Spettacoli

La traviata – Arena, Verona

Il 100.mo Festival dell’Arena di Verona si chiude con una attesissima recita de La traviata di Giuseppe Verdi.

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Anna Netrebko e Freddie De Tommaso

Per la serata conclusiva del 100.mo Festival dell’Arena di Verona, va in scena l’ultima rappresentazione de La traviata di Giuseppe Verdi nell’ormai storico allestimento postumo di Franco Zeffirelli. Ad interpretare l’infelice eroina, protagonista del capolavoro del cigno bussetano, quest’anno si sono avvicendate sul palcoscenico dell’anfiteatro veronese alcune tra le più grandi interpreti dell’attuale panorama lirico internazionale. Ma, come nel più classico dei film, il colpo di scena è riservato per il gran finale, con il ritorno nel ruolo, a sei anni di distanza dall’ultima sua interpretazione, della super diva: Anna Netrebko. Comprensibile e prevedibile, dunque, la febbricitante attesa di folte schiere di melomani accorse nella città scaligera per assistere ad un evento che definire imperdibile sarebbe riduttivo. La serata, diciamolo subito, è stata coronata da un trionfo assoluto per la diva, e non poteva essere altrimenti se pensiamo al grande applauso che ha accolto la lettura del suo nome in locandina poco prima dell’inizio dello spettacolo. Sono ormai trascorsi quasi vent’anni dal debutto di Netrebko nel ruolo di Violetta al Festival di Salisburgo. E da quella produzione ha avuto inizio una carriera prestigiosissima, nel corso della quale si sono susseguiti personaggi molto diversi tra loro, soprattutto sotto il profilo meramente stilistico. Alcune scelte di repertorio hanno progressivamente mutato la vocalità del soprano russo che, nel corso degli anni, si è irrobustita ed ispessita, soprattutto nei centri. L’esecuzione parte con un primo atto che, specie nelle battute iniziali vede Netrebko muoversi con prudenza all’interno dello spartito, tradendo forse una certa, comprensibile, emozione. Nel duetto con Alfredo, l’artista si abbandona ad una maggiore disinvoltura esecutiva, anche se il mezzo, per sua natura parrebbe troppo opulento per rappresentare al meglio la frivolezza di Violetta in questa scena.  Giunta al temibile finale primo, Netrebko offre una interpretazione impareggiabile dell’aria “Ah forse lui”, giocata su chiaroscuri di impalpabile morbidezza e coronata da un sopracuto filato di adamantina purezza. Nella successiva cabaletta, tuttavia, il soprano si mostra piuttosto guardingo nei confronti della scrittura virtuosistica e si produce in una esecuzione dalla quale ci si aspetterebbe forse maggior mordente (viene saggiamente evitata, inoltre, la puntatura finale di tradizione). 

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Anna Netrebko

Superato lo scoglio di primo atto, il soprano offre una lettura del personaggio che non può lasciare indifferenti, tanto sotto l’aspetto vocale quanto sotto quello interpretativo. La linea vocale, pur non sempre impeccabile sotto il profilo dell’intonazione, appare fluida e morbidissima, spaziando con grande facilità tra i registri senza mai perdere in termini di omogeneità ed intensità. La scrittura verdiana viene così restituita, soprattutto durante il duetto con Germont padre, in tutto il suo lancinante struggimento attraverso una vasta gamma di colori che ben riflettono il progressivo mutamento interiore della protagonista. Si prenda, ad esempio, il contrasto tra la frase “Donna son io, signore, ed in mia casa”, scandita con baldanzosa fierezza e l’attacco di “Dite alla giovine”, sospeso a mezza voce come un velo intriso di lacrime. Anche il celeberrimo “Amami, Alfredo”,  scandito che con emissione ampia e vellutata, sembra abbracciare tutta l’Arena con la sua dirompente forza emotiva. Durante la scena di Flora, Netrebko incede tra la folla come una vera e propria zarina e nel concertato finale spicca con accenti di toccante sensibilità. Il terzo atto, poi, è forse il vertice di questa interpretazione. Si prenda il recitativo che precede “addio del passato”, pervaso da quell’amara consapevolezza di chi sa che la fine è vicina. La già citata aria, eseguita nella sua interezza (ovvero in entrambe le strofe), è tutta giocata sul contrasto tra mezzo forte e pianissimi, questi ultimi sostenuti da tale maestria da valere al soprano una grande e meritatissima ovazione da parte del pubblico. Nel duetto finale con Alfredo, infine, merita particolare attenzione quel “gran Dio morir sì giovine”, eseguito con lacerata disperazione. 

Tirando le somme, possiamo affermare che l’interpretazione di Netrebko, pur non perfetta sotto l’aspetto meramente esecutivo, rimane di altissimo livello per l’intelligenza del fraseggio, la sensibilità e il trasporto dell’accento. A ciò si aggiunga una presenza scenica che si conferma anche in questa occasione di indubbio fascino e carisma.

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Freddie De Tommaso e Luca Salsi

Accanto a lei, brilla il papà Germont di Luca Salsi. Il baritono parmigiano sfoggia, anche in questa occasione, una linea che, per colore ed impasto timbrico, si annovera oggi tra le più appropriate per dare voce ai personaggi verdiani. Si coglie una grande attenzione alle sfumature e all’utilizzo dei chiaroscuri, particolarmente significativo nel sottolineare il contrasto tra l’austerità paterna e la sensibilità di un, seppur tardivo, pentimento finale. Particolarmente apprezzabile l’uso dei colori nella esecuzione della celeberrima “Di Provenza il mar, il suol”, che gli vale un caloroso applauso a scena aperta. Da sottolineare, infine, l’elegante presenza scenica, ben inserita sul palcoscenico e perfettamente affiatata con gli altri protagonisti. 

Completa il terzetto dei protagonisti l’Alfredo Germont di Freddie De Tommaso che, ad onta di un mezzo oggettivamente importante per volume, offre una esecuzione sin troppo esuberante del personaggio che ne sortisce così poco sfaccettato. Il dettato musicale appare sempre fluido e ben rispettato, anche se la prestazione del tenore appare piuttosto muscolare; qualche sfumatura in più avrebbe giovato nel dipingere un Alfredo più aristocratico e meno “villain”. Con molta probabilità, una maggiore esperienza, potrebbe portare ad un miglioramento in tal senso.

Tra le parti di fianco ricordiamo la Flora di Sofia Koberidze, elegante e raffinata tanto vocalmente quanto scenicamente e la Annina di Yao Bohui, molto musicale e dalla notevole organizzazione vocale complessiva.

Un plauso, inoltre, al raffinato Gastone di Matteo Mezzaro, sonoro e vocalmente ben rifinito, e al Barone di Nicolò Ceriani, dallo strumento corposo ed incisivo. 

Ben tratteggiato il Grenvil di Giorgi Manoshvili, puntuale il Marchese di Jan Antem

Completano la locandina, infine, Francesco Cuccia e Stefano Rinaldi Miliani, precisi nella esecuzione dei rispettivi ruoli di Giuseppe e un domestico/un commissario. 

Dal podio, il Maestro Marco Armiliato offre una lettura piuttosto tradizionale della partitura (viene eseguita un’unica strofa dell’aria di primo atto di Violetta e delle cabalette di Alfredo e Giorgio in secondo, praticati alcuni tagli in “Parigi o cara” e la successiva “Gran Dio morir sì giovine”, così come scompaiono le battute di tutti i comprimari nel finale) ricercando un buon equilibrio tra buca e palcoscenico. Pregevole l’utilizzo dell’impasto timbrico orchestrale per ricreare un tessuto narrativo fluente e mai prevaricante rispetto alle voci presenti in palcoscenico. 

Apprezzabile, per compattezza e nitore, la prestazione dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona.

Di buon livello la prova del Coro della Fondazione Arena di Verona, mirabilmente diretto dal Maestro Roberto Gabbiani

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Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko

Infine parliamo dell’allestimento, già visto nel 2019, vero e proprio testamento artistico di Franco Zeffirelli che ne firmò regia e scene poco prima di morire. Un lungo viaggio nelle sue tante opere, nei ricordi e nella magia di quel suo particolare modo di fare teatro. Una grande casa delle bambole quella di Violetta, circondata però da palchetti di proscenio che ci ricordano che siamo pur sempre a teatro. Un allestimento grandioso e un po’ pompier, bello nella sua onesta pacchianità, areniano nel senso positivo del termine. Uno spettacolo visivamente ricco e saturo anche grazie ai bellissimi costumi di Maurizio Millenotti e alle luci sempre perfette di Paolo Mazzon. Inoltre, ad impreziosire ulteriormente lo spettacolo, uno splendido ed importante cameo: in secondo atto hanno danzato, nella scena della festa di Flora, i ballerini Nicoletta Manni e Timofeij Andrijashenko. Il loro intervento, su coreografie di Giuseppe Picone, è stato un vero momento di pura arte coreutica, una danza lieve ed avvincente che ha emozionato anche chi è solitamente lontano da questa forma d’arte. Un plauso sentitissimo a questi artisti scaligeri coppia nell’arte e nella vita. 

Successo trionfale al termine e dagli altoparlanti saluti al pubblico in tante lingue diverse, anche in dialetto veronese. Grazie Arena per questa bella estate in musica e arrivederci al 2024.

LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti.
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Violetta Valéry Anna Netrebko
Flora Bervoix Sofia Koberidze
Annina Yao Bohui
Alfredo Germont Freddie De Tommaso
Giorgio Germont Luca Salsi
Gastone di Letorières Matteo Mezzaro
Barone Douphol Nicolò Ceriani
Marchese d’Obigny Jan Antem
Dottor Grenvil Giorgi Manoshvili
Giuseppe Francesco Cuccia
Domestico/Commissionario Stefano Rinaldi Miliani
Primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko

Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Coreografia Giuseppe Picone
Luci Paolo Mazzon
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino

FOTO: ENNEVI