Rubriche 2021

Aida al profumo di pere cotte: la strana ispirazione di Verdi

Ogni opera di Giuseppe Verdi aveva e ha ancora una sfumatura drammatica ben precisa, quella che lo stesso compositore chiamava “tinta musicale”. Anche quella dell'”Aida” è ben riconoscibile, ma come riuscì il musicista bussetano a ottenere un effetto così esotico e intrigante? L’ispirazione musicale può essere spesso bizzarra e ne è un chiaro esempio proprio questa storia ambientata nell’antico Egitto. Vale la pena approfondire un aneddoto relativo al periodo in cui l'”Aida” era ancora in fase di composizione, un racconto che rende ancora più interessante l’ascolto e che contribuisce alla “popolarizzazione” di uno dei titoli verdiani più noti e apprezzati.

La storia è stata riferita da un amico del professor Stefano Sivelli, il quale faceva parte dell’orchestra nelle prime rappresentazioni dell’opera al Cairo e a Parma (nel 1872). Nell’autunno del 1869 (dunque due anni prima del debutto dell'”Aida” in Egitto) Sivelli si trovava proprio a Parma, più precisamente nel negozio di Casali, specializzato nella vendita di oggetti in ceramica e terracotta. L’orchestrale stava parlando con il proprietario, noto come Chitarren, prima di essere interrotto dall’ingresso di un uomo dai capelli brizzolati insieme a una donna dall’aria stanca e sofferente. Non c’erano dubbi, si trattava di Giuseppe Verdi e di sua moglie Giuseppina Strepponi.

Secondo l’aneddoto, inoltre, il compositore era interessato all’acquisto di alcune scodelle, mostrate con grande solerzia dal proprietario, il quale però non lo aveva riconosciuto. Improvvisamente dall’esterno tutti udirono una voce inconfondibile, quella di Paita, il venditore di pere cotte: “Boiènt i pèr còtt, boiènt” (pere cotte bollenti). La cantilena, monotona e sempre più insistente, attirò l’attenzione di Verdi che lasciò perdere il negoziante, la moglie e le scodelle. Sivelli avrebbe parlato di una luce particolare nei suoi occhi, fatto sta che il Cigno di Busseto prese il suo piccolo taccuino, si avvicinò alla porta e annotò poche righe.

Subito dopo tornò dalla moglie per accettare i suoi consigli e completare senza ulteriori indugi l’acquisto. Una scena del genere poteva essere dimenticata in fretta, ma non fu il caso dell’orchestrale. Due anni dopo Sivelli studiò per la prima volta lo spartito dell'”Aida” e all’inizio del terzo alto fu immediatamente colpito da un tema familiare. In questa parte dell’opera si può udire un coro di sacerdoti e sacerdotesse nei pressi del Nilo (“O tu che sei d’Osiride“) e le note melanconiche e mistiche riportarono alla mente di Sivelli l’episodio del negozio e delle pere cotte: Verdi si era lasciato ispirare dalla voce tenorile di Paita per scrivere questa pagina del suo lavoro.

Come spiegò lo stesso orchestrale:

Da quel momento Paita non era più la persona da cui, da ragazzo, compravo la frutta: era diventato niente meno che uno sconosciuto collaboratore di Verdi.

L’inizio di questo terzo atto è a dir poco affascinante: Verdi ottenne un effetto di quiete, come quella di una notte tropicale. Oltre ai violini c’è un arabesco del flauto: viene impiegata una oscillazione tra Si e Si bemolle, con il coro maschile che canta in Mi minore e la sacerdotessa che risponde in Sol minore. Può sembrare strano che una tinta musicale così pregevole sia derivata dalla voce di un venditore di frutta, ma è bello immaginare Verdi alle prese con situazioni comuni per creare le sue opere.

Dopo la prima e trionfale rappresentazione al Cairo, il critico Filippo Filippi pubblicò un resoconto piuttosto puntuale:

Il Verdi segue sempre quella via di progresso artistico già iniziata nel “Don Carlos” e sempre senza rinunziare al passato: il vecchio e il nuovo Verdi si fondono in modo mirabile; lo svincolo dalle convenzioni, dalle formule, è assoluto; le concessioni fatte alle esigenze dell’arte nuova sono palesi, ma nello stesso tempo c’è il maestro italiano che affascina con la spontaneità della melodia, colla larghezza della frase, con l’efficacia calorosa del dramma.

Filippi era stato dunque pienamente conquistato da questa tappa dell’evoluzione artistica verdiana, la terz’ultima della sua lunga carriera. Si può forse dire che l’aneddoto è fin troppo romanzato e ricostruito ad hoc, per non parlare del fatto che solitamente non ci si ricorda di un fugace episodio a distanza di così tanto tempo. Le critiche ci possono stare, ma Verdi è stato sempre un acuto osservatore del quotidiano con cui aveva a che fare: la Pianura Padana è la terra che ha ispirato le sue melodie e il povero Paita merita un piccolo posto tra le fonti di ispirazione del capolavoro, grazie a una voce ben impostata e alla vendita delle pere cotte, anzi bollenti.