Spettacoli

Andrea Chénier – Grand Théâtre, Monte-Carlo

La stagione 2023 dell’Opéra di Monte-Carlo prosegue con Andrea Chénier di Umberto Giordano.

“L’arte è una debole interprete dei trasporti dell’anima; l’arte fa soltanto dei versi; solo il cuore è poeta.” Così scriveva Andrea Chénier, il poeta vissuto fra il 1762 e il 1794, a cui sono ispirati molti drammi e romanzi, come quello di François-Joseph Méry, pubblicato a puntate sul giornale Pays, nel 1849, e successivamente in volume. Forse proprio da questa popolare fonte letteraria prendono ispirazione Umberto Giordano e Luigi Illica per scrivere il loro Andrea Chénier, andato in scena per la prima volta alla Scala nel 1869.

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Maria Agresta

Questo spettacolo, coprodotto con il Teatro Comunale  di Bologna, dove è andato in scena nell’ottobre 2022, ha dimostrato come il cast creativo (regia Pier Francesco Maestrini, scene e video Nicólas Boni e luci Daniele Naldi) abbia un cuore effettivamente capace di fare poesia scenica, per rubare le parole del poeta francese. L’idea è semplice: se l’opera è divisa in quattro quadri, si materializzano sul palco altrettante splendide tele solo apparentemente dipinte: l’immagine fissa iniziale prende vita con efficaci animazioni. Si parte con un paesaggio alla Claude Lorrain, circondato da una grande cornice dorata ormai rotta, quadro appunto di una società che si va sgretolando dai suoi margini contenitivi, perfetta metafora del mondo aristocratico che va finendo alla soglia della rivoluzione francese. Si susseguono poi una serie di scene incentrate su un saccheggio cittadino, su un tribunale, a cui fa da sfondo il celeberrimo “Giuramento della Pallacorda” di Louis-Charles-Auguste Couder, ed infine una prigione, dominata dalla lugubre immagine di una ghigliottina. La particolarità di queste proiezioni animate è che riescono a fondersi molto bene con gli oggetti sulla scena e con gli interpreti, risultando uno sfondo sempre adeguato e mai prevaricante. La regia è sempre attenta ai movimenti dei protagonisti che indossano splendidi costumi di foggia settecentesca, creati da Stefania Scaraggi. Gradevoli le coreografie di Silvia Giordano, soprattutto quelle pastorali nel primo quadro, ben eseguite dai ballerini della Académie Princesse Grace-Ballets de Monte-Carlo. Uno spettacolo riuscitissimo, giustamente aderente al libretto poiché è oggettivamente impossibile allontanarsi dal potente immaginario collettivo legato alla rivoluzione francese con la sua forza iconografica. La principale differenza visiva rispetto al palco bolognese, più ampio, è che qui tutto pare più sovraffollato, soprattutto nel secondo quadro, ma questo dettaglio non rovina uno spettacolo decisamente efficace.

Di notevole interesse anche il versante musicale dello spettacolo.

Dal podio, il Maestro Marco Armiliato mette ben in evidenza la tensione e la concitazione narrativa di questo grande affresco storico. Ottimamente sostenute sono le numerose scene corali, sbalzate nella loro eterogeneità timbrica e melodica, così come meravigliosamente accompagnati sono gli assoli dei protagonisti, squarci di dolente quanto appassionata umanità. Armiliato ci offre così un racconto ben articolato e capace di avvolgere, come magma sonoro, il palcoscenico senza travolgere le vocalità dei personaggi, che vengono, al contrario, ben differenziati nelle caratteristiche peculiarità timbriche di ciascuno degli interpreti.

Al gesto di Armiliato risponde ottimamente la compagine dell’Orchestra Philarmonique de Monte-Carlo, irreprensibile per compattezza e lucentezza sonore.

Tanta era l’attesa per il debutto sulle scene monegasche del “tenorissimo” Jonas Kaufmann, costretto poi a rinunciare alla produzione per riprendersi da una indisposizione, come da lui stesso dichiarato attraverso una sua lettera di scuse allegata al programma di sala.

Trovare dunque, nel giro di pochi giorni, un degno sostituto che potesse affrontare con spirito impavido uno dei ruoli tenorili più temibili di questo repertorio e, per di più, in una produzione sold out da tempo, non deve essere stata cosa facile.

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Claudio Sgura

Si pensa così a Martin Muehle, noto al pubblico italiano per aver impersonato il poeta rivoluzionario in una tournée tra i teatri emiliani nel 2019. Il mezzo è dotato di buon volume e caratterizzato da un gradevole timbro ambrato. Sicuro il registro acuto, di buona proiezione, corposo e ben tornito quello centrale. L’improvviso di primo atto viene affrontato con il giusto slancio, così come adeguatamente appassionato è il duetto con Maddalena in secondo atto, ben riuscita, poi, la accorata perorazione nell’atto del tribunale. È nell’ultimo atto, infine, che Muehle, trova il punto più alto della sua prova, dapprima con l’esecuzione travolgente di “come un bel dì di maggio” e nel successivo duetto con Maddalena dove le diverse salite al registro superiore, espugnate con sicurezza, vengono restituite in tutta la loro carica emotiva. Una prova ragguardevole, quindi, quella del tenore tedesco-brasiliano, che dimostra ottima padronanza del ruolo sia sotto il profilo vocale sia sotto quello interpretativo.

Al suo fianco, Maria Agresta infonde nel personaggio di Maddalena di Coigny l’eleganza e la raffinatezza di una vocalità dal timbro di puro smalto e dal colore solare. La linea, dalla spiccata musicalità, si mantiene sempre morbida ed affronta, senza forzatura alcuna, la scrittura dell’autore con la giusta aderenza stilistica. Si coglie dunque, in un progressivo ed inarrestabile crescendo emotivo, la freschezza della ragazza in primo atto, il timore della donna innamorata in secondo, l’angoscia per il destino dell’amante in terzo e quindi il coraggio nell’affrontare la morte nel finale. Da segnalare, inoltre, la totale immedesimazione del personaggio anche sotto l’aspetto scenico.

Completa il terzetto dei protagonisti il magnifico Carlo Gérard di Claudio Sgura. Il baritono è in possesso di una vocalità preziosa, di puro velluto, ampia e sonora. Significativa è l’omogeneità tra i registri, così come innegabile è la sfrontata sicurezza con cui il suono viene letteralmente accarezzato e pervaso di pura emozione. Il sottile confine tra esecutore ed interprete si annulla ed ogni frase risulta accentata con totale partecipazione ed immedesimazione. Sgura tratteggia un personaggio di grande sensibilità e umanità, particolarmente evidenti nel monologo di primo atto e nella grande aria di terzo, la cui condotta rivela una certa nobiltà d’animo, soprattutto nel tentativo di difendere Chénier dalla condanna. Alla cura meticolosa del fraseggio si unisce, inoltre, una presenza scenica autorevole e di grande impatto. Una interpretazione superlativa, coronata da una meritata ovazione finale da parte del pubblico.

Notevole, al netto di una dizione talvolta perfettibile, la prova di Fleur Barron, che presta a Bersi una vocalità rigogliosa che si apprezza per innata musicalità, oltre che per ricchezza di armonici. Da sottolineare, inoltre, l’aggraziata presenza scenica e la leggiadria nelle movenze sceniche.

Altrettanto di rilievo è la prova di Annunziata Vestri che riesce ad abbandonarsi ai vezzi e ai vizi della Contessa di Coigny con perfetta aderenza al personaggio. Oltre alla bravura sotto l’aspetto meramente vocale, non si può certo tacere della interpretazione graffiante e volutamente sopra le righe, specialmente nella ripresa della gavotta con cui si chiude l’atto primo.

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Maria Agresta e Martin Muehle

Manuela Custer, nel breve ruolo di Madelon, regala un cammeo di sensazionale presa teatrale. Al personaggio sono destinate poche frasi, che l’artista sa valorizzare con una linea di canto pervasa di dolente disperazione. Impareggiabile il fraseggio, scolpito e quanto mai sfumato, così come magnetica è la presenza scenica.

Note positive anche per Alessandro Spina, un Roucher aitante e scattante sulla scena, vocalmente sicuro e a proprio agio nella scrittura dell’autore. Percettibile l’affiatamento sul palco con Muehle.

David Astorga interpreta, con spigliata vocalità e la giusta ironia scenica, l’Abate.

Graffiante il Fléville di Andrew Moore; convincente il Fouquier-Tinville di Giovanni Furlanetto.

Incisivo Mathieu di Fabrice Alibert, efficace e ben tratteggiato l’incredibile di Reinaldo Macias.

Completano la locandina, con puntuale precisione, Eugenio di Lieto, nel duplice ruolo di Dumas e Schmidt, e Matthew Thistleton, il maggiordomo.

Splendida, per intensità ed equilibrio dinamico, la prova del Coro dell’Opéra de Monte-Carlo, istruito magistralmente dal Maestro Stefano Visconti.

Successo entusiasta al termine con acclamazioni per tutti gli interpreti e ovazioni per i tre protagonisti e direttore.

ANDREA CHÉNIER
Dramma storico in quattro atti
Libretto di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano

Andrea Chénier Martin Muehle
Gérard Claudio Sgura
Maddalena di Coigny Maria Agresta
Bersi Fleur Barron
La Comtessa de Coigny Annunziata Vestri
Madelon Manuela Custer
Roucher Alessandro Spina
Fléville Andrew Moore
Fouquier-Tinville Giovanni Furlanetto
Mathieu Fabrice Alibert
Un incredibile Reinaldo Macias
L’Abate David Astorga
Dumas/Schmidt Eugenio Di Lieto
Il maggiordomo Matthew Thistleton

Direttore Marco Armiliato
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e concezione video Nicolás Boni
Concezione video Matias Otalora
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Daniele Naldi
Coreografie e assistente alla messa in scena Silvia Giordano

Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo
Direttore Marco Armiliato
Coro dell’Opéra de Monte-Carlo
Direttore del coro Stefano Visconti
Maestro preparatore dei cantanti Kira Parfeevets
Assistente ai costumi Paolo Vitale
Assistente alle luci Alberto Rossini
Académie Princesse Grace-Ballets de Monte-Carlo

FOTO: ©OMC – Marco Borrelli