Rubriche 2021

Il contributo di “Gemma di Vergy” alla causa risorgimentale

Tra i contributi dell’opera lirica alla causa risorgimentale ci si sofferma spesso e più a lungo sulla musica di Giuseppe Verdi; eppure, ci sono degli episodi che non hanno nulla da invidiare all’entusiasmo suscitato dal cigno di Busseto negli anni infuocati che hanno preceduto l’unità d’Italia. Uno degli aneddoti in questione riguarda Gaetano Donizetti e la sua “Gemma di Vergy”, tragedia lirica in due atti che risale al 1834. L’anno della prèmiere è piuttosto lontano da quelli delle insurrezioni e barricate, eppure la fortuna di queste note è proseguita nel tempo. Cerchiamo anzitutto di capire di cosa si tratta dal punto di vista musicale, prima di approfondire i risvolti storici e politici.

“Gemma di Vergy” venne rappresentata per la prima in assoluto alla Scala di Milano il 24 dicembre del 1834: il libretto era di Giovanni Emanuele Bidera (sarà suo anche quello del successivo “Marin Faliero”), mentre la direzione fu gestita da Eugenio Cavallini. In quel 1834 si registrò il tentativo di invasione della Savoia da parte degli appartenenti alla Giovine Italiana (tra cui anche Giuseppe Garibaldi), un fallimento che costrinse Giuseppe Mazzini a rifugiarsi in Svizzera. Gli animi del pubblico milanese, però, non furono accesi da questa storia ambientata in Francia e per di più all’epoca della guerra dei cent’anni.

Molto sinteticamente, la Gemma del titolo altri non è che la sposa del Conte di Vergy, il quale sta tornando dalla guerra. L’uomo ha però ripudiato la moglie a causa della sua impossibilità di avere figli, una verità che conoscono soltanto i cavalieri Guido e Rolando. Il Conte decide allora di sposarsi con la giovane Ida, su cui si concentrano le ire della stessa Gemma, ormai disperata. L’arabo Tamas, innamorato di lei, viene incaricato di vendicarla, ma decide di uccidere il Conte: Tamas si suicida e Gemma conclude l’opera proclamandosi innocente, incolpando il destino di quanto è avvenuto. In poche parole, un centone in piena regola.

La tragedia di Donizetti ottenne un buon successo, ma in seguito non ebbe le stesse accoglienze, almeno fino al fatidico 1847. È l’anno prima di quello in cui il compositore bergamasco muore, ma precede di pochissimo anche il celebre 1848,  quando si verificano le più convinte insurrezioni in Italia. Una di queste è quella che coinvolse la Sicilia ed è proprio in un teatro isolano (il Carolino di Palermo, divenuto poi Teatro Bellini) che “Gemma di Vergy” scatenò i sentimenti patriottici del pubblico. Le recite e, in particolare, le parole del tenore Mi toglieste core e mente/Patria, numi e libertà non lasciarono indifferenti i palermitani, con acclamazioni vivissime e animi esaltati.

I racconti e le testimonianze ci hanno tramandato scene di vero e proprio delirio, al punto che non fu possibile riprendere l’opera fino a quando il soprano Teresa Parodi tornò in scena avvolta da un tricolore. Il pubblico cominciò ad acclamare papa Pio IX, colui che venne considerato per pochi mesi un liberale, mentre il presidente della corte suprema, presente in platea, fu sommerso da un numero imprecisato di cuscini. È il novembre del 1847 e il 12 gennaio del 1848 (neanche due mesi dopo) Palermo insorgerà contro i Borbone, aprendo la strada ai moti del ’48 in tutta Europa.

Donizetti non ebbe la stessa fortuna di Verdi di assistere a questa euforia suscitata dalla propria musica. L’8 aprile di quel 1848 morì pazzo e tra mille tormenti e non ci fu verso di far suonare a Giovannina, figlia della baronessa Rota Basoni che assisteva il maestro, alcuni pezzi delle sue opere al pianoforte. La storia delle performance di “Gemma di Vergy” è piuttosto curiosa. La popolarità rimase ai livelli di quella delle serate palermitane almeno fino agli anni Sessanta dell’800. Fu conosciuta anche all’estero, con rappresentazioni a Londra (1842), Parigi e New York (1843), oltre a Lisbona, San Pietroburgo, Vienna e Barcellona.

La scomparsa dal repertorio lirico fu però altrettanto rapida, insieme alle sue arie più risorgimentali: all’inizio del’900 era praticamente dimenticata (a parte una rappresentazione ad Empoli nel 1901). Per la sua “seconda vita” bisognerà attendere addirittura il 1975, quando il Teatro San Carlo di Napoli decise di allestire una produzione di grande stile, con il soprano Montserrat Caballè nel ruolo di Gemma. I riferimenti alla patria e alla libertà sono un ricordo sbiadito del nostro Risorgimento, ma pur sempre la testimonianza di cosa fosse capace l’opera lirica negli anni più tormentati del XIX secolo.