Spettacoli

Aida – Teatro dell’Opera, Roma

Maestosa e solenne l’Aida andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma in questo febbraio 2023. 

Come aveva già anticipato il 23 gennaio presso il Nuovo Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma, Michele Mariotti ha portato in buca e sul palco la sua idea di Aida, basata sulle atmosfere di “un dramma d’amore del tutto intimo”, concezione in pieno accordo con il punto di vista della regia di Davide Livermore. Dalle interviste presenti sul programma di sala, infatti, si evince il collegamento esistente tra le menti dei due professionisti: lo studio della partitura. Per realizzare questo allestimento, entrambi hanno studiato nuovamente le pagine scritte da Verdi traendone nuovi spunti: “Rimettersi davanti alla partitura significa scoprirci ogni volta cose diverse o che tu oggi, con la maturità, leggi in maniera diversa”, come spiega Mariotti nell’intervista e come aveva già affermato nel teatro universitario.

Queste le principali premesse per la tanto attesa Aida nella capitale, ma entriamo nel dettaglio della realizzazione. 

Sul proscenio, a fare da cornice alle vicende, due altissime colonne di roccia grigio antracite si stagliano simmetricamente a destra e a sinistra del palco. Regolari, ma spigolose e ripide, non reggono il confronto con la maestosità di ciò che si trova una volta alzato il sipario: al centro della scena un enorme parallelepipedo, un monolite, una mastaba forse, un imponente Ledwall che segue le atmosfere musicali del preludio orchestrale e che anticipa con le immagini il funesto destino dei protagonisti. Le scene progettate da Giò Forma e i video di D-Wok sono senza dubbio due delle carte vincenti di questa rappresentazione. Il parallelepipedo si trasforma ad ogni scena, diventando paesaggio, tempio, tomba, ma anche pensiero, azione, evoca suggestioni, suggerisce ciò che non è detto esplicitamente. 

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Vladimir Stoyanov

La direzione di Mariotti è coerente con quanto da lui anticipato. Il direttore ha reso avvincenti le dinamiche orchestrali e ha curato con attenzione la qualità sonora di ogni espressione. Ha portato equilibrio tra i diversi piani sonori e ha costruito con arte e intelligenza un’agogica fra suoni dolci e aspri, duri e morbidi, lavorando egregiamente, battuta per battuta, per rendere fluidi e sicuri i cambi di tempo. Mariotti ha evidenziato molti dettagli, come ad esempio passaggi acuti dei violini o cupi e intensi dei contrabbassi. La cura per i dettagli ha dato vita ad un’interpretazione intima, ma senza trascurare le pagine che spesso sfiorano il kitsch rendendole ancora più contrastanti e mostrando la loro profondità. Mariotti ha combinato i momenti grandiosi con quelli intimi in una complessa costruzione drammatica e musicale, mettendo in evidenza la profondità di questo capolavoro di Verdi

Il coro diretto da Ciro Visco si è dimostrato un elemento di spicco che ha saputo accogliere le idee di Mariotti, giocando con le sfumature di suono necessarie a diversificare col giusto carattere le scene militari, quelle dei rituali e ancora quelle del giudizio dei sacerdoti. Il coro maschile si è distinto per la potenza nel grido di guerra, mentre la sezione femminile ha offerto un’eccellente performance nella scena delle sacerdotesse. 

Sul piano musicale, l’asso vincente dell’Aida di Michele Mariotti è certamente l’impegno nelle dinamiche: dall’inizio della stagione teatrale romana, è la prima volta che si ascoltano dei pianissimo così ben sostenuti e suggestivi da parte di tutte le componenti musicali, a partire dall’orchestra, passando per il coro, fino ad arrivare ai cantanti. 

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Riccardo Zanellato

Mariotti ha cercato di mantenere una linea d’intesa con la rilettura visiva dell’allestimento di Davide Livermore il quale è stato sobrio e contenuto. Anzi, alla questione dei rumors riguardo i dibattiti blackface, ha risposto con una regia ispirata al film muto Cabiria del 1914. Tutti i presenti sul palco hanno il tipico trucco dei primissimi film in bianco e nero: pelle bianchissima, occhi e labbra scure, zigomi scavati e, per le donne, anche le acconciature dell’epoca e gli accessori per capelli con le piume. Livermore risponde, quindi, passando oltre il caso blackface, perché Aida è prima di tutto “un’opera costruita per raccontare il coraggio di un amore fra un uomo e una donna che fanno parte di etnie e di fronti militari diversi”, per dirla con le sue stesse parole. Ma Aida è anche un kolossal, perché è così che è stato pensato dal compositore stesso. E allora “l’intimismo e il Kolossal qui devono convivere, perché sono presenti nella musica di Verdi. Sono due aspetti che si compenetrano e si danno forza l’un l’altro. Per ascoltare un fortissimo hai bisogno di un pianissimo; per seguire la profonda solitudine dei tre protagonisti, Aida, Radamès e Amneris, bisogna rappresentare anche il contesto che crea la loro solitudine, la loro incomunicabilità”. 

Strepitosi i costumi di Gianluca Falaschi, si fondono perfettamente con le scene di Giò Forma, le luci di Antonio Castro e il ledwall di D-Wok. Due i colori predominanti: il grigio scuro, plumbeo, degli abiti, dello sfondo, delle dune e il prezioso oro degli accessori egizi, del tempio proiettato in digitale e della sabbia del deserto; solo un accenno di verde per la gelosia di Amneris e la disperazione di Aida, mentre il rosso compare due volte: alla fine della lunghissima scena della Sacerdotessa, quando tutti i presenti sfoderano un pugnale e sull’ultimo accordo si tagliano il palmo della mano, a mo’ di rito propiziatorio; durante il quarto atto, quando i sacerdoti condannano a morte Radamès. Sempre i costumi mettono in contrasto le due antagoniste dell’opera. Da un lato Amneris e i suoi diversi abiti dorati e lussuosi, dall’altro Aida, l’unica ad indossare lo stesso abito, bianco, dall’inizio alla fine.

La presente recensione fa riferimento alla terza replica, che vede sul palco il secondo cast in locandina per i tre personaggi principali. 

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Vittoria Yeo

Vittoria Yeo è Aida, un’Aida dinamica, nettamente in contrasto con gli altri personaggi. Perfettamente calata nella parte, la Yeo sfoggia un timbro morbido e avvolgente, ricco di armonici che riempiono la sala. La sensibilità e la padronanza tecnica traspaiono fin dal principio, ma è nel terzo e quarto atto che dà il meglio, fraseggiando accuratamente e filando gli acuti con grande piacere per l’uditorio e riscuotendone gli applausi. Un’Aida intensa di cui si possono cogliere i contrasti interiori, ma risoluta, decisa e coraggiosa. 

Il Radamès di Luciano Ganci è una certezza. Eroico, impavido, romantico, vocalmente saldo, non incrina una nota e, al pari della Yeo, oltrepassa l’orchestra senza difficoltà e si concede diversi passaggi acuti in pianissimo con grande destrezza, ricevendo spesso gli applausi del pubblico. L’acme del pathos e del fraseggio si raggiunge durante il duetto nella tomba, momento musicale nel quale i due interpreti si fondono con i personaggi. 

Incerta e poco percettibile l’Amneris di Irene Savignano. La rivale di Aida è una donna forte, passionale, di grande personalità, ma nulla di tutto questo riesce alla Savignano che appare, invece, preoccupata e cerca sicurezza nella conduzione di Mariotti. Durante i pezzi d’insieme scompare totalmente sopraffatta dalle voci dei due protagonisti e non riesce a rendere giustizia al personaggio neanche nelle scene da sola. È vero che si era mossa bene come comprimario nei Dialogues des Carmélites ad apertura di stagione, ma affidarle un personaggio come Amneris è stato un evidente azzardo visto il risultato. 

Bene la prova degli altri componenti del cast, con particolare menzione per il Ramfis di Riccardo Zanellato e l’Amonasro di Vladimir Stoyanov.

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Luciano Ganci

Il pubblico, che ha riempito il teatro, è diviso al momento degli applausi. Come accade spesso, dopo il secondo atto il coro e i danzatori salutano gli spettatori poiché si concludono le scene da Grand Opéra e, proprio in questo momento, parte della sala ha buato il palco, disprezzando quanto presentato poco prima. C’è da dire che questo atteggiamento è il risultato delle solite e inutili polemiche che ruotano intorno a determinati registi e che si scatenano a prescindere dal risultato effettivo, soprattutto se, come nel caso di Livermore, è addirittura il regista a decidere movimenti scenici e coreografie. Tra il pubblico alcuni hanno lamentato il fatto che questa rappresentazione fosse troppo poco minimal, ma quanto può essere minimalista l’Aida di Giuseppe Verdi? Eppure lo è stata, al meglio delle possibilità, a dispetto di molte precedenti rappresentazioni e, ancora di più, nel pieno rispetto della drammaturgia. Unico neo della regia, forse, la mancanza del “serto trionfale” che Amneris consegna a Radamès: non pervenuto, al suo posto un gesto della donna ripreso anche dalla folla. 

Poco sentiti anche gli applausi finali che si accendono solo all’ingresso di Vittoria Yeo e Luciano Ganci.

AIDA
Musica di Giuseppe Verdi
Opera in quattro atti
libretto di Antonio Ghislanzoni

DIRETTORE Michele Mariotti
REGIA E MOVIMENTI COREOGRAFICI Davide Livermore
MAESTRO DEL CORO Ciro Visco
SCENE Giò Forma
COSTUMI Gianluca Falaschi
LUCI Antonio Castro
VIDEO D-WOK

AIDA Vittoria Yeo 
AMNERIS Irene Savignano
RADAMÈS Luciano Ganci
AMONASRO Vladimir Stoyanov
RAMFIS Riccardo Zanellato
IL RE Giorgi Manoshvili
LA SACERDOTESSA Veronica Marini
IL MESSAGGERO Carlo Bosi

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Fotografie Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma