Rubriche 2021

Donizetti e le insolite scelte vocali di “Francesca di Foix”

Sono circa 70 le opere composte da Gaetano Donizetti ed è inevitabile che titoli di capolavori come “L’elisir d’amore”, “Lucia di Lammermoor” o “Don Pasquale” abbiano oscurato quelli meno rappresentati. Un caso emblematico è quello di “Francesca di Foix”, opera semiseria in un atto che fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 30 maggio del 1831 con un discreto successo. Questo lavoro del compositore bergamasco non è del tutto dimenticato, ma se ne parla soltanto per un fatto. Si tratta infatti dell’opera che ha fornito diverse pagine a composizioni successive. “Francesca di Foix”, però, merita più che un semplice cenno di questo tipo.

Le opere che hanno beneficiato delle sue note sono “Ugo, Conte di Parigi”, lo stesso “Elisir d’amore” e “Gemma di Vergy”. In particolare, nel caso dell’Elisir, Donizetti ha sfruttato la marcia  e il coro delle guardie, trasformato per l’occasione nel coro introduttivo del secondo atto (Cantiamo, facciam brindisi). La storia dell’atto unico va approfondita brevemente. Il libretto di Domenico Gilardoni era già stato musicato due decenni prima da Henri-Montan Berton, mentre il titolo iniziale doveva essere “Il paggio e l’anello”. “Francesca di Foix” è molto interessante soprattutto per la sua struttura musicale. Anzitutto, ci sono otto numeri, separati uno dall’altro da recitativi lunghi.

La caratteristica insolita è comunque un’altra. Le scelte vocali maschili di Donizetti non seguirono la tradizione dell’epoca, tanto è vero che il protagonista buffo è il basso, cioè il marito della contessa Francesca. C’è poi il baritono (Il re di Francia), al quale il musicista ha riservato una sola aria, quella dell’introduzione. Il terzo personaggio maschile è il tenore, vale a dire il Duca: il suo ruolo è piuttosto marginale dal punto di vista drammaturgico e gli interventi si limitano a un’aria e a un duetto. Gli altri due ruoli sono affidati al soprano (Francesca) e al contralto, il paggio che si fa apprezzare con un’aria tipicamente napoletana (È una giovane straniera).

Per comprendere meglio le decisioni di Donizetti, il racconto della sua vita stata come ci è stata tramandata dall’avvocato Filippo Cicconetti nel 1864 non è molto utile a causa dei pochi riferimenti all’atto unico. Non è certo un caso. Le lettere scritte dal compositore in questo periodo della sua vita non sono molte e in quelle poche che sono sopravvissute “Francesca di Foix” non è mai nominata. Lo stesso destino è riservato a un altro atto unico, “La romanziera”. Il musicista orobico era abituato a dare informazioni molto esaurienti sulle sue opere e la loro gestazione, senza tralasciare nemmeno i commenti sull’accoglienza ricevuta nel corso delle prèmieres.

In questo caso succede l’esatto contrario, la chiara testimonianza che la considerazione non era molto alta, quasi si trattasse di semplici opere di passaggio. Senza di loro, però, non sarebbero esistiti i grandi trionfi degli anni successivi: si può immaginare Donizetti che rispolvera gli spartiti per utilizzare le pagine migliori, dunque nella sua mente “Francesca di Foix” era più presente di quanto si possa credere. Ma di cosa parla esattamente l’opera? L’ambientazione scelta è quella francese, nello specifico all’inizio del ‘500, con il Palazzo del Louvre come sfondo.

Il Re di Francia, il Duca e il paggio Edmondo organizzano una congiura ai danni del Conte, persona gelosa e suscettibile al punto da tenere segregata in casa la moglie Francesca. I tre riescono a farla fuggire e a camuffarla da baronessa straniera durante una festa a palazzo. Il Conte, però, la riconosce e fa finta di nulla per non dover svelare le bugie raccontate fino a quel momento. Tutti invitano Francesca a ballare, suscitando la gelosia del marito, provocato dallo stesso Re che si dice pronta a concederla in matrimonio al vincitore del torneo. Il Conte è così costretto a rivelare la verità, viene deriso, ma comunque perdonato da Francesca.

Non meno curiosa è la selezione del cast vocale che ci fu per il debutto napoletano di 185 anni fa. In particolare, il ruolo del Re venne assegnato ad Antonio Tamburini, basso-baritono molto apprezzato all’epoca. Le sue tipiche parti sono cantate oggi da baritoni, segno che per questo personaggio era ed è necessario un fraseggio nobile e morbido, senza trascurare l’agilità e la duttilità nella voce. Per il ruolo del titolo, invece, Donizetti si affidò a Luigia Boccabadati, soprano di cui si sono magari perse le tracce, ma che nel corso della sua carriera ha creato molti personaggi delle opere del musicista.