastorale, La fontana del Tritone rappresenta un tema gioioso tra i giochi di spruzzi d’acqua, la Fontana di Trevi s’infonde su un tema solenne tale la maestosità del monumento, la Fontana di Villa Medici, vista al tramonto, si erge su tematiche tristi infuse nella nostalgia del giorno che termina, rintocchi di campane romane, cinguettii flebili di uccelli, per chiudersi quasi dolcemente in sordina, arriva il silenzio notturno. Igor Stravinskij fu il compositore russo più europeo del XX secolo, non dimentico della formazione e tradizione della madre patria ebbe la sensibilità, la genialità e la tecnica necessaria per sviluppare un post-romanticismo del tutto personale. Un primo esempio è rappresentato da L’uccello di fuoco, suite dal balletto del 1911. Gli fu commissionato da Diaghilev la cui cerchia il compositore frequentava assiduamente. Dedicato alla memoria di Rimskij-Korsakov, contiene la celebre danza infernale dell’uccello, brano di sorprendenti colori, che pose Stravinskij al centro dell’avanguardia musicale del novecento.
In un programma così complesso il ruolo del direttore è particolarmente incisivo e predominate. Daniele Rustioni ne è stato all’altezza, rivelandosi ancora una volta in campo sinfonico una delle bacchette più interessanti della nuova generazione sul podio. Della sua prestazione si sono apprezzate le precise cure del dettaglio, egli non ha mai forzato la mano su toni orchestrali d’effetto anche se in talune occasioni ha dato libero sfogo a sonorità maestose come in Stravinskij. Colpisce il rarefatto lavoro d’analisi e descrittiva poeticità dei brani in particolare “gli affreschi” di Respighi. Di buon livello la compagine veronese, si sono fatte notare le prestazioni gli ottoni.
Nella prima parte la gradita presenza della violinista Francesca Dego debuttante a Verona. Ha solo ventiquattro anni, e in questo caso l’età si può riferire seppur donna, ci perdoni! La sua esibizione nel difficile concerto di Shostakovich è stata a dir poco elettrizzante nei quattro lunghi e incessanti movimenti che obbliga lo strumento solista ad un continuo dialogo d’alto virtuosismo con l’orchestra. Non si sa se apprezzare la perfetta precisone o la strepitosa tecnica sommata ad un fraseggio di altissima classe, sfoderato in maniera elettrizzante nella lunga cadenza insita nella partitura cui va sommato un trascinante coinvolgimento emotivo ed espressivo. I fragorosi e continui applausi al termine l’ha “obbligata” a due bis altrettanto stupefacenti: la Ballata n. 3 di Eugene Ysaye e la Sarabanda dalla Partita n. 2 per violino di Johann Sebastian Bach.

ROBERTO ALAGNA [Natalia Di Bartolo] Fes (Marocco), 14 giugno 2014.
(Following French and English translations) Suggestioni musicali irripetibili in Marocco, sabato 14 giugno 2014, con Roberto Alagna in concerto, accompagnato dal gruppo di origine palestinese The Khoury Project.
L’esibizione del celebre tenore si è tenuta nell’ambito del 20° “Festival de Fès des musiques sacrées du monde”, che ha luogo ogni anno sotto l’alto patronato di S.M il re Mohammed VI del Marocco.
Lo spettacolo, magistralmente ideato e diretto da David Alagna e intitolato “Mediterraneo”, è stato concepito per portare in Marocco le suggestioni sonore che sottendono la musica dei Paesi che si affacciano sulle sponde del Mare Nostrum e che hanno in comune, nonostante nazioni e continenti diversificati, una matrice orientale, evocatrice di sabbia e deserti, oasi e palmizi, ma anche di acqua di mare che rifletta la sagoma del Vesuvio e di ulivi e mandorli della Sicilia aspra ed assolata. L’Italia meridionale, con la propria tradizione millenaria di dominazioni e tirannie, ma anche d’ineguagliabili cultura e tradizioni popolari ne è stata, quindi, pienamente coinvolta.
Per propria natura, tale musica popolare contiene sonorità e ascendenze soprattutto arabe e andaluse, sia nella tessitura musicale che nella vocalizzazione dei testi. L’amalgama di tutto ciò, magicamente dosato e mescolato, ha dato vita ad un concerto decisamente d’atmosfera, che ha compendiato il sacro, toccando punte di misticismo, ed il profano, in piena sintonia con il tema conduttore del Festival, tanto quanto con la profondità di sentimenti e le sensazioni proprie dell’animo umano in cui le Genti del bacino del Mediterraneo pienamente potessero riconoscersi ed identificarsi.
Tutto ciò è stato reso alla perfezione dal grande Alagna ed esaltato nei raffinatissimi arrangiamenti del The Khoury Project, gruppo formato da Basil, Elia e Osama Khoury, che hanno utilizzato strumenti musicali etnici e inconsueti, accompagnati in questa occasione anche da altri musicisti, in un mix orchestrale di rara efficacia.
La magnifica voce di Roberto Alagna ha affascinato il folto pubblico di Bab El Makina, esprimendo tutto il proprio sentire, quello che ogni nativo del “Mediterraneo” porta con sé nel DNA e che viene fuori con prepotente passione da ogni nota e da ogni parola. L’emozione sua era palpabile, palese la sua gioia nel cantare e la sua presenza ed azione si sono dimostrate decisamente carismatiche.
Un turbine di note, di dialetti, napoletano e siciliano, insieme alla presenza elegante della lingua francese, un vero Ghibli di sonorità, che si sono prolungati anche nelle esibizioni solistiche del gruppo musicale, dotato di straordinaria perizia tecnica.
Il Concerto si è aperto con un brano da “Les pecheurs de perles” di Bizet, “De mon amie”, che ha subito creato l’opportuna atmosfera, seguito da “Marechiare”: dal fascino teatrale orientaleggiante dell’Opéra Francais, quindi, alla canzone napoletana classica, in un parallelismo non certo casuale.
A seguire lo splendido “Padre nostro” in francese scritto dallo stesso Roberto Alagna e “Panis Angelicus” di César Franck: atmosfera religiosa correttamente definita; per giungere poi, dopo un nuovo richiamo all’Opéra Francais con un estratto da “Marouf” di Rabaud, in un susseguirsi di grande coerenza stilstica e interpretativa, al “fulcro” del concerto, le canzoni siciliane e napoletane, in alternanza: dal sorridente e romantico Renato Carosone con “ ‘O Sarracino” e “Maruzzella”, alla “Napulitanata” di Costa, ai canti siciliani, tradizionali e non, come “Amuri carritteri”, “Cu ti lu dissi” e “Mattinata siciliana”, questi ultimi particolarmente cari all’interprete che ha le proprie origini familiari nella Magna Grecia, in quel della millenaria, grandiosa Siracusa.
Ogni suono ha avuto il proprio colore e la propria collocazione di fascino coinvolgente, ogni parola la propria carica emozionale e la pronunzia perfetta, porgendo al pubblico una ventata di passione anche con il canto inedito, in siciliano, “Amuri feritu” di Frédérico Alagna, interpretato dal fratello con particolare intensità.
Lo spettacolo è stato condotto in francese dallo stesso protagonista con perizia da fascinatore e con quella delicatezza e quell’humour di buon gusto che caratterizzano il suo modo di porgersi e di approcciare il pubblico: anche questa un’arma vincente, insieme alla sua voce ineguagliabile.
Numerosi i bis, richiesti dalla platea entusiasta, che hanno concluso una serata indimenticabile, sotto il cielo d’Africa, in una cornice evocativa e ricca di un fascino decisamente raro.
Lo spettacolo è stato trasmesso sia in televisione che via web ed è prevista la realizzazione di un DVD.
>>> French Translation
Impressions musicales uniques au Maroc, samedi 14 Juin 2014 avec Roberto Alagna en concert, accompagné par le groupe d’origine palestinienne The Khoury Project.
Le célèbre ténor s’est produit dans le cadre de la 20e édition du “Festival de musiques sacrées du monde de Fès”, qui a lieu chaque année sous le patronage de Sa Majesté le Roi Mohammed VI du Maroc.
Le spectacle, magistralement conçu et réalisé par David Alagna et intitulé «Mediterraneo», a été créé pour apporter au Maroc les influences sonores qui sous-tendent la musique des pays des rives de Mare Nostrum et qu’ils ont en commun, en dépit du large éventail des continents et des nations de l’Orient que cela représente.
Autant de régions évocatrices de sable et de déserts, d’oasis et de palmiers, mais aussi des flots qui reflètent la silhouette du Vésuve, des oliviers et des amandiers de la Sicile âpre et ensoleillée.
Le sud de l’Italie, avec son histoire séculaire de dominations et d’invasions diverses, mais aussi son incomparable culture et sa tradition propre, en fait légitimement et pleinement partie.
Par sa nature même, cette musique populaire a intégré des sons et des influences arabes et andalouses en particulier, aussi bien dans la matière musicale elle-même que dans la vocalisation des textes. Ici, la fusion du tout, magiquement dosée et mélangée, a donné au concert une atmosphère toute spéciale, faisant l’heureuse synthèse du sacré et du profane. L’ensemble fut mené en pleine cohérence avec le thème du festival, entrant en résonnance avec la profondeur des sentiments et les sensations propres à l’âme humaine dans lesquelles les peuples du bassin méditerranéen se reconnaissent pleinement.
Tout a été réalisé à la perfection par le grand Alagna et mis en valeur par les arrangements raffinés du  Khoury Projet, un groupe formé par Basil, Elie et Oussama Khoury, qui accompagnaient le ténor avec des instruments de musique ethniques et insolites, entourés à cette occasion par d’autres musiciens, dans un effet de mélange orchestral rare.
La magnifique voix de Roberto Alagna a captivé la foule à Bab El Makina, tout en exprimant leurs sentiments, ceux que tout natif de la “Méditerranée” porte dans ses gènes, et s’est livré avec une irrésistible passion, à travers chaque note et chaque mot. Son émotion était palpable, sa joie de chanter évidente, sa présence et son interprétation très charismatique sur scène.
Un tourbillon de notes, de dialectes, napolitains et siciliens, ajoutés à la présence élégante de la langue française, un véritable Ghibli de sonorités, prolongées par les prestations solo du groupe musical, faisant preuve d’une virtuosité technique exceptionnelle.
Le concert a débuté avec un air des “Pêcheurs de perles” de Bizet, “De mon amie”, qui a créé immédiatement l’atmosphère appropriée, suivie par “Marechiare” : le charme oriental de l’Opéra français donc, se prolongeant dans la chanson traditionnelle napolitaine, dans un parallèle qui ne doit certainement rien au hasard.
Vinrent ensuite le superbe «Notre Père» composé et écrit en français par Roberto Alagna et “Panis Angelicus” de Cesar Franck : l’atmosphère sacrée bien installée, le concert s’est poursuivit avec un nouvel extrait d’Opéra français avec un air de “Marouf” de Rabaud, puis, en une grande cohérence de style et d’interprétation, le “coeur” du concert à savoir une succession de chansons siciliennes et napolitaines en alternance : de «O Sarracino” et “Maruzzella” du souriant et romantique Renato Carosone à la “Napulitanata” de Costa, en passant par les chansons siciliennes, traditionnelles ou non, comme “Amuri Carritteri” , “Cu ti lu dissi” et” Mattinata siciliana”, cette dernière particulièrement chère au cœur de l’interprète dont les propres origines familiales prennent racine dans la Grèce antique, en la légendaire et grande Syracuse.
Chaque son a sa propre couleur et son propre charme captivant, chaque mot sa charge émotionnelle et une prononciation parfaite transmettant au public une vague d’émotion, en particulier avec la toute nouvelle chanson écrite en Sicilien par son frère Frédérico Alagna, “Amuri feritu”, et interprétée avec une intensité toute particulière.
Le programme du spectacle a été annoncé au fur et à mesure en français par le protagoniste principal, avec tout le charme habile, la délicatesse et l’humour de bon goût qui caractérisent sa façon d’aborder le public : ce qui, couplé avec sa voix incomparable, n’a pas manqué de séduire aussi.
De nombreux bis, sollicités par le public enthousiaste, ont conclu une soirée inoubliable sous le ciel africain, dans un cadre évocateur et plein de charme décidément rare.
Le spectacle a été diffusé à la fois à la télévision et sur le web et il est prévu de produire un DVD.
>>> English translation
Unique musical sensations in Morocco on Saturday 14th June, 2014 with Roberto Alagna in concert, accompanied by the group of Palestinian origin The Khoury Project.
The famous tenor was performing as part of the 20th edition of the “Fez Festival of World Sacred Music “, which is held each year under the patronage of His Majesty the King Mohammed VI of Morocco.
The show, called “Mediterraneo”, masterfully set and directed by David Alagna, was created to bring in Morocco the acoustic tones characterizing the music of the countries bordering ‘Mare Nostrum’ and all what they have in common, despite the wide range of continents and various Eastern nations it represents. Many regions which are evoking sand and deserts, oases and palm trees, but also the sea waves reflecting the silhouette of Vesuvius, olive and almond trees and the harsh and sunny Sicily.
Southern Italy, with its centuries-old history of domination and various invasions, but also its own unique culture and tradition, is a legitimate and full part of it. By its genuine nature, this folk music has integrated sounds and Arabic-Andalusian influences in particular, both in the music itself as well as in the manner of vocalizing the lyrics.
Here, the blend of all of that, magically balanced and mixed, gave the concert a very special atmosphere, making the happy synthesis of the sacred and the profane. The whole was performed in a full consistency with the Festival’s theme, resonating with the depth of feelings and human soul’s sensations in which peoples of the Mediterranean basin fully recognize.
Everything was perfectly rendered by the great Alagna and highlighted by the refined arrangements of the Khoury Project, an Ensemble formed by Basil, Elie  and Osama Khoury. They accompanied the tenor with ethnic and unusual music instruments, alongside other musicians forming on this occasion a rare and stunning orchestral mix.
The beautiful voice of Roberto Alagna captivated the crowd in Bab El Makina, while expressing their feelings, the ones that any “Mediterranean”-born is carrying in his own genes. He revealed himself and opened up with an irresistible passion through each note and each word. His emotion was palpable, his joy of singing obvious, his presence and stage performance truly charismatic.
A swirl of notes, dialects, Neapolitan and Sicilian, coupled with the elegant presence of the French language, a true Ghibli of sounds, extended by the solo performances of the musical group, in a demonstration of their outstanding technical virtuosity.
The concert began with an Aria of “The Pearl Fishers” by Bizet, “De mon amie”, which immediately created the right atmosphere, followed by “Marechiare”: the oriental charm of the French Opera thus extended by a traditional Neapolitan song, into a parallel which certainly owes nothing to chance.
Then came the beautiful “Our Father” prayer, composed and written in French by Roberto Alagna, and “Panis Angelicus” by Cesar Franck: the sacred atmosphere properly installed, the concert continued with a new French Opera excerpt, with an Aria from “Marouf” by Rabaud, then in a still consistent style, came the “heart” of the concert i.e. a succession of Sicilian and Neapolitan songs alternately: “O Sarracino” and “Maruzzella” by the smiling and romantic Renato Carosone, “Napulitanata” by Costa, as well as Sicilian songs, traditional or not, such as “Amuri Carritteri”, “Cu ti lu dissi” and “Mattinata Siciliana”, the latter particularly dear to the heart of the singer whose own family origins are rooted in the Ancient Greece, in the legendary and great Syracuse.
Each sound has its own color and its own captivating charm. Every word has its own poignancy and perfect pronunciation, providing the audience with a wave of emotion, especially with the new song written in Sicilian by his brother Frederico Alagna, “Amuri feritu”, he delivered with a special intensity.
As long as the show progressed, the main protagonist announced the program in French, with all the clever charm, sensitiveness and tactful sense of humor that characterizes his way of addressing the people: that, coupled with his incomparable voice, did not fail to delight the public too. Many “Encore”, requested by an enthusiastic audience, concluded an unforgettable evening under the African sky, in a picturesque setting, definitively rare and lovely.
The show was both TV and web-broadcasted and a DVD is also expected.

ISA DANIELI – DANILO REA [Simone Ricci] Ravello, 21 giugno 2014.
A trent’anni dalla morte, il 62° Ravello Festival ha dedicato la sua serata inaugurale a Eduardo De Filippo, omaggiato dalla voce di Isa Danieli e dalla musica di Danilo Rea.
Amati fogli sparsi. Dove fiorisce il ricordo prezioso di facce, suoni, lacrime e risate di una stagione amata. In cui potersi riconoscere per sempre.
È questa la frase che è stata scelta per accompagnare la prima assoluta di “Amati fogli sparsi: Eduardo in parole e musica”, la serata inaugurale del Ravello Festival 2014, l’omaggio sentito e fondamentale nei confronti di Eduardo De Filippo in occasione dei trent’anni dalla sua morte. La voce di Isa Danieli e le mani di Danilo Rea. Due artisti importanti hanno unito le loro capacità per dar vita a uno spettacolo insolito e per questo non banale, al tempo stesso una jam session e un progetto culturale.
Non era certo un compito semplice, tenuto soprattutto conto della produzione vastissima ed eclettica di De Filippo, come poter selezionare dunque il “meglio”, se di meglio si può parlare? La giusta dose di emozioni veniva assicurata da Isa Danieli, allieva in gioventù proprio della compagnia teatrale di Eduardo, capace di trasmettere in tutta la sua purezza il messaggio del drammaturgo napoletano, tra opere teatrali, poesie messe in musica e canzoni. Il merito dell’attrice è stato, in particolare, quello di esplorare con efficacia e coraggio delle situazioni e dei percorsi magari non tipici del suo repertorio (il canto), ma resi sempre con la massima freschezza.
Le note che hanno accompagnato tutto ciò, poi, erano quelle di Danilo Rea, un nome di spicco per quel che concerne il panorama del nostro paese. Spettava a lui il compito di rendere ancora più efficace e moderno il messaggio eduardiano, grazie a una interpretazione virtuosa e rispettosa. I “fogli sparsi” del titolo si sono susseguiti rapidamente e piacevolmente, a cominciare da “Uocchie c’arraggiunate” (su musica di Rodolfo Falvo e Alfredo Falconi Fieni), una delle più appassionanti e struggenti canzoni napoletane, nonché la preferita di De Filippo.
La serata è poi proseguita con “Tà-kai-tà”, il titolo del film che Eduardo avrebbe voluto dedicare a Pier Paolo Pasolini, un testo di Enzo Moscato che si caratterizza da sempre per la scrittura lirica, sovrabbondante e piena zeppa di immagini definite. Il pubblico di Ravello ha anche potuto apprezzare le note di Nino Rota in “Napoli Milionaria” e il celebre Adda passà ‘a nuttata, senza dimenticare “‘A matassa” (su musica di Antonio Sinagra), il monologo di Bonaria da “Gli esami non finiscono mai”, “Io vulesse truvà pace” e la deliziosa “Cravatte” (musicata ancora una volta da Sinagra, una macchietta tratta da “La tempesta”, unica poesia divenuta canzone).
Non potevano mancare “Filumena” (musica di Pasquale Sciò), “‘A gatta d”o palazzo”, “Nun me guardate”, “I’ faccio scemo o’core” e la toccante “Rosa de’maggio”, oltre a “Silenzio cantatore”. In poche parole, una carrellata di scene che ha fatto sentire importanti i presenti del Belvedere di Villa Rufolo, visto che si sta parlando di una composizione allestita esclusivamente per l’occasione, sia dal punto di vista dell’arrangiamento che del recital. Il successo non era scontato, ma è stato pieno e privo di critiche, grazie alla totale assenza di sbavature e alle capacità degli istinti di Rea e della Danieli, lasciati liberi di creare e amalgamare.
D’altronde, non ci si poteva dimenticare di Eduardo in questa sessantaduesima edizione del Ravello Festival, il cui tema del 2014 è proprio “Sud”. Se qualcuno poteva storcere il naso prima ancora di assistere alla serata inaugurale per un esperimento mai provato, alla fine della jam session sarà sicuramente rimasto soddisfatto. Eduardo avrà senza dubbio apprezzato dall’alto, da una delle innumerevoli stelle del cielo che hanno illuminato la serata e chissà se si sarà accorto di essere stato quella più brillante, una guida per chi ha fatto capire una volta di più che il messaggio teatrale è attuale come non mai.
Ironia, commozione, passione, non è mancato davvero nulla: i testi sono stati riletti in una chiave del tutto nuova e si è capito perfettamente che il tempo non è riuscito nemmeno a sfiorare con il suo lento e inesorabile trascorrere l’espressività e il coinvolgimento di questi fogli sparsi, capaci di adattarsi alla perfezione al giorno d’oggi, come ben testimoniato dall’impronta jazzistica del pianoforte. Una serata di cui essere orgogliosi, non solo per i napoletani.

BERLINER PHILHARMONIKER [Lukas Franceschini] Verona, 23 giugno 2014.
“Con il Concerto dei Berliner Philharmoniker l’Accademia Filarmonica di Verona può vantare di aver portato in città tutte le più importanti orchestre internazionali”. Sono parole del Presidente dell’Accademia, dott. Luigi Tuppini, il quale con orgoglio annunciava il grande evento d’inaugurazione della XXIII Edizione del Settembre dell’Accademia anticipato a giugno per il solo concerto dell’orchestra berlinese.
In origine il concerto, annunciato da tempo, doveva essere diretto da Sir. Simon Rattle ma vicende personali (diventerà padre in proprio in questi giorni) l’hanno portato a rinunciare alla tournée estiva (uniche tappe italiane Firenze e Verona) ed è stato sostituito da Gustavo Dudamel, con cambio programma. Nella prima parte due fantasie sinfoniche di Cajkovskij, La Tempesta Op. 18 e Romeo e Giulietta versione 1880, nella seconda la sinfonia n. 1 Op. 68 di Brahms.
I primi due brani segnano l’approccio del compositore a testi shakespeariani e in particolare ai personaggi di Calibano e degli sfortunati amanti veronesi. In essi è viva la scrittura dei conflitti drammatici ma descrittivi su un tessuto orchestrale tipicamente russo, anzi cajkosvskiano, per brillantezza ed espressionismo dal dono melodico e con quella venatura di pessimismo d’irresistibile fascino. La prima sinfonia di Brahms ha carattere unico nella storia della musica: oltre quattordici anni di gestazione. Il compositore voleva ricollegarsi alla tradizione sinfonica beethoveniana nell’intento di realizzare l’ideale continuativo del classicismo viennese. Le evoluzioni le continue elaborazioni costituiscono il fantasioso e creativo metro del sinfonismo di Brahms, sommo vertice da lui stesso raramente superato.
I Berliner Philharmoniker non necessitano in questa sede di lodi o encomi, la loro storia parla da se, oltre ai direttori stabili che si sono succeduti. Anche in quest’occasione sono stati puntuali con il loro eclettico e mirabile professionismo di un ensemble che tocca i vertici interpretativi e forgia nell’insieme un suono compatto, preciso e prefetto di straordinaria emozione. Peccato che sul podio ci fosse Gustavo Dudamel, giovane direttore venezuelano, catapultato sulla scena internazionale anche per un rapporto privilegiato con il compianto Claudio Abbado. Tuttavia le sue concertazioni, sia operistiche sia sinfoniche, hanno sempre lasciato in chi scrive numerose perplessità. Non vi ritrovo il genio sbandierato dalla casa discografica per la quale incide in esclusiva, la quale realizza un gande servizio di comunicazione su un giovane che necessita ancora di forgiatura, e ancor più stupore destano le voci di una sua successione a Sir Simon Rattle nel prossimo settembre. In occasione del concerto veronese, erano molto personali i tempi dei brani di Cajkovskij, i quali erano volutamente allargati e del tutto privi del cromosoma dell’autore, trasformati in un decadentismo somigliante al ‘900 decadentista. La situazione migliora di poco nella sinfonia brahmsiana ma non si riscontrano accenti, colori, impeti del classicismo cui va iscritta la partitura con variabili e incomprensibili variazioni nel finale, ancor meno in stile con Brahms.
Non manca la minuziosa perizia di precisione in ogni sezione ma stile e sonorità sono di tutt’altro stile rispetto agli autori e la libera personalizzazione della bacchetta non porta nuova luce bensì trasformismo dubitativo. Applausi di cortesia a termine del primo tempo, più convinti al termine, costringendo orchestra e direttore ad un bis: il valzer per soli archi dal Divertimento (1980) di Leonard Bernstein.

PREMIO LUGO [Lukas Franceschini] Parco di Villa Vento – Custoza (Verona), 25 giugno 2014.
Si è svolto nella splendida cornice di Villa Vento a Custoza l’annuale concerto del Premio Lugo giunto alla XXI edizione.
Tale prolifica attività che nel corso degli anni ha premiato famosi tenori internazionali, si deve al comm. Giuseppe Pezzini che con questo premio ha voluto rendere omaggio a Giuseppe Lugo, che non necessità di presentazioni tale è tutt’oggi la sua fama, del quale fu autista ed assistente nell’ultima parte della sua gloriosa carriera e oggi proprietario della sua ultima dimora sulle colline veronesi. Il comitato, presieduto da Magda Olivero, madrina Adriana Lazzarini e membri anche Luciano Pollini e Gianni Zatachetto, ha deciso di premiare nel 2014 il tenore ligure Francesco Meli, impegnato proprio in questo giorni all’Arena di Verona nell’opera inaugurale Un ballo in Maschera. Assieme a Meli si sono esibiti il soprano Seda Ortac, il mezzosoprano Cristina Melis, il baritono Davit Babayants ed il basso Enrico Iori.
I cantanti sono stati accompagnati al pianoforte dal bravo Andrea Albertin mentre la serata è stata presentata da Davide Da Como della Fondazione Arena di Verona.
Il basso Iori si è cimentato nella grande aria e successiva cabaletta del protagonista di Attila di Giuseppe Verdi con decoro, miglior fraseggio e colore vocale ha espresso cantando l’aria di Filippo II “Ella giammai m’amò” dal Don Carlos. Seda Ortac, giunta all’ultimo a sostituire la prevista Serena Gamberoni, inizia con un incerto ingresso della Lady Macbeth ma si riscatta pienamente con “In questa reggia” dalla pucciniana Turando, ove con perizia tecnica supera le ardue difficoltà dello spartito. Cristina Melis, anch’essa impegnata in Arena nelle recite di Carmen nel ruolo di Mercedes, esordisce con un manierato Habanera dall’opera di Bizet, e colpisce per interpretazione e tenuta di fiati nell’aria della Principessa di Bouillon “Acerbe voluttà” da Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea. Il baritono Davit Babayants si è cimentato con onore nella grande aria della morte di Rodrigo da Don Carlo verdiano e con altrettanta enfasi nell’aria “Cortigiani” dal Rigoletto. Infine il premiato Francesco Meli. Nella prima parte si esibisce nella romanza di Nemorino da “L’elisir d’amore” di Gaetano Donizetti, suo cavallo di battaglia, sfoggiando languore, sentimento e mezzevoci davvero esemplari. Nella seconda parte propone l’arioso di Manrico “Ah, si ben mio” (senza cabaletta) un ruolo aggiunto al suo repertorio da poco. Anche in questo caso Meli esprime al meglio la dichiarazione d’amore, usando sapiente tecnica, fraseggio e uso di portamenti molto apprezzabili; ovviamente il ruolo di Manrico è anche altro e ad essere corretti questi sta ai limiti della vocalità del nostro ma ben sapientemente egli ha scelto la pagina più lirica e consona alle sue qualità vocali.
Non poteva mancare il bis di consuetudine: La mia canzone al vento su versi di Cesare Andrea Bixio e musica di Bixio-Cherubini, canzone simbolo di Giuseppe Lugo, dalla quale fu sceneggiato pure un film da lui stesso interpretato. L’onore di cantarla è spettato al premiato, e anche in questo caso ha ammaliato per sapienza interpretativa e buon uso di brio ed accenti.
Quando il Comm. Pezzini ha premiato un emozionato Francesco Meli, è stato letto un messaggio della Sig.ra Magda Olivero, la quale per ovvie ragioni non ha potuto essere presente.
“Egregio Comm. Giuseppe Pezzini, La desidero ricordare, con un caro pensiero, quale organizzatore del Premio Giuseppe Lugo, assieme al comitato, per la bellissima organizzazione della festosa serata, che vedrà premiato, quest’anno, il tenore Francesco Meli, al quale auguro ogni bene per la sua carriera. Con viva cordialità, M. Olivero”
La serata, che ha avuto la collaborazione della Fondazione Arena di Verona, l’Accademia Filarmonica di Verona, la Regione Veneto, la Provincia di Verona, il Comune di Sommacampagna, la Proloco di Custoza e il Consorzio Tutela Vino Custoza d.o.c., ha visto una folta partecipazione di pubblico accorsa da tutta la provincia e città, partecipando convinti e sinceri applausi a tutti gli artisti.

OTELLO [Natalia Di Bartolo] Parigi, 27 giugno 2014.
(following French and English translations) La genesi di un personaggio, nella carriera di un artista lirico, non è breve e la maturazione di un ruolo può arrivare a coinvolgere l’intera esistenza di un cantante, non solo la sua voce.
La voce umana è lo strumento più delicato e difficile che esista ed è soggetto a mille vicissitudini, anche quotidiane.
La scelta di questo o di quel repertorio, poi, o di questo o quel personaggio può essere anche di danno, se inadeguata alla voce e/o a affrontata all’età ed al momento sbagliato. Per questi motivi, quindi, i grandi del palcoscenico si accostano a svariati personaggi lungo l’intero arco della carriera, privilegiando determinati ruoli ed affrontandone altri solo nella maturità. La voce cambia, nel tempo, si evolve, non è mai quella di ieri, né quella di domani e i grandi professionisti ne sono pienamente coscienti.
Nella fattispecie, è il caso del tenore Roberto Alagna, che nella piena maturità della carriera si appresta ad affrontare l’intero ruolo verdiano di Otello, preparandosi per il debutto in palcoscenico alle Chorégie d’Orange nell’agosto 2014, avendolo portato quasi nella sua completezza in concerto nella parigina, storica Salle Pleyel, il 27 giugno 2014. Ne è stato protagonista intenso, con al fianco il soprano Inva Mula nel ruolo di Desdemona ed il baritono Dmitri Hvorostovsky in quello di Jago.
L’ Orchesta de l’Ile de France, era diretta dal M° Riccardo Frizza, che ha condotto lo spettacolo nell’assoluto rispetto filologico dei tempi, guidando i cantanti, con l’attenta lettura della partitura, verso i lidi sicuri della riuscita.
Infatti in concerto le trovate umorali e le impennate del direttore rischiano sempre di nuocere agli interpreti che, sia pur potendo lecitamente e normalmente giovarsi dell’ausilio di leggìo e partitura, si trovano, come sempre accade in questi casi, soli sul proscenio e vanno ancor più senza rete che se fossero in costume ed in scena.
Un concerto non è dunque una rappresentazione semplice né da dirigere né da affrontare ed è il buon senso, insieme al buon gusto, a deciderne le sorti. Entrambe queste prerogative hanno caratterizzato la serata a Pleyel, attesissima ed animata da un folto pubblico assolutamente plaudente. Per riallaciarsi dunque a ciò prima accennato, il grande Roberto Alagna ha affrontato un programma che prevedeva un largo estratto del ruolo di Otello con voce matura, morbida, limpida e potente e con i dovuti requisiti di espressività vocale e interpretativa, sia pure sacrificando in parte, proprio per la natura di “concerto” dello spettacolo, la propria propensione verso l’azione scenica.
Lungi dall’essere intimidito dal ruolo, ma anzi come assaporando soprattutto le scene altamente drammatiche della gelosia e del tragico finale, Alagna/Otello ha tenuto in pugno il susseguirsi delle parti in programma, accennandone comunque anche i momenti scenici salienti e dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, come abbia raggiunto la giusta maturità per affrontare al momento opportuno della propria carriera e con armi adeguatamente affilate un ruolo che ha visto avvicendarsi nel decenni tenori di fama leggendaria e che certamente egli saprà rendere in scena personalissimo ed indimenticabile.
Il tenore era affiancato da una delicata Inva Mula, sempre all’altezza vertiginosa che il ruolo di Desdemona impone alle interpreti…il che le ha fruttato un personale successo, in particolare nella divina, celeberrima Ave Maria. Disinvolto ed esperiente, il baritono Hvorostowsky, nel ruolo di uno Jago vocalmente robusto e sufficientemente perfido. Come prima accennato, il concerto ha preceduto la rappresentazione del capolavoro verdiano sullo sfondo suggestivo del teatro antico di Orange, il 2 e 5 agosto 2014 e si è dimostrato quindi anche un saggio mirabile del futuro, “magico” Otello a cui certamente il tenore siculo francese saprà dare vita e anima. Attendiamo con impazienza ed emozione.
>>>> French translation
La genèse d’un personnage, dans la carrière d’un chanteur d’opéra, n’est pas immédiate, et la maturation d’un rôle peut mobiliser toute une vie de chanteur, pas seulement une voix. La voix humaine est l’instrument le plus délicat et difficile qui existe et elle est sujette à mille vicissitudes, au quotidien. Ainsi, le choix de tel ou tel répertoire, ou de tel ou tel rôle peut aussi lui causer des dommages, s’il lui est vocalement inapproprié et/ou s’il est abordé au mauvais âge ou au mauvais moment.
Pour ces raisons, les chanteurs échelonnent leur prises de rôles sur toute la durée de leur carrière, en abordant certains prioritairement et en ne s’attelant à d’autres qu’à la maturité. Au fil du temps, la voix change, évolue, elle n’est jamais celle d’hier, ni celle de demain, et les grands professionnels en sont pleinement conscients.  En l’occurrence, c’est le cas du ténor Roberto Alagna, qui, dans la pleine maturité de sa carrière, s’apprête à aborder le rôle d’Otello de Verdi dans lequel il fera ses débuts sur scène aux Chorégies d’Orange en août 2014. En ce 27 juin 2014, dans l’historique Salle Pleyel à Paris, il l’exécutait dans sa quasi-intégralité en version concertante. Et ce avec beaucoup d’intensité, aux côtés de la soprano Inva Mula dans le rôle de Desdemone et du baryton Dmitri Hvorostovsky en Iago.
L’Orchestre national d’Île de France était dirigé par le maestro Riccardo Frizza, qui a mené le spectacle en pleine conformité avec le tempo philologique, guidant les chanteurs en une lecture attentive de la partition vers les rivages sûrs de la réussite. En effet, en concert, une interprétation très personnelle du chef d’orchestre risque toujours être préjudiciable aux artistes qui, même s’ls ont la possibilité normale et légitime de s’appuyer sur leur partition au pupitre, se trouvent, comme toujours dans ces cas-là, seuls en scène et s’exposent davantage, sans filet, que s’ils étaient en costume sur un plateau.
Un concert ne se dirige ni ne se traite donc pas comme une représentation scénique et il convient de décider de son sort avec tout à la fois bon sens et bon goût. Ce sont bien ces deux prérogatives qui ont caractérisé la soirée à Pleyel, tant attendue et acclamée par les encouragements d’un large public.
Pour en revenir à ce qui été mentionné ci-dessus, le grand Roberto Alagna s’est attaqué au programme constitué d’un large extrait du rôle d’Otello avec une voix mature, une émission souple, claire et puissante et de grandes qualités d’expressivité et d’interprétation vocale, mais en sacrifiant, du fait de la nature concertante du spectacle, une partie de sa propension à l’action sur scène.
Loin d’être intimidé par le rôle, mais savourant plutôt tout particulièrement les scènes les plus dramatiques de jalousie et le final tragique, Alagna / Otello a pris en main la succession des différentes parties du programme, mettant aussi en lumière les temps forts scéniques les plus intenses.
Il a démontré, s’il était nécessaire, qu’il avait atteint la bonne maturité pour aborder, au moment opportun de sa carrière et avec des armes bien affûtées, un rôle qui a vu se succéder pendant des décennies des ténors à la gloire légendaire et dont il va certainement faire sur scène une interprétation très personnelle et inoubliable.
Le ténor était accompagné d’une Inva Mula délicate, toujours à la hauteur vertigineuse que le rôle de Desdémone exige de ses interprètes et qui lui a valu un succès personnel, en particulier dans le divin et célèbre “Ave Maria”.
Imperturbable et expérimenté, le baryton Hvorostovsky s’est avéré robuste et perfide à souhait dans le rôle de Iago.
Comme mentionné plus haut, le concert précédait la présentation du chef-d’œuvre verdien dans le cadre superbe du théâtre antique d’Orange, les 2 et 5 août 2014 et a admirablement préfiguré l’Otello magique auquel le ténor franco-sicilien saura certainement donner vie et âme. Nous l’attendons avec beaucoup d’impatience et d’excitation.
>>>> English translation
In the career of an Opera singer, the genesis of a character is not immediate, and the maturation of a role can mobilize a lifetime, not just a voice. The human voice is the most delicate and difficult instrument that exists and is subject to a thousand troubles, day after day. Thus, the choice of this or that repertoire, or this or that specific role, can also damage it if vocally inappropriate and/or dealt with at the wrong age or at the wrong time. For these reasons, lyrical singers are combining the various roles throughout all the duration of their careers, addressing some of them first, and not rising to others before maturity.
Over time, the voice is changing, evolving. Thatof today is no longer that of yesterday, and not yet that of tomorrow, Top professionals are fully aware of that. This is the case of the tenor Roberto Alagna who, in the full plenitude of his career, is getting ready to tackle the role of Otello by Verdi in which he will make his stage debut at the ‘Chorégies d’Orange’ in August 2014.
This 27th June 2014, in the historical Pleyel Concert Hall (Paris), he performed it almost entirely, in a concert version, with a great intensity, alongside soprano Inva Mula as Desdemona and baritone Dmitri Hvorostovsky as Iago.
The National Orchestra of Île de France was conducted by Maestro Riccardo Frizza, who led the score in full compliance with the philological tempo, leading the singers in a careful reading of the score to the safe shores of success. Indeed, in a concert, a very personal interpretation of the conductor may always be detrimental to the artists: as always in these cases, even if they have the normal and legitimate opportunity to rely on their score at their stand, they are alone on stage and more exposed – without any safety net, than when they are in costume in a stage set.
Therefore, a concert cannot be directed nor dealt with as a stage performance would be, but should be performed with both good sense and good taste. These two prerogatives characterized this Pleyel’s evening, eagerly awaited by a wide and cheering audience.
Going back to what was mentioned above, the great Roberto Alagna tackled the program (consisting of large excerpts from Otello’s role) with a mature voice, a flexible emission, clear and powerful, and great expressive and vocal skills, but sacrificing, because of the “concert” nature of the performance, part of his propensity for actively acting on stage.
Far from being intimidated by the role, but rather particularly enjoying the most dramatic scenes of jealousy and the tragic ending, Alagna/Otello took over the successive parts of the program, also highlighting the most intense scenic passages. He demonstrated, if needed, he had reached the proper maturity to address this role at the appropriate moment of his career, well and sharp armed. A role which has been sung by decades of successive famous and glorious tenors and of which he will certainly offer a very personal and memorable performance on stage.
The tenor was accompanied by a delicate Inva Mula, always at the dizzying altitudes that the role of Desdemona demands to its performers, earning a great personal success, especially in the divine and famous “Ave Maria” aria. Cool and experienced, the baritone Hvorostovsky was as Iago vocally robust and as treacherous as one could be.
As mentioned above, the concert was preceding the presentation of Verdi’s masterpiece in the beautiful ‘Theatre antique’ in Orange, on 2nd and 5th August 2014. It has admirably foreshadowed the magic Otello to which the French-Sicilian tenor will certainly give life and soul. We are looking forward to this thrilling event with great anticipation.

GALA VERDIANO – DOMINGO [Lukas Franceschini] Verona, 17 luglio 2014.
Placido Domingo ritorna puntualmente all’Arena di Verona per una serata di Gala Verdiana, e puntualmente arriva la pioggia.
Sembra paradossale ma il binomio Domingo-Pioggia a Verona è abbastanza usuale, basti ricordare un recital mai iniziato negli anni ’90. Quest’anno ha potuto esibirsi solamente nella prima parte del concerto che prevedeva arie, duetti, terzetti e scene da La Traviata e Un ballo in maschera, nella seconda non eseguita una lunga selezione da I Due Foscari. Prima di iniziare una recensione dello spettacolo è doveroso un preambolo. Placido Domingo è vocalmente un tenore. Oggi se si spaccia per baritono è pura velleità personale, anche se sempre applaudita dal pubblico (pure in quest’occasione l’anfiteatro era sold-out). Inoltre l’età anagrafica non gioca a suo favore, come per altri ovviamente, ufficialmente a settantaquattro anni non si può per cause naturali essere in possesso della pienezza dei propri mezzi. Nessun cantante, contrariamente a quanto molti affermano, si è ritirato in tempo, ed è comprensibile, ma la lunghissima carriera di Domingo a questo punto meriterebbe una riflessione. La voce è più scura tanto per imitare l’accento baritonale, il fiato è cortissimo, l’affaticamento evidente, l’accento manierato, le sfasature troppo rimarchevoli. E allora perché?… per denaro? Non credo! Per incapacità di lasciare il palcoscenico? Più probabile! Anche questo eventuale passo era, è o sarà inevitabile. Resta la perplessità di un continuo cammino artistico insignificante che porta solo disonore al cantante che fu. Tuttavia, non si possono addossare al cantante tutte le ammende, forse andrebbero allargate anche a chi lo scrittura e ad una parte del pubblico che non ha più il senso dell’ascolto e si basa solo celebrità.
Delle peculiarità di Domingo ho già detto in parte, nei brani cantanti ha avuto più difficoltà nel Ballo in maschera, strozzato e vociante, rispetto a Traviata, dove soprattutto nel duetto ha saputo interpretare anche con gusto. Molto meno incisiva l’aria di Germont.
Esemplare Francesco Meli nell’aria di Alfredo, voce fresca, accenti vibranti, spontaneità e limpidezza molto ragguardevoli. Virginia Tola, che cantava Violetta, ha voce importante e cerca un colore ed un’espressività di rilievo, peccato che il settore acuto è stridulo e sfuocato e la zona di passaggio non del tutto risolta. Bravissima Serena Gamberoni nel breve intervento né Il ballo in maschera, svettante e brioso Oscar. Di ruotine professionale i due bassi Seung Pil Choi e Deyan Vatchkov. Daniel Oren dirigeva con la solita enfasi gestuale, con provata esperienza ma senza particolari colori.
Pubblico festante con applausi infiniti per Domingo, ma deluso durante l’intervallo per la sospensione dello spettacolo.

PETITE MESSE SOLENNELLE [William Fratti] Pesaro, 21 agosto 2014.
Assistere all’energia, alla carica vitale, alla maniera con cui Alberto Zedda dirige la prima esecuzione della versione per orchestra della Petite messe solennelle nella recente edizione critica curata da Davide Daolmi, è un vero onore.
A discapito di tanti insuccessi ottenuti in tempi più o meno lontani, questa versione della Petite messe lascia intravedere quanto Rossini fosse in anticipo sui tempi e nessuno meglio di Zedda può trasmettere quel linguaggio, quel sapore musicale, quello stile inconfondibile che trova il suo apice nella concertazione sublime del Prélude religieux.
L’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna eccelle nella precisione musicale e nella qualità del suono con cui segue, o meglio, s’accompagna alla mano esperta di Zedda, affiancati dall’ottimo Coro del Teatro Comunale di Bologna guidato da Andrea Faidutti, che qui canta con fare nettamente superiore alle altre produzioni di questo Festival. Bravissima l’arpa nel Qui tollis.
Meno adeguata è purtroppo Olga Senderskaya che, a discapito di una certa capacità di cantare, non è dotata di morbidezza e appare sempre aspra, secca, spigolosa, quasi fosse una giovane acerba.
Veronica Simeoni è un apprezzatissimo ritorno, poiché è interprete sempre elegante e raffinata, morbida e vellutata tecnicamente preparatissima e con una linea di canto ben precisa. Sorprendente è la resa dell’Agnus Dei.
Dmitry Korchak è luminoso e squillante come di sua consuetudine, dotato di vocalità dalla naturale bellezza, acuti piacevolissimi, rotondi, anche se talvolta sembra appoggiare sul nulla e basterebbe un soffio per portarlo in errore.
Mirco Palazzi, in questa occasione, purtroppo non sembra in ottima forma e si spera si tratti di un momento passeggero, poiché in certi punti appare stanco e sfibrato.

MARIELLA DEVIA – GIUSEPPE SABATINI [Natalia Di Bartolo] San Paolo del Brasile, 28 agosto 2014.
Quando due grandi interpreti del Melodramma, che hanno cantato spesso insieme in perfetta sintonia e con grande successo nei più importanti teatri del mondo s’incontrano di nuovo sul palcoscenico, tale sintonia si ripristina immediatamente. Anche nel caso in cui i loro ruoli siano cambiati, o, meglio, si siano trasformati, perché uno dei due non sia più a fianco dell’altra come partner nel canto, bensì come Direttore d’orchestra.
E’ il caso del soprano Mariella Devia e del tenore Giuseppe Sabbatini, che, ritiratosi dalla carriera di cantante, si è dedicato da alcuni anni, con eguali perizia e passione, oltre che all’insegnamento del canto, alla direzione d’orchestra.
Li abbiamo ritrovati, i nostri protagonisti, sul palcoscenico del Theatro São Pedro di San Paolo del Brasile, in un Concerto che ha anche segnato il debutto di Mariella Devia sulle scene brasiliane, il 28 e 31 agosto 2014.
La passione dell’una e dell’altro per il proprio lavoro, l’esperienza accumulata giorno per giorno, recita dopo recita, sulla scena e nell’amicizia personale nella vita, hanno fatto sì che si trattasse di un evento la cui riuscita è da sottolineare con gioia, per il nostro Bel Canto nel mondo e per il prosieguo di due splendide carriere musicali.
Il Maestro Sabbatini, alla guida dei giovani dell’Orchestra del teatro brasiliano, ha profuso ogni energia perché tutto fosse perfetto. E, nella sua comprovata professionalità di Musicista, è riuscito a dirigere un concerto dal programma di gran gusto e certo non facile, da lui stesso ideato e messo a punto insieme a Mariella Devia, che comprendeva brani di Bellini, Donizetti, Puccini, Massenet e Gounod. In particolare, il Maestro si è riservate tre sinfonie di tutto rispetto, da “I Capuleti e i Montecchi” e “Norma” di Bellini e dal “Don Pasquale” di Donizetti; più gli intermezzi da “Manon Lescaut” e da “Suor Angelica” di Puccini. Un meraviglioso, arduo banco di prova per l’orchestra, pienamente superato.
Ma da sottolineare con particolare interesse il fatto che Giuseppe Sabbatini abbia “servito” il celebre soprano con la duplice esperienza del cantante e del Direttore, il che gli ha consentito e gli consente di avere in mano una bacchetta decisamente vincente.
Studiato anche su misura per la protagonista, il programma ha affidato alla sempre splendida voce di Mariella Devia, in apertura, i brani belcantistici, che, in particolare, sono stati una lezione di perfezione: “Eccomi in lieta vesta” da “I Capuleti e i Montecchi” e “Casta Diva” completa di cabaletta (cosa assai rara in concerto e di improba esecuzione) da “Norma” di Bellini; “Regnava nel silenzio” con cabaletta da “Lucia di Lammermoor” di Donizetti. Questi, unitamente agli altri, anche dall’Opéra Francais (“Je veux vivre”, in particolare, decisamente virtuosistico, da “Roméo et Juliette” di Gounod) erano tutti i brani noti e molto difficili, che hanno sempre fatto parte del bagaglio professionale della grande interprete, la quale, conosciuta in tutto il mondo, era particolarmente attesa dal pubblico in questo debutto oltreoceano…e lo ha entusiasmato.
Grande, meritato successo e personale soddisfazione, quindi, per i due protagonisti, che speriamo di ascoltare presto insieme anche nei nostri teatri.
Il Concerto ha fatto parte parte del Ciclo Ufficiale del Teatro di San Paolo dedicato alle grandi Voci, di cui è anima e fulcro da vent’anni il brasiliano Paulo Obrao Esper, che si propone di portare in Brasile i cantanti più importanti della scena lirica internazionale per masterclasses, recitals e concerti, e si avvale della partecipazione di artisti di fama mondiale come Magda Olivero, Vicente Sardinero, Virginia Zeani, Adelaide Negri, Sylvia Sass, Viorica Cortez, Rita Contino.

FESTIVAL MITO – FURREE – VACCHI [Marco Benetti] Milano, 13 settembre 2014.
Accostare compositori del nostro tempo dalle estetiche diverse, opposte in questo caso, sembra essere diventata la caratteristica delle scelte per i Focus di musica contemporanea presentati nell’ambito dell’ 8° Festival MiTo Settembre Musica 2014. Gli autori proposti quest’anno sono infatti lo svizzero Beat Furrer, austriaco d’adozione e il bolognese, ma milanese d’adozione, Fabio Vacchi. Nel primo concerto le loro musiche sono state suonate dagli straordinari musicisti del mdi ensemble, diretto dallo stesso Furrer.
Due mondi sonori agli antipodi: il linguaggio di Furrer è folle, quasi violento, vorticoso e irrefrenabile, il materiale genera un flusso di eventi a volte continuo e regolare, a volte disordinato e caotico “a mimare il disordine delle cose” (dal libretto di sala a cura di Alfonso Alberti). Tra le opere che sicuramente hanno segnato la critica e il pubblico si deve citare FAMA, lavoro che è valso al compositore il Leone d’oro alla Biennale Musica di Venezia del 2006.
Vacchi è invece “un maestro della lucentezza” (così lo ha definito Jean- Jacques Nattiez) che ha fatto della semplicità la sua cifra stilista, ricercando nell’amalgama dei suoni una nuova idea di armonia.
Gli esecutori sono d’eccezione: mdi ensemble. Nato nel 2002 e formato da giovani strumentisti, l’ensemble si è affermato per l’impegno nella diffusione della musica d’oggi (collaborando tra gli altri con Helmut Lachenmann, Stefano Gervasoni, Emilio Pomarico e Mauro Lanza). Per questa peculiare caratteristica sono stati chiamati come artisti in residenza in diversi festival internazionali come Koiné, Milano Musica, Chelsea Music Festival. Dalla loro esperienza è nato nel 2008 anche il progetto RepertorioZero (Leone d’argento alla Biennale Musica di Venezia nel 2012) che prevede l’utilizzo di strumenti elettronici e concreti.
Nel primo concerto svoltosi presso il Piccolo Teatro Studio “M. Melato” di Milano si sono eseguiti diversi lavori da camera dei due compositori. I tre brani di Furrer suonati si possono collocare temporalmente in tre periodi diversi del percorso creativo del compositore. Lied per violino e pianoforte (1993) risente ancora degli iniziali interessi dell’autore per i suoni al limite del silenzio proposti per lungo tempo e alternati al silenzio stesso. Con Aria per soprano e sei strumenti (1999) iniziamo a riconoscere i tratti che caratterizzano quello stile basato sul continuum di cui si accennava prima: la soprano Giulia Perri si destreggia in catene di fonemi da cui fuoriescono saltuariamente note intonate sul tappeto di accompagnamento frenetico e vorticoso degli strumenti. Si nota tuttavia che la voce di soprano si perde, scompare lasciando del vuoto, anche a causa dell’oggettiva difficoltà della parte. Alla fine del pezzo si assiste ad un quanto mai riuscito impiego della specializzazione sonora: la soprano e il clarinetto, suonato da Paolo Casiraghi, escono dai lati opposti della sala. Il brano termina con una sezione antifonale in cui le note della soprano passano al clarinetto in un gioco di rimandi davvero formidabile. L’ultima composizione in programma di Furrer è Linea dell’orizzonte per nove strumenti (2012). Il pezzo rivela diversi interessi recenti del compositore: una tecnica pianistica inusuale dal momento che il pianista agisce spesso direttamente sulle corde con lo scopo di deformarne il suono e produrre armonici d’ottava; l’utilizzo di strumenti di nuova liuteria come la chitarra elettrica; l’impiego di molti strumenti a percussione suonati spesso con le mani tra cui bottiglie di vetro, grate di ferro e frammenti di catene. La grande tecnica del mdi ensemble riesce a dare il meglio di sé, rivelando una straordinaria coesione e la capacità di tenere testa ad una partitura tutt’altro che semplice, guidato ovviamente dal sapiente gesto del compositore stesso.
Per quanto riguarda invece i brani di Vacchi, la scelta è ricaduta su due opere collocabili agli antipodi della sua carriera. Orna buoi ciel per violino, violoncello e pianoforte (2000) venne scritto per il settantacinquesimo compleanno di Luciano Berio (di cui il titolo del lavoro è l’anagramma del nome), autore di riferimento per Vacchi. Questo breve pezzo racchiude tutte le caratteristiche peculiari della musica del bolognese: tremoli su coppie di armonici dello stesso suono, glissando, suoni vibratissimi, flautando, mezza pressione dell’arco, arco al ponte, col legno. Ottima l’interpretazione di Lorenzo Gentili-Tedeschi (violino), Giorgio Casati (violoncello) e Luca Ieracitano (pianoforte).
Il secondo lavoro, che ha occupato tutta la seconda parte del concerto, è il ciclo di cinque brani da camera Luoghi immaginari (1987- 1992) i cui movimenti prendono il nome dal numero di strumenti impiegati nell’esecuzione, nell’ordine: Quintetto, Ottetto, Trio, Settimino, Quartetto.
Ogni brano è caratterizzato da un particolare tipo di materiale musicale adottato con lo scopo di produrre atmosfere sempre cangianti. Di estremo impatto è l’utilizzo della scala pentafonica impiegata per Ottetto, dedicato a Luigi Nono, che presenta un linguaggio armonico, quasi tonale, con vere e proprie cadenze, paradossalmente lontanissimo rispetto all’estetica abbracciata dal dedicatario. La sorpresa è tale che il pubblico applaude alla fine dell’esecuzione di questo secondo pezzo; gesto, quello dell’applaudire, che si ripresenta dopo l’esecuzione del quarto brano: credo sia necessario dare conto ai lettori di un teatrino abbastanza comico innestatosi a questo punto del concerto, uno di quegli imprevisti che sono poi la bellezza dello spettacolo dal vivo.
Il compositore, forse un po’ indispettito dall’applauso prolungato o forse infastidito da alcuni spettatori che ne stavano approfittando per lasciare la sala, si è alzato di scatto dal suo posto in prima fila e si è diretto nel centro della sala (per chi non lo sapesse il Teatro Studio è a forma di teatro greco in modo che siano presenti il palco vero e proprio allo stesso livello del terreno e uno spazio circolare centrale attorno a cui sta il pubblico) e con un gesto perentorio di mani in alto, a gran voce si rivolge ai presenti dicendo: “Per favore, Signori, non è ancora finito, manca ancora un pezzo! Per favore!”. In risposta a quest’atto in difesa della propria arte uno spettatore si lascia sfuggire ad alta voce un “Purtroppo!” in seguito al quale Vacchi ritorna al suo posto con un’espressione in volto visibilmente contrariata.
Alla fine del concerto il pubblico applaude (sic) e Vacchi, un po’ perché è di casa, un po’ aiutato dalla timidezza di Furrer che, in qualità di direttore, sta un po’ in disparte, si prende tutta la scena.

MISSA SOLEMNIS [Margherita Panarelli] Torino, 26 Settembre 2014.
Venti anni fa l’Orchestra Sinfonica Nazionale inaugurava il Prix Italia e iniziava la propria attività sotto la bacchetta di George Prêtre, quest’anno Juraj Valčuha sul podio dirige la Missa solemnis in re maggiore op. 123 di Ludwig Van Beethoven.
La Missa solemnis di questa sera riprende la tradizione iniziata con il decennale dell’Orchestra del 2004 di celebrare gli anniversari con questa composizione Beethoveniana. L’imponente schieramento di artisti sul palcoscenico rispecchia l’imponenza sonora ed emozionale di una Missa solemnis la cui esperienza potrebbe essere assimilata ad un viaggio sulle montagne russe tanto è sorprendente, travolgente e moderna. Un quartetto di solisti di prim’ordine ed il Coro Maghini completano la compagine.
Juraj Valčuha dirige con gesto deciso ma appassionato tenendo le fila egregiamente di ogni momento della partitura; la comunicazione tra Orchestra, Coro e Solisti non viene mai a mancare.
Veronica Cangemi, soprano argentino, possiede un ottimo strumento, un timbro caldo e piacevole, ottimi filati ed  una buona proiezione del suono le consentiva di essere udita in ogni angolo della sala ma la tendenza a voler sovrastare ogni altro elemento risultava a tratti controproducente per la coesione dell’insieme. Questo non avveniva nel caso del mezzosoprano Eva Vogel la quale poneva particolare attenzione nell’evitare che avvenisse. Il mezzosoprano tedesco ha eseguito egregiamente il proprio ruolo dimostrando le proprie qualità di fraseggiatrice pur con un testo quale questo della Missa Solemnis.
Il tenore Jeremy Ovenden, pur possedendo una voce dal timbro non esattamente affascinante, convince in ogni momento dell’esecuzione e dimostra nella gestione dei fiati e nell’impostazione del suo registro acuto di aver appreso bene la lezione del suo Maestro, Nicolai Gedda, con cui si è specializzato.
Colpisce il volume e la bellezza del timbro della voce di Andreas Schneiber, basso tedesco che durante questa serata ha brillato per i molti meriti tra i quattro solisti. L’accento, l’omogeneità dei vari registri e lo slancio esecutivo sono durati per tutti i novanta minuti della Missa Solemnis.
Eccellente performance del coro Maghini impegnato in una prova anche ardua a tratti. 
Ogni elemento ha collaborato alla riuscita di una splendida esecuzione. 
Questa partitura, non tra le più  da eseguire ha messo in luce le qualità di Orchestra e Coro e quale modo migliore di celebrare i propri vent’anni? Un grazie sentito ad ogni elemento dell’Orchestra per le splendide emozioni che ci regalano dal momento della propria fondazione e a Juraj Valčuha per aver guidato il cammino dell’Orchestra in modo egregio in questi 6 anni in cui ne è stato a capo.

ROMANTICISMO TRA LE DUE GUERRE [Lukas Franceschini] Venezia, 28 settembre 2014.
Il Palazzetto Bru Zane, Centre de Musique Romantique Française, inaugura la propria stagione concertistica con un Festival denominato “Romanticismo tra le due guerre – Au pays où se fait la guerre”.
Piccolo preambolo: l’istituzione Bru Zane è una delle pochissime, se non l’unica, realtà di mecenatismo musicale nel nostro paese anche se importata dalla Francia ma con collegamenti estesi in tutta Europa. E’ ammirevole, e sorprendente, che un’istituzione privata si faccia carico di diffondere musica, concerti, e produca cd e libri proprio nel periodo di maggior crisi economica planetaria. Inoltre, peculiarità del Bru Zane è proporre musicisti meno cosciuti al grande pubblico e all’editoria, facendo scoprire nomi che sono caduti nell’oblio solo casualmente, ma meriterebbero di essere diffusi ed eseguiti con maggior frequenza.
E’ il caso di questo primo concerto che ha avuto per protagonisti il mezzosoprano Isabelle Druet e il Quatuor Giardini, che si sono esibiti in programma variegato e suddiviso in quattro parti sottotitolate: La partenza, Al fronte, La morte, In paradiso. Il 2014 è nell’anniversario della più cruenta guerra, il Primo Conflitto Mondiale, che si vuole celebrare e ricordare come evento lontano ma mai tanto presente in tutti noi attraverso memorie storiche, private, pubbliche. La guerra: orrenda parola, mostruoso fatto, ma costantemente presente nel cammino dell’umanità. Paradossale, sapendo che non serve a nulla e provoca solo disperazione, sacrifici, lutti e successivi conflitti. Eppure in passato soprattutto in quel XIX secolo cosi “rivoluzionario” richiamava un sentimento unanime di patriottismo, di voglia di guerra, un insanabile entusiasmo bellico. I compositori del concerto hanno a loro modo trattato il tema della guerra, Donizetti e Offenbach in maniera comica, gli altri come atto del sacrificio, della separazione dagli affetti, del lutto. La guerra in particolare quella del 1870 e del 1914 ebbe un segno tangibile su tutte le generazioni francesi, pertanto i programmi musicali sia di opere sia di mélodies, per rendersi staccata dall’attuale traggono spunto da eventi del passato, basti pensare l’ambientazione donizettiana e offenbachiana risalente al ‘600/’700, mentre la musica da camera della fine ‘800 assume altra dimensione: inizia una ragionevole analisi sulla follia della guerra e sul mondo militare, espressione musicale che pur rifacendosi al tardo romanticismo da una prima scossa culturale ad anime e coscienze.
Nel programma di sala abbiamo trovato un breve ma mirabile saggio di Alexandre Dratwicki, direttore scientifico del Bru Zane, il quale ci illustra in maniera esaustiva la pratica della trascrizione musicale, oggi abborrita, ma fino agli inizi del XX secolo molto in uso, informandoci che adattate il programma del concerto per quartetto con pianoforte è volontà precisa di creare un’unità musicale senza frammentare l’esecuzione nell’alterno uso del piano e dell’ensemble, assumendosi la responsabilità musicale di proporre un “manifesto” di un Romanticismo francese da riscoprire e riscrivere in continuazione. Lo stesso Dratwicki è l’autore di tali trascrizioni, il suo lavoro è di raffinata musicalità in un risalto cameristico di eccezionale valore interpretativo.
Isabelle Druet è cantante ed interprete di primissimo ordine, con voce duttile e manierata nell’espressione. Difficile affermare se si preferisce nei ruoli buffi delle operette, ove sfodera una verve carismatica, o nel raffinato fraseggio delle mélodies ove l’incisività della parola e del colore rendono questi brani autentici gioielli malinconici, in questo è supportata da una buona tecnica e da una voce omogenea di chiara bellezza. Non è da meno il Quatuor Giardini, ensemble affiatatissimo, di ottima fattura stilistica, suono morbido e brillante, capace di spaziare senza indugi tra i differenti compositori in programma.
Successo caloroso da parte del pubblico, al quale sono stati offerti due bis.

MESSA DA REQUIEM [William Fratti] Torino, 4 ottobre 2014.
La musica che Verdi scrisse per commemorare il primo anniversario della morte di Alessandro Manzoni è generalmente annoverata tra le composizioni sacre, ma ciò non accade a Parma, patria del Cigno, dove la Messa da Requiem è unanimemente inclusa nel catalogo delle 27 opere teatrali. Ed è proprio così, poiché ogni volta che la si esegue come si deve, ascoltandola ci si rende conto di trovarsi di fronte ad un dramma umano, fatto di sentimenti e di passioni.
Le coriste del Teatro Regio di Torino con le spalle coperte da uno scialle rosso, i quattro solisti accomodati accanto al coro pressoché composto da un centinaio di elementi e, di fronte a loro, i quasi cento professori d’orchestra disposti a semicerchio, sono la naturale scenografia di questa rappresentazione.
Il vero perno di questa complessa geometria è il direttore musicale del teatro Gianandrea Noseda che dirige con la consueta precisione, sapendo però arricchirla di colori robusti, cromatismi decisi, intensità drammatica e, di conseguenza, forti emozioni che portano alle lacrime. La sua guida è una vera e propria danza sul podio; la sua bravissima orchestra e l’eccellente Coro diretto da Claudio Fenoglio sono i magnifici esecutori della sua coreografia. Esemplari gli ottoni, vero e proprio fiore all’occhiello dei complessi artistici del Regio.
Erika Grimaldi sostituisce l’annunciata Hui He e lo fa con buon uso dei propri mezzi, pur non essendo propriamente indicati per questo ruolo. Non v’è dubbio che la soprano astigiana sia dotata di musicalità e buona tecnica di canto, sapendo infatti adottare i giusti compromessi nelle note più basse senza rischiare di affossarsi, né di emettere suoni poco piacevoli. Certamente il punto forte sono gli acuti, che sono ben incanalati, con la gola dritta, sui quali si mantiene limpida e sonora. Manca però di accento drammatico nella prima parte del “Libera me”, mentre la ripresa col coro è migliore. Eccellenti piani e pianissimi nel Requiem intermedio.
Daniela Barcellona è da considerarsi un’espertista del ruolo e in questa occasione, se possibile, si mostra ancora più adeguata, con una linea di canto morbida e pulita dalle note più gravi fino alle più acute, ma soprattutto encomiabile nel fraseggio.
Gregory Kunde, in sostituzione di Jorge de Leon, è una piacevolissima sorpresa. Se negli ultimi anni la rincorsa all’eleganza ha portato tanti Nemorino e altrettanti Don Ottavio ad interpretare la Messa di Verdi, con conseguente arricchimento di mezze voci e di falsetti – e ciò anche a causa della scarsità di tenori più spinti in grado di essere un poco raffinati – Gregory Kunde dimostra che è possibile essere aggraziati e saper fare i colori anche quando si possiede una voce particolarmente piena e stentorea. Anche Otello, Enea e Vasco de Gama possono essere delicati nell’ “Ingemisco”, ma con accenti, intenzioni e soprattutto suoni limpidi e svettanti che sanno dipingere il dramma in maniera spaventosa e non impaurita. C’è differenza.
Michele Pertusi in ogni personaggio, ma soprattutto in questa rappresentazione, sa uccidere lo spettatore a colpi di fraseggio, con un’espressività che non ha eguali. Il tutto condito da un’attenzione maniacale alla purezza del suono e all’articolazione della parola. L’unico neo è che in questa lettura di Noseda, particolarmente intensa, si sarebbero preferite voci di soprano e di basso più scure e robuste.

23° FESTIVAL MILANO MUSICA [Marco Benetti] Milano, 9 ottobre 2014.
“Muor giovane colui ch’ al cielo è caro” scriveva Leopardi traducendo il poeta greco Menandro. La morte di un giovane e promettente compositore, che i posteri hanno denominato genio, rallegra forse gli dei ma lascia un vuoto attorno a noi mortali che è umano e artistico. A dieci anni dalla sua scomparsa Fausto Romitelli rimane una delle figure più originali che si siano affacciate al XXI secolo e alla sua musica, forse anche per colmare questo vuoto, è stato scelto di dedicare il 2014.
Un’inaugurazione insolita per un compositore insolito. 
Innanzi tutto il luogo, l’Alcatraz di Milano, locale adibito a discoteca e ad eventi musicali principalmente di popular music, che si rivela una cornice più che adatta alla realizzazione della serata specialmente per l’impianto di amplificazione utile alla messa in scena di tutti i lavori eseguiti che richiedevano un massiccio uso della componente elettronica.
Come ora tenterò di spiegare, tutte le composizioni presentate sono accomunate dall’intento di dialogare con la popular music: da una parte attraverso l’acquisizione di quegli elementi originali che, qualora correttamente riutilizzati, posso arricchire il suono degli strumenti tradizionali, dall’altra attraverso la provenienza degli artisti in questione (in particolare Mika Vainio, componente del gruppo techno finlandese Pan Sonic) dall’universo pop.
La matrice antiaccademica, che è il marchio di fabbrica dell’estica romitelliana, rivolta al suono distorto, sporcato, che guarda alle sonorità del rock e della techno ma che resta pur sempre salda al mezzo della scrittura sulla carta che permette di individuare il legame con la musica della tradizione, raggiunge una perfetta sintesi nel suo ultimo lavoro, la video- opera An Index of Metals (2003) per soprano, ensemble, elettronica e multiproiezioni (visibili su tre enormi schermi posti dietro all’ensemble) creata in collaborazione con Paolo Pachini, curatore del video e con Kenka Lecovich, curatrice del libretto. Un lavoro di rottura non solo per le sonorità uniche ma che rivela come antiaccademica sia la ricerca delle fonti d’ispirazioni letterarie, artistiche, cinematografiche e musicali a cui il compositore di Gorizia attingeva: il titolo della video- opera trae infatti spunto da un brano di Brian Eno. L’esecuzione del pezzo è affidata all’Ictus Ensemble, diretto da Georges- Elie Octors, affiancato da Donatienne Michel- Dansac, soprano: è particolarmente emozionante constatare come proprio questo gruppo di artisti ebbe la fortuna di lavorare con lo stesso Romitelli per la realizzazione delle prime riprese dell’opera.
Rave party: questo era l’originale sottotitolo che l’autore aveva pensato per An Index. L’intento che traspare è quello di voler coinvolgere l’ascoltatore completamente nell’evento, attraverso una “deriva costante verso la densità più insostenibile”, sovvertendo la tradizionale modalità d’ascolto della musica classica e sostituendola con quello che potremmo definire un ascolto corporeo desunto dalla fruizione della popular music (in particolare della musica techno pensata proprio per i rave party).
Il pubblico viene fatto entrare nella sala dell’Alcatraz, le luci soffuse, le casse che a intervalli propongono un accordo (sol minore) solo per chi secondi poi un glissando al grave riporta silenzio. Chi non ha mai ascoltato prima An Index of Metals non capisce cosa sia esattemente. Lentamente i musicisti, direttore compreso, si presentano sul palco, senza attirare l’attenzione del pubblico. Ad un certo punto le luci si abbassano e l’accordo prende il sopravvento sul chiacchiericcio della platea. Cala il silenzio. Quell’accordo che il pubblico ha sentito per tutto il tempo è in realtà l’inizio del pezzo: distorto, filtrato elettronicamente e successivamente eleborato dagli strumenti, l’accordo iniziale di una canzone dei Pink Floyd diventa il materiale dell’introduzione dell’opera, intonando un vero e proprio Requiem della materia. Nel video compare un cerchio sfuocato, un occhio forse che è la porta d’ingressio nel trionfo della Caduta e della distorsione percettiva. Si avverte sin da subito che gli esecutori hanno questa musica nel sangue. Veniamo tutti travolti dalla materia sonora e dalla potenza ipnotica del suo incontro con l’immagine. Ne risulta una sensazione più corporea che uditiva, a tratti violenta, si ha l’impressione che la musica prodotta dall’ensemble e diffusa dall’impianto audio ci entri dentro, generando uno stato di simbiosi tra il nostro corpo e il suono. La voce di Donatienne Michel- Dansac si distorce progressivamente nei cinquanta minuti dell’opera, partendo da una modalità di canto tradizionale, che disegna una linea melodica orecchiabile e che, diventando sempre più virtuosistica, raggiunge il puro noise nel momento in cui è richiesto l’utilizzo di un megafono. Incredibile è l’effetto di straniamento dato dagli intermezzi elettronici sapientemente spazializzati derivati da brani techno del gruppo finlandese Pan Sonic: è come se la temperatura si alzasse di colpo.
La spazzatura vortica nel cestello di un inceneritore nei tre schermi mentre chitarra e basso elettrico si scatenano in una cadenza finale improvvisata che ha un forte debito verso gli assoli del rock: non si può non pensare alla violenza di Jimi Hendrix intento a bruciare e poi distruggere la sua chitarra. Nel punto culminante della saturazione e della distorsione del suono, come un colpo al cuore dello spettatore, il video si spegne, Tom Pauwels (chitarra elettrica) e Géry Cambier (basso elettrico) staccano i loro jack degli strumenti riportando la sala nel silezio più assoluto. Un’ovazione. Un’esecuzione incredibile che ha davvero messo in risalto il perfetto equilibrio raggiunto da Romitelli nella commistione tra il sound della popular music e il poliedrico universo delle grammatiche musicali contemporanee.
Proseguire una serata simile è difficilissimo, soprattutto per l’aspettativa creatasi nel pubblico.
La Direzione artistica del Festival, affidata a Cecilia Balestra, ha scelto di presentare un progetto in collaborazione con Sincronie, colletivo artistico nato nel 2003 di cui Romitelli fu co- fondatore, dal titolo An Electronic Tribute to Fausto Romitelli. 
Il primo brano ad essere presentato è Cluster (per Demetrio Stratos) di Massimiliano Viel per suoni elettronici e video (2009- 2014). Il pezzo ha come scopo l’esplorazione della vocalità e per farlo rielabora elettronicamente spezzoni della versatile voce di Demetrio Stratos, cantante degli Area. Il video vede la suddivisione dei tre schermi, già utilizzati nella prima parte del concerto, in dodici fasce verticali. Ad ognuna di esse corrisponde un gesto musicale che si fa immagine: ne risulta un contrappunto di sequenze video desunte direttamente da suono. Purtroppo questo meccanismo diventa, a mio parere, un po’ meccanico nello svlgimento del pezzo creando un lieve scarto tra il video e le intuizioni udibili dell’elettronica.
Il brano successivo è stato affidato al gruppo milanse Otolab, che sviluppa percorsi creativi tra immagine e suono, dal titolo Dystopia (2014), in prima esecuzione assoluta, che nell’ampio svolgimento del brano partendo dalla proiezione di un cerchio (a ricordo di quello romitelliano) ampliava progressivamente l’ambito delle frequenze messe in gioco e lo spazio dell’immagine che dall’occupare un singolo schermo arriva a occuparli tutti per poi scomparire nella parte finale del brano.
La serata viene chiusa dall’incontro dei video di Otolab con il live di Mika Vainio, Waveform Index, in cui l’artista finlandese da prova della sua arte remixando passi dell’opera di Romitelli. Si avverte nella sua musica un contrasto voluto tra i suoni eleganti dell’elettronica più di consumo e le sonorità più aspre che caratterizzano la techno anni ’90, generando “un primitivismo monumentale” in cui è possibile rintracciare un impianto formale suddiviso in sezioni.
Tutti questi pezzi ci rivelano un mondo musicale purtroppo di nicchia, incredibile e affascinante, che grazie a questa inaugurazione è riuscito forse ad ampliare il bacino del suo pubblico.

MARIELLA DEVIA [William Fratti] Parma, 11 ottobre 2014.
Quando una regina indiscussa del belcanto, quale è Mariella Devia, si esibisce in qualche città, è quantomeno doveroso riempire ogni posto disponibile anche solo per rispetto. Invece il Teatro Regio presenta molti vuoti e soprattutto una gran parte degli spettatori intervenuti sono fan accaniti provenienti da altrove.
La Signora Devia, all’ingresso in palcoscenico, è salutata da un lungo, caloroso e scrosciante applauso. Il concerto si sviluppa attraverso una serie di romanze e arie d’opera di Giuseppe Verdi:
“Perduta ho la pace”, Sei romanze (1838)
Il Brigidino
È la vita un mar d’affanni
“Egli non riede ancora… Non so le tetre immagini”, Il Corsaro
Stornello
Chi i bei dì m’adduce ancora
“Arrigo! Ah! Parli a un core”, I vespri siciliani
“Mercé, dilette amiche”, I vespri siciliani
“Oh ben s’addice… Sempre all’alba ed alla sera”, Giovanna d’Arco
“Qui! qui!… O fatidica foresta”, Giovanna d’Arco
“Deh, pietoso, oh Addolorata”, Sei romanze (1838)
“La zingara”, Album di sei romanze (1845)
“Lo spazzacamino”, Album di sei romanze (1845)
“Qual prodigio!…Non fu sogno”, I Lombardi alla prima Crociata.
Il titano della lirica porta a Parma, dove mancava da dieci anni, la sua consueta perfezione in termini di tecnica di canto, soprattutto l’estrema omogeneità nel passaggio di registro, l’uso degli armonici e la proiezione, senza dimenticare l’eccellenza nell’uso della parola e nel fraseggio. Purtroppo la qualità del suono non è più così impeccabile e non risponde più a tanta perizia. Qualche nota nelle prime romanze è un po’ stonata, altre leggermente nasali, ma i colori sono davvero interessanti. I filati de Il corsaro non sono così sottili come dovrebbero e le note basse sono parlate. Con I vespri siciliani la situazione migliora notevolmente, prima di tutto la bellissima cadenza di “Arrigo! Ah! Parli a un core”, poi la resa complessiva di “Mercé, dilette amiche”, anche se con poca elasticità.
Con la prima aria di Giovanna d’Arco, più drammatica, Mariella Devia mostra un accento davvero eloquente, mentre con la seconda il canto si interrompe durante il recitativo e la romanza non è resa particolarmente bene. Nei pezzi successivi, le pagine patetiche sono eseguite con una musicalità sinceramente invidiabile, mentre le agilità non sono delle migliori.
Al termine del concerto il pubblico è in visibilio e dall’alto qualcuno urla “sempre meravigliosa”, “divina”, “sei grande”.
I bis concessi da Mariella Devia sono un vero e proprio regalo: “Casta Diva” da Norma, “Allons! il le faut!… Adieu notre petite table” da Manon e la prima strofa di “Addio del passato” da La traviata. Con questi brani la sacra imperatrice della lirica esegue una vera e propria lezione di canto. È elegante, raffinata, musicalissima, ricca di cromatismi, espressiva nel fraseggio, eccellente nell’uso degli accenti.
All’uscita dal teatro ognuno degli intervenuti ha il sorriso stampato in volto, o le lacrime che rigano le guance.
Grazie Mariella.
E grazie al bravissimo Giulio Zappa al pianoforte.

FUOCO DI GIOIA [William Fratti] Parma, 17 ottobre 2014.
Non è casa facile ripetere il successo di un evento, soprattutto se lo si ripropone con la stessa ricetta, ma l’impegno e la passione del Club dei 27, nonché la generosità e il calore degli artisti intervenuti, lo hanno reso possibile.
Così la seconda edizione di Fuoco di Gioia ha acceso gli animi degli spettatori presenti in sala, il cui contributo economico, moltiplicato da Fondazione Cariparma, Barilla e Chiesi farmaceutici, è devoluto a “Parma facciamo squadra 2014” e certamente impiegato anche a riparare i danni provocati dalla recente alluvione. E a rendere tutto più festoso ed informale è la presentazione a cura del bravissimo Falstaff, alias Paolo Zoppi, direttore artistico del gruppo di appassionati e melomani intenditori.
Antonello Allemandi dirige con polso sicuro la Filarmonica Arturo Toscanini, prodigandosi in suoni decisi e marcati, risultando particolarmente accattivante nelle pagine più drammatiche, tra cui la sinfonia di Luisa Miller, il duetto di Amneris e Radames da Aida e l’aria di Otello. Bravissima la spalla Mihaela Costea nel preludio al finale atto terzo de I Lombardi alla prima crociata.
Roberto Tagliavini apre la lunga kermesse ed è un ottimo biglietto da visita. “Come dal ciel precipita” da Macbeth è resa con un fraseggio molto interessante e acuti limpidissimi. Qualche minuto più tardi accompagna Anna Pirozzi in “Santo di patria” da Attila con un accento così riuscito da lasciare il pubblico in trepidante attesa della grande aria del Re degli Unni. E certamente non delude, anzi, si dimostra protagonista validissimo, musicale ed omogeneo, saldo su tutta la linea di canto che in questa parte appare particolarmente morbida e ricca d’accenti.
John Osborn e Lynette Tapia debuttano al Teatro Regio di Parma, accompagnati da Rossana Rinaldi, con “Giovanna ho dei rimorsi” da Rigoletto. Purtroppo le poche frasi pronunciate dalla Signora Rinaldi appaiono poco intonate e il canto della Signora Tapia è ridotto ai minimi termini, oltreché presentarsi poco pulito, soprattutto negli attacchi e negli acuti. Invece il Signor Osborn, dotato di naturale morbidezza ed eleganza, si prodiga in una serie di pianissimi particolarmente raffinati. Nella seconda parte del concerto Lynette Tapia vince l’emozione dei primi momenti esibendosi con un sorprendente “Caro nome” che, seppur non sempre precisissimo, è indovinato nei colori, ma soprattutto permette al soprano di regalare al pubblico dei bellissimi filati naturali, qualche forcella inserita nei punti giusti e un bel trillo, seppur per pochi secondi. Subito dopo il marito è il Duca di Mantova in “Ella mi fu rapita… Parmi veder le lagrime… Possente amor mi chiama” dove eccelle indubbiamente nei fiati, ma l’abuso di pianissimi e mezze voci – comunque eseguite magistralmente – rende tutto troppo mieloso, soprattutto in considerazione del fatto che sullo spartito ci sono molti segni d’accento, ma nessuna p. Al contrario le sue recenti performance rossiniane sono di notevole levatura. Buona la resa del duetto “Parigi, o cara”.
Anna Pirozzi, in abito rosso scarlatto, infiamma letteralmente la platea con la cavatina di Odabella. La linea di canto non è pulitissima, ma la possanza della voce, la spiccata drammaticità, il vigore del timbro e la facilità con cui porta i centri verso l’acuto alimentano certamente l’interesse nei suoi confronti. Attenzione ulteriormente attirata dalla resa di “È strano” che Pirozzi canta per la prima volta in pubblico, con lo spartito, in sostituzione dell’assente Monica Tarone. Ovviamente ci sono tutte le imprecisioni di chi non ha in gola la parte, ma è davvero piacevole udire una Violetta di un certo calibro – come pure incantevole sentire il fuori campo di Alfredo cantato dalla valanga vocale di Gregory Kunde. Purtroppo con la successiva “Pace, pace, mio Dio” da La forza del destino escono tutte le imperfezioni, mancando di morbidezza, omogeneità e attenzione alle sfumature.
Rossana Rinaldi è una credibilissima Amneris in “L’aborrita rivale” e un’altrettanto attendibile Azucena in “Condotta ell’era in ceppi”. La voce ha un bel colore, seppur non troppo scuro, ma il canto non è sempre pulitissimo, soprattutto nelle note più alte. In entrambe le celebri pagine verdiane è accompagnata dal tenore statunitense, anch’egli debuttante al Teatro Regio.
Gregory Kunde, classe 1954, dopo oltre trenta anni di carriera belcantista sta vivendo una seconda primavera con ruoli tipicamente spinti e nel repertorio verdiano sta riscuotendo incredibili successi con Il trovatore, I vespri siciliani, Un ballo in maschera, Messa da Requiem, Aida, Otello ed è proprio con la temibile aria tratta da quest’ultimo titolo che il Signor Kunde porta la platea di Parma in stato di esultanza. Il fraseggio di “Dio! Mi potevi scagliar” è encomiabile, la musicalità è invidiabile, lo squillo è limpidissimo, i centri voluminosi sapientemente portati verso l’alto e omogeneamente passati in acuti continuando a mantenere il medesimo peso. E la richiesta di bis diventa un obbligo e fortunatamente è concesso.
Ferruccio Furlanetto, classe 1949, festeggia i suoi quaranta anni di carriera con il conseguimento del Cavalierato di Verdi, l’onorificenza del Club dei 27 assegnata a chi ha contribuito con la propria attività a diffondere e a tenere alto nel mondo il nome di Giuseppe Verdi. Dopo la consegna del collare da parte di Mirella Freni, Cavaliere dal 1980, il celebre basso si esibisce in “Infelice e tuo credevi” da Ernani con voce un poco rotta dall’emozione, ma con bel timbro, bel colore e soprattutto fraseggio espressivo. Ed è a Furlanetto che spetta la chiusura della serata con “Ella giammai m’amò” da Don Carlo, in cui si prodiga in un eccellente e sapiente uso della parola.
Una serata verdiana perfettamente riuscita con un pubblico letteralmente in visibilio. Peccato per il continuo chiacchiericcio proveniente dal palco centrale.

OMER MEIR WELBER [Lukas Franceschini] Verona, 18 ottobre 2014.
La Stagione Sinfonica della Fondazione Arena di Verona è stata inaugurata al Teatro Ristori, come di consuetudine negli ultimi anni, da un concerto diretto da Omer Meir Wellber.
In programma musiche di Schnittke, Mozart e Beethoven. Il primo brano “Moz-Art à la Haydn” di Alfred Schnittke è una specie di sottotitolo di “Pantomima per due violini, due piccole orchestre d’archi, contrabbasso e direttore”, la citazione mozartiana deriva da ciò che è restato, la sola parte per violino, di una pantomima composta da Mozart per il carnevale del 1783, andata in seguito perduta. Nel brano le citazioni a temi mozartiani si sommano in una sorta di già udito che sembra riaffiorare dal passato. Il riferimento alla musica di Haydn s’ispira invece alla celebre “Sinfonia degli addii”, così nominata perché il compositore concesse ai musicisti di abbandonare il loro posto durante l’esecuzione del finale lento spegnendo la candela. Questo per sollecitare i permessi che il principe Esterhazy non era propenso ad elargire. La partitura di Schnittke evoca dunque un passato remoto nella congenialità del moderno compositivo oltre ad iniziare e finire nella completa oscurità lasciando lo spettatore nel bilico dell’ignoto oscuro che lo avvolge. Si prosegue con il Concerto per fagotto e orchestra in Si Bem. Magg. K 191 di Wolfgang Amadeus Mozart, unico nel genere per fagotto composto dal compositore salisburghese. La fantasia e la straordinaria versatilità di Mozart ci fanno capire che questo concerto del 1774 è alle origini di altri, per strumenti diversi, con maturità compositiva imperante. Nel concerto in oggetto il fagotto è un assoluto virtuoso, che deve spaziare dal grave all’acuto con una tecnica di primordine. Esemplare il terzo tempo, rondò in tempo di menuetto, che non è lezioso, ma rifà ad un virtuosismo d’ispirazione bachiana (figlio) e al ritmo di Haydn. Dopo l’intervallo è stata eseguita la Sinfonia n.3 Op. 55 in Mi Bem. Magg. “Eroica” di Ludwig van Beethoven. Fu la sinfonia con la quale il compositore si impose al mondo musicale come l’umo nuovo della musica (1805), artista che sapeva meglio rappresentare in musica sentimenti e passioni comuni. Considerata da Beethoven come la più bella e migliore delle sue sinfonie, all’inizio non fu accolta con grande successo, ma s’impose a breve quando il pubblico capì il primo movimento cosi rivoluzionario. In effetti, la partitura fu composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo e questi era Napoleone simbolo dei principi democratici dopo la rivoluzione francese, ma quando il generale corso si fece incoronare Imperatore, Beethoven strappò adirato il frontespizio della partitura con la dedica al primo cittadino di Francia. Il tema iniziale è sferzante e penetrante cui segue un tema di contrasti e il gioco fantastico è illuminato. La marcia funebre è struggente e drammatica elaborazione. Il finale è l’apoteosi della variazione e dello sviluppo delle parti, concludendosi in maniera travolgente determinando, in generale, il possente impianto di esaltazione entusiastica per quanto c’è di buono, magnanimo ed innovatore nel mondo.
La parte del fagotto solista è stata affidata a Paolo Guelfi, prima parte dell’orchestra dell’Arena di Verona, che ha profuso stile e tecnica impeccabile, lucentezza esecutiva e ottimo bilanciamento nel rapporto d’insieme con l’ensemble sotto la guida fulgida e morbida del direttore.
Lo stesso Wellber ha giocato benissimo sull’ironia del brano di Schnittke assecondato alla perfezione dalle parti dell’Orchestra. Nella sinfonia beethoviana lo stesso direttore ha trovato accenti e colori emotivamente pertinenti nel concetto del romanticismo tedesco, accentuando la muscolosa sonorità di massa sviluppata in tempi vivaci, nella seconda sezione concerta in maniera intimistica la marcia funebre di assoluto pregio, il suo braccio è in generale sovente febbrile di grande musicalità e grande respiro orchestrale. L’orchestra dell’Arena era in gran forma e ha dato prova di assoluta professionalità.
E’ stato seguito un solo bis, particolare e di gran pregio, “Over the Rainbow” che tutti abbiamo amato dalla voce di Judy Garland dal film “Il mago di Oz”, solista al fagotto direttore e orchestra l’hanno reso in maniera encomiabile, una preziosa perla.

REQUIEM [Natalia Di Bartolo] Helsinki, 1 novembre 2014.
Limpida esecuzione dello splendido Requiem di Verdi nella neogotica chiesa di San Giovanni a Helsinki, giorno 1 novembre 2014, per la Finnish National Opera.
Alla guida dell’orchestra della Suomen Kansallis Ooperan il giovane Maestro Michael Guttler, che ha dato vita ad una concertazione e direzione attenta ai tempi e molto curata, ma pregna di dinamiche asciutte e decisamente “nordiche”; il che ha restituito scarna la musica verdiana rispetto all’ascolto più consueto, rendendo anche un colore orchestrale tendente più all’esaltazione degli acuti che dei gravi ed all’amalgama di questi con gli altri. Tutto ciò, però, non ha nuociuto al capolavoro del genio di Busseto, poiché la compostezza e la correttezza anche filologica sono state la parola d’ordine.
Ottimi i quattro solisti: magnifico il soprano Claire Rutter, dalla voce potente, dai coloriti accuratissimi e dai filati ammirevoli, affiancata dal mezzosoprano Lilli Paasikivi; dal lato maschile, il tenore Mika Pohjonen, colui che, insieme al mezzosoprano, ha palesato l’impostazione vocale decisamente più wagneriana tra i solisti, aveva accanto l’ottimo basso Roberto Scandiuzzi, al suo 237° Requiem verdiano. Il celebre interprete trevigiano, con la propria impostazione belcantistica, ha portato in Finlandia un soffio di italianità alla partitura, nell’emissione morbida, nel timbro inconfondibile e vellutato e nell’espressione, anche per quanto riguarda il testo in latino, che di solito viene cantato senza sottolineatura alcuna del suo significato letterario.
Proprio la dizione della lingua latina è stato l’ostacolo più arduo da superare per il nutrito e attento Coro della Suomen Kansallis Ooperan, diretto dal M° Ollitapio Lehtinen, che pure eccedeva forse in entusiasmo nei forti e negli acuti e che anch’esso palesava voci d’impostazione decisamente non belcantistica, soprattutto tra i soprani e i tenori.
Effetto d’insieme comunque suggestivo e di altissimo livello qualitativo, graditissimo al folto pubblico, attento più che mai, immobile durante l’esecuzione, anche affacciato alle balconate della suggestiva chiesa finlandese, ma che si è dimostrato non mai avaro di applausi sentiti e meritati per tutti i protagonisti.

Romanticismo tra guerra e pace [Lukas Franceschini] Venezia, 27 novembre 2014.
Al Palazzetto Bru Zane di Venezia al Centre de Musique Romantique Française nell’ambito del Festival “Romanticismo tra guerra e pace” si è tenuto il concerto titolato “Les Clairieres dans le ciel” interpretato dal Duo Contraste, il tenore Cyrille Dubois e il pianista Tristan Raes.
In programma cicli di melodie di autori francesi, uomini e donne vissuti cavalcando la terribile esperienza del primo conflitto mondiale: Guy Ropartz, Pierre Vellones, Jacques de La Preise, Louis Vierne e Lilli Boulanger. Tutti autori semi-sconosciuti al pubblico soprattutto italiano, i quali riservano ovviamente belle sorprese. Quasi tutti i temi musicali, pur nella loro peculiarità, subiscono un dominante influsso di Claude Debussy, nello stile, nella forma nell’espressione vocale. Come correttamente appuntato sul programma di sala il mondo musicale di questo concerto si può ascrivere alla sezione di accompagnamenti ridotti all’essenziale su di una tessitura pianistica vibrante e con un canto declamato libero e naturale corredato da raffinate armonie di complessa fattura. E’ indubbio che tale repertorio sia parallelo al testo e alla lingua francese, infatti, senza traduzioni si nominano “mélodies” al pari del lied tedesco. Trattasi di testi con valori nazionali e insiti nel tessuto letterario d’oltralpe molto rappresentativo in quegli anni. Autori letterari, come Henri de Régnier, Marcel Manchez, M. A. Robert, Jena Richepin, Charles Péguy e Francis Jammes. Ammetto senza vergogna per me sono autentici sconosciuti, ma posso azzardare anche per molti miei connazionali, ad eccezione di coloro i quali hanno fatto studi e s’interessano di letteratura francese. Tuttavia, sono testi bellissimi di una pura ermetica o talvolta descrittiva immagine di desolazione, o amore, o sentimento. In tutti questi scritti si esaltano i valori umani, i ricordi, gli affetti, e non le vicende belliche che implicitamente sono rigettate a puro dovere patriottico ma che l’uomo nel suo intimo non vuole, non magnifica.
Nell’ottica musicale interpretativa il concerto offerto dal Duo Contraste è stato emozionante, anche se è doveroso rilevare che lo spazio esecutivo era molto ristretto e la voce del bravo tenore Cyrille Dubois è piccola ma ben impostata. I suoi punti di forza sono un fraseggio accuratissimo per il repertorio da camera francese delle mélodies accomunato ad un’espressione di alto rango. Contro si è potuto registrare un leggero vibrato in zona acuto e in alcuni momenti un suono non ben immascherato, in tal caso limitando la sonorità. Nel brano “Je n’ai rien que trois feuille d’or” di Ropartz il canto a cappella non sempre era intonato. Nel complesso possiamo affermare di una buona prestazione ma con qualche limite tecnico che potrebbe essere risolto con facili accortezze. Il pianista Tristan Raes è stato a sua volta un valente ed espressivo accompagnatore ma tale termine è probabilmente riduttivo, egli creava giustamente un duo con il cantante per intesa e grande coinvolgimento interpretativo di eccellente mano, la quale si è potuta esprimere in maniera indicativa nell’assolo al pianoforte “Le Glas Op. 39” di Louis Vierne magnificamente reso.
La platea del Bru Zane era al completo e al termine ha salutato gli esecutori con un convinto consenso.