Madama Butterfly – Festival Puccini, Torre del Lago
Un allestimento di impostazione tradizionale che aspira ad essere classico nella purezza delle linee e nell’essenzialità degli elementi e che ci offre alcune soluzioni poetiche ed originali. Questo si potrebbe dire della Madama Butterfly andata in scena come terzo titolo del Festival Puccini, con la direzione di Francesco Cilluffo e la regia di Pier Luigi Pizzi. Del repertorio pucciniano questa è senza dubbio l’opera che meglio si presta ad essere rappresentata nel Gran Teatro all’aperto, trovando sulle rive del lago una sorta di cornice naturale elettiva. Pizzi sfrutta efficacemente questa peculiarità e colloca al centro dell’ampia scena dai contorni scuri la casetta bianca in stile giapponese, circondandola di passerelle come piccoli pontili che si pongono in continuità con le acque circostanti.
L’ambientazione è dunque marina, come anche ci ricordano i due marinai al seguito di Pinkerton e i personaggi entrano ed escono passando da queste pedane sospese, per lo più gli uni separati dagli altri, trasmettendoci così un senso di distanza e di incomunicabilità. La casa dei 999 anni è abbagliante, splendente nel suo candore, e si impone per la sua fissità, immobile, quasi marmorea; pare solidissima ma è forse proprio la sua rigidità a determinarne la fragilità – implicita analogia alla condizione di Cio Cio San. Anche le luci di Massimo Pizzi Gasparon sono piuttosto fisse, per lo più zenitali, con qualche effetto di notturno e con minime variazioni, dove invece un gioco più mutevole avrebbe potuto contribuire a dare maggiore visibilità alle sfumature emotive e ad acuire la tragicità del secondo e del terzo atto. L’entrata di Butterfly è informale e meno solenne di quelle a cui siamo abituati: arriva per prima e da sola, fresca e delicata, ma spogliata di magia e di mistero, un po’ come tutta la scena della cerimonia che segue. I costumi sono leggeri ed eleganti, svolazzanti come farfalle, con tagli ricercati e dove ancora domina il bianco o le tinte comunque sono prevalentemente chiare e pastello. Di grande effetto al secondo atto l’abito della protagonista, vestita da americana con gonna plissettata e cardigan nero: la figura al suo apparire ci dà subito la misura del suo essere sospesa tra due mondi ed estranea ad entrambi, della scissione interiore e della serietà dell’impegno. Ben strutturata la scena del coro della veglia con la processione delle donne velate ed il violino sul palco che dà l’intonazione. Suggestivo l’inserimento del balletto sulla parte strumentale, con un’incantevole coreografia che in sintesi mima la passione e il destino di Pinkerton e Butterfly. Se la drammaticità del finale risulta non troppo graffiante, di fortissimo impatto è invece il gesto di Suzuki, che, con uno slancio estremo di amore e pietà, taglia la gola alla sua padrona agonizzante.
La direzione di Cilluffo è attenta ed elegante, con sonorità morbide, delicati cromatismi e dinamiche appropriate. L’intero primo atto viene tracciato come un raffinato acquarello, con una scena del matrimonio di ampio respiro e un duetto d’amore di soave lirismo. Per tutta l’opera la misura ed il garbo non vengono mai meno, con un ritmo narrativo particolarmente adeguato nel secondo atto. Mentre il dramma si intensifica, manca tuttavia un po’ di grinta, tant’è che anche gli effetti delle percussioni risultano poco incisivi. Costruito poi con rigore e pienezza melodica il terzo atto, in una forma screziata e levigata, ma con battute debolmente marcate e parsimonia di accento. Le scene conclusive, quindi, certamente ci emozionano senza prenderci però nel profondo delle viscere.
Sicuro e costante è il sostegno ai cantanti, grande la sintonia con l’Orchestra e con il Coro del Festival Puccini. Quest’ultimo, diretto da Roberto Ardigò, è accurato e delicatissimo al primo atto, con ricchezza di colori e varietà di modulazioni; compatto, intonato e suggestivo nell’intervento a bocca chiusa, realizzato come tempo dell’attesa ma anche come preludio della morte.
Carolina Lopez Moreno è una Butterfly giovanile ed aggraziata, con un che di moderno e che sa di primavera. La voce è moderatamente consistente ma di ottima estensione, tant’è che si cimenta con generosità nelle salite verso l’alto ed esegue tutti gli acuti, anche quelli non scritti. E’ agilossima e morbida nella linea di canto, con un legato ammirevole e una salda tenuta delle note. Trabocca di freschezza al primo atto, delineando con eleganza la geisha adolescente tra ingenuità e determinazione; la ritroviamo poi nell’ambivalenza di donna che è fedele a se stessa ma che nega il reale, dolente ma contenuta, misurata e speranzosa. Riesce più drammatica nel quadro conclusivo, senza assurgere tuttavia ad una dimensione tragica terribile e straziante.
Luciano Ganci interpreta Pinkerton con una vocalità chiara e voluminosa, piena di energia e di esuberanza. Il fraseggio è ampio e ordinato, pur con alcune disomogeneità e qualche acuto non troppo ben proiettato. Rende “Dovunque al mondo” in una forma assai luminosa ed esprime con trasporto l’innamorato incantato dalle grazie di Butterfly. Risulta invece meno convincente nel delineare il rimorso ed il tormento del personaggio al terzo atto, forse anche per il timbro e lo stile sempre solare ed elegante.
Ben calato nella parte Bruno Taddia come Sharpless, talora veemente nel richiamo al dovere e al senso di realtà. Il fraseggio è articolato ma con poco fiato e con certuni passaggi troppo tendenti al parlato.
Scura ed incisiva la Suzuki di Alessandra Volpe, assai fluida e rotonda nei primi due atti. Meno ordinata e con più diseguaglianze al terzo, ma con una potente carica drammatica.
Con un canto scandito ed intonato, Enrico Casari nel ruolo di Goro definisce le melodie con ampiezza e precisione, anche se con un moderato corpo vocale. Con efficacia raffigura l’opportunista senza scrupoli e beffardo ,ma che alla fine è comunque capace di provare pietà per la sorte di Cio Cio San.
Compatto e robusto è Italo Proferisce, che caratterizza Yamadori come principe arrogante e grossolano. Solenne e impostato, con un canto sbalzato e definito, il Commissario Imperiale di Francesco Auriemma (presente anche nel cast di Bohème e Turandot); incisivo ed irruento lo Zio Bonzo di Seung Pil Choi.
Accorata ed omogenea la Kate Pinkerton di Loriana Castellano, melodico ed efficace l’Ufficiale del Registro di Alessandro Ceccarini. Adeguati anche gli interventi della Madre di Taisiia Gureva, della Zia di Yo Otahara, della Cugina di Romina Cicoli e dello Yakuside di Marco Montagna (anche lui sia in Bohème che Turandot).
Molto apprezzati dal pubblico sia Lopez Moreno che Ganci, anche con applausi a scena aperta; fragorosi tributi per il Coro, per Pizzi e Cilluffo. E tra tutti gli artisti, guardando dalla platea, grande entusiasmo e coesione.
MADAMA BUTTERFLY
Musica di Giacomo Puccini
Tragedia giapponese in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Francesco Cilluffo
Disegno luci Massimo Pizzi Gasparon
Cio Cio San Carolina Lopez Moreno
Suzuki Alessandra Volpe
F.B. Pinkerton Luciano Ganci
Sharpless Bruno Taddia
Goro Enrico Casari
Il Principe Yamadori Italo Proferisce
Lo Zio Bonzo Seung Pil Choi
Il Commissario Imperiale Francesco Auriemma
L’ufficiale del Registro Alessandro Ceccarini
Kate Pinkerton Loriana Castellano
La Madre Taisiia Gureva
La Zia Yo Otahara
Yakuside Marco Montagna
La Cugina Romina Cicoli
Orchestra e Coro del Festival Puccini
Maestro del Coro Roberto Ardigò
Assistente alla regia Massimo Pizzi Gasparon
Assistente costumista Lorena Marin
Sound designer Luca Bimbi
Foto: Fondazione Festival Pucciniano