Concerti

La Grande Opera Italiana – Arena, Verona

L’Arena di Verona apre la sua stagione lirica con una grande festa in mondovisione.

“Il passeggio, gli spettacoli, e le Chiese sono le principali occasioni di società che hanno gl’italiani, e in essi consiste, si può dir, tutta la loro società”. Così diceva, forse con una vena di sarcasmo Giacomo Leopardi, ma all’Arena di Verona, quest’anno, l’apertura è stata celebrata con un grande spettacolo che ha dimostrato quanto bella sia la musica Italiana ma anche quanto talento e capacità ci sia nelle tante maestranze che stanno dietro al mondo dell’opera, una società che vive di e per la cultura e che l’Arena ha celebrato nel migliore dei modi.

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Nicola Alaimo

Lo spettacolo, dal titolo La grande opera italiana patrimonio dell’umanità, è stato voluto dal Ministero della Cultura, in collaborazione con la Fondazione Arena di Verona, per celebrare l’importante riconoscimento Unesco al canto lirico italiano come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Alla presenza delle più alte cariche dello Stato, fra cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, ha preso il via una notte ricca della più bella musica e di tanta emozione: quella ad esempio dei 160 professori d’Orchestra e 300 artisti del Coro dalle Fondazioni lirico-sinfoniche italiane, riuniti sotto la celeberrima e notoria bacchetta del Maestro Riccardo Muti e poi del Maestro Francesco Ivan Ciampa. Una vetrina, senza dubbio, ma anche un modo per condividere con gran parte del pianeta, grazie alla mondovisione Rai, la nostra cultura, la nostra musica e la nostra bellezza, anche storico artistica. Non dimentichiamo che il luogo prescelto per la diretta è uno degli anfiteatri meglio conservati in Italia. Alcuni contributi video hanno poi mostrato al mondo altri scorci veronesi quali il trecentesco ponte di Castelvecchio e la bella casa medievale detta di Giulietta. Il programma scelto ha toccato le pagine più famose dell’opera prediligendo un taglio popolare e accessibile ad un pubblico quanto più vasto possibile. Utili in tal senso le puntuali spiegazioni e gli approfondimenti di tre noti personaggi del mondo della televisione: Cristiana Capotondi, Luca Zingaretti e Alberto Angela. Data l’imponenza delle masse corali ed orchestrali impiegate, la scena, a cura di Filippo Tonon, è stata ridotta all’essenziale: sono stati impiegati alcuni elementi forse derivati dagli allestimenti areniani, quali grandi vasi di fiori e alcune imponenti statue-lampada di foggia liberty.
Particolarmente riuscito il comparto luci che giocando con i gradoni del teatro creava soluzioni sempre nuove e sorprendenti. Alcune arie erano inoltre accompagnate da vere e proprio piccole coreografie a cura di Massimiliano Volpini, segnaliamo in particolar modo quelle riuscitissime di Carmen e del Barbiere di Siviglia.

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Brian Jagde

Protagonista indiscussa della serata è la musica e, in particolare, quella nata dal genio dei principali compositori che hanno avuto i natali proprio nel nostro bel paese. Ma cosa sarebbe la musica senza qualcuno che la possa far rivivere attraverso la propria, unica, interpretazione? L’altra sera in Arena c’erano tanti interpreti che, attraverso la propria arte, hanno saputo far rivivere le emozioni di immortali melodie.
Il programma si apre con un vero e proprio concerto sinfonico-corale affidato alla leggendaria bacchetta di Riccardo Muti. Il Maestro riesce nell’impresa, tutt’altro che semplice, di condurre l’imponente compagine orchestrale ricercando ed ottenendo un suono pulito e vibrante, un autentico magma sonoro in grado di avvolgere il monumentale anfiteatro. Sin dalla sinfonia del rossiniano Guglielmo Tell, percepiamo la grandezza di un maestro che, oltre a garantire il rispetto assoluto per la scrittura musicale, riesce a sottolineare e a fare proprie le intenzioni dell’autore dando vita ad una lettura personale, ma parimenti efficace, del componimento. Se la ouverture del cigno pesarese è attraversata dai bagliori dei tumulti rivoluzionari, nella successiva sinfonia della Norma di Bellini rivivono chiari ed intelligibili i turgori di una classicità densa di spirito romantico. Immancabili le pagine verdiane e, in particolare, la ouverture di Nabucco, scolpita con piglio risorgimentale. Nel programma altri due brani del cigno bussetano, impreziositi dalla presenza della masse corali, guidate mirabilmente dal Maestro Roberto Gabbiani. Se la preghiera degli schiavi ebrei sulle rive del Giordano (Nabucco) sembra levarsi come uno struggente anelito di speranza, il canto degli scozzesi (Macbeth) fende l’aere come un grido disperato intriso di intimo dolore (quanta magia hanno quei pianissimo!). Si prosegue con l’intermezzo di Manon Lescaut (doveroso omaggio a Puccini nel centenario dalla morte), scandito da un sinfonismo che trabocca di lacerata malinconia. E poi la pagina conclusiva, Preludio e coro dal Mefistofele di Boito, forse la più alta del programma mutiano e, più in generale, dell’intera serata. Una esecuzione magnifica e magnetica, scandita con sonorità vivide e solenni nelle quali Muti ha impresso una forza espressiva straordinaria e destinata a rimanere a lungo nei ricordi degli spettatori presenti. Prima di abbandonare il palco, Muti non rinuncia alla tentazione di pronunciare un discorso che, come da par suo, riesce ad esprimere, pur con toni velatamente ironici, concetti profondi ed autentici.

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Juan Diego Flórez

Terminata questa prima parte, salutata dal pubblico con una standing ovation, il programma prosegue con l’esecuzione di alcune tra le arie più celebri di tutti i tempi e, nonostante la sfilata sul palco di alcuni dei più grandi cantanti del momento, spiace constatare più di un problema in termini di amplificazione. Abbiamo già ricordato come, di fatto, questa serata fosse pensata per uno spettacolo in mondovisione, ma dal vivo abbiamo percepito alcune fastidiose distorsioni acustiche che hanno inevitabilmente compromesso la qualità dell’esibizione di alcuni artisti. A onore del vero, bisogna sottolineare come le cose siano poi migliorate dopo l’intervallo, probabilmente a seguito di un risolutivo intervento tecnico.

Sul podio, per questa seconda parte, troviamo Francesco Ivan Ciampa, cui va il merito di garantire il necessario equilibrio tra masse orchestrali, corali e solisti, muovendosi agevolmente tra stili e scritture molto eterogenee tra loro.
Il primo artista ad esibirsi è Jonas Kaufmann che ha affrontato, con la consueta perizia tecnica, il celebre “addio alla vita” di Mario Cavaradossi da Tosca. Subito dopo è il turno di Jessica Pratt che, posta in posizione sopraelevata e nel punto più arretrato (rispetto al palco) dell’anfiteatro, è chiamata alla esecuzione di una delle pagine più suggestive di tutti i tempi, ovvero la preghiera alla luna di Norma. Rosa Feola offre il secondo omaggio pucciniano della serata con l’aria della morte di Liù, “Tu che di gel sei cinta” da Turandot, impreziosita da filati di madreperlacea purezza. Nicola Alaimo porta sulla scena la cavatina di Figaro, unica altra pagina rossiniana del programma, e lo fa da autentico mattatore, dando prova di cosa significhi mettere il canto al servizio della espressività scenica. Si torna poi a Puccini con Juan Diego Flórez, chiamato ad interpretare la “gelida manina” da La Bohème. Il tenore ha cesellato la melodia con eleganza e una tavolozza di colori che ben sottolineano il palpito romantico del giovane poeta protagonista del dramma. Poco più tardi, Flórez torna sul palco, ma questa volta, per vestire i panni del Duca di Mantova, attraverso l’esecuzione della celebre ballata “La donna è mobile”, puntellata da sfacciata arroganza e da un canto di invidiabile sicurezza. Prima dell’intervallo, una pagina da Tosca, il Te Deum, sbalzato con sinistra concupiscenza da un lussureggiante Luca Salsi (protagonista, tra l’altro, della invettiva di Rigoletto, registrata in precedenza presso il ponte di Castelvecchio).

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Roberto Bolle

Il programma riprende con un doveroso omaggio alla regina delle opere areniane, Aida. Si esegue un estratto dalla “marcia trionfale” che, come per un altro brano verdiano della serata, il “Dies irae” dal Requiem, risulta accompagnato da alcuni movimenti coreografati.
L’elegantissima Juliana Grigoryan regala una esibizione fresca e civettuola del valzer di Musetta da La Bohème e, subito dopo, la vocalità possente e ben proiettata di Brian Jagde dà voce ai tormenti di Canio nella celeberrima “Vesti la giubba” da Pagliacci di Leoncavallo. A seguire ancora due brani del “Sior Giacomo”. Il primo è la preghiera di Lauretta da Gianni Schicchi, ricamata con innocente dolcezza da Mariangela Sicilia (che abbiamo già intravisto, durante l’intervallo, nelle vesti della belliniana Giulietta in una esibizione registrata direttamente nella casa veronese dei Capuleti). Il secondo, una pagina tratta nuovamente da La Bohème, vede impegnato Gianluca Buratto che con uno strumento vellutato sigla l’ultimo addio alla cara vecchia zimarra di Colline. Da Puccini a Verdi il passo è breve ed ecco, allora, che gli animi del pubblico si surriscaldano con il vibrante do di petto con cui Galeano Salas conclude la “pira” da Il trovatore. Nel programma torna anche il belcanto con l’unica pagina di Gaetano Donizetti, quella “furtiva lagrima” cesellata da Francesco Meli con mezze voci di indubbia suggestione. Non manca un doveroso omaggio alla giovane scuola, con Andrea Chénier di Umberto Giordano. Scende dunque in campo la classe di un artista di rango come Ludovic Tézier, ottimo fraseggiatore. Nel programma spicca anche un omaggio, unico, alla musica d’oltralpe e, nello specifico a Carmen di Bizet, interpretata dal seducente timbro screziato di Aigul Akhmetshina, impegnata nelle frenetiche danze che aprono il secondo atto dell’opera.
E a proposito di ballo, due pagine del programma, “coro a bocca chiusa” da Madama Butterfly e “intermezzo” da Cavalleria rusticana, sono accompagnate dalle danze di una coppia di ballerini d’eccezione: la magnifica Nicoletta Manni, di diafana bellezza, e lo statuario Roberto Bolle, di grande intensità espressiva.
La conclusione del programma ci riporta nuovamente a Puccini con due delle sue opere più amate. Eleonora Buratto, nei panni di Cio-Cio-San, è protagonista di una magnifica esecuzione di “Un bel dì vedremo”, pennellata con accorata trepidazione. E, a seguire, un grande “classico”, il “nessun dorma” da Turandot, enfatizzata con grande trasporto dalla generosa vocalità di Vittorio Grigolo.
E quale miglior finale per una serata di festeggiamenti, se non il più famoso dei brindisi operistici? Vittorio Grigolo e Rosa Feola intonano, con gioiosa leggerezza, l’amatissimo “libiamo tra lieti calici” dalla verdiana Traviata, che viene accolto dal pubblico con un boato di entusiastica approvazione.
Un piccolo giallo ha interessato questo evento: l’assenza, non annunciata, di una grande Diva, Anna Netrebko.
Come anticipato in conclusione dai presentatori, questa serata è destinata a ripetersi come appuntamento fisso annuale e la location prescelta tra dodici mesi sarà quella delle Terme di Caracalla di Roma e avrà per tema conduttore il “Sacro nell’opera”, omaggio al Giubileo previsto per il prossimo anno.

E ora, tutti pronti per gustare la 100+1 edizione del festival areniano che, come ogni anno, si preannuncia ricco di interessanti proposte.

GRANDE OPERA LIRICA PATRIMONIO DELL’UMANITA’
Orchestra e coro di varie fondazioni lirico sinfoniche italiane
Riccardo Muti, direttore
Francesco Ivan Ciampa, direttore

FOTO: Ennevi