Rubriche 2021

La prima disastrosa rappresentazione moderna de “Il Corsaro” di Verdi

Sia l’istante maledetto che dal foco ei ti salvava. 

La cabaletta del terzo atto de “Il corsaro” di Giuseppe Verdi contiene una frase che descrive bene il destino di quella che è stata definita una delle peggiori opere del compositore emiliano, se non la peggiore in assoluto. Oltre alla première ufficiale, quella del 25 ottobre 1848 al Teatro Grande di Trieste, c’è stato però un altro “istante maledetto”, quello della rappresentazione moderna, organizzata oltre un secolo dopo il debutto. Sull’opera ha pesato inevitabilmente il giudizio negativo dello stesso creatore, il quale appare piuttosto disinteressato al destino del suo lavoro nelle lettere di quel periodo. Verdi decise di non assistere alla prima de “Il corsaro” nella città friulana, senza dimenticare il rapporto tormentato con l’editore. La storia della creazione di questo melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave è presto detta: il musicista bussetano soggiornò a lungo a Parigi, città in cui il legame sentimentale con Giuseppina Strepponi fu ufficializzato in quel periodo. Allo stesso tempo, però, fu costretto a onorare alcuni impegni assunti in precedenza. Il contratto dell’opera era stato firmato con Francesco Lucca, editore che aveva ottenuto l’impegno di Verdi per quel che riguarda la scrittura di due lavori.

L’accordo diventò ben presto “noioso” per lo stesso compositore, visto che altre proposte avevano “distratto” la sua mente. Dopo oltre un secolo, per la precisione nel 1963, il direttore d’orchestra e compositore Franco Ferrara decise di organizzare la prima rappresentazione moderna del melodramma: fu una scelta coraggiosa, in occasione delle “Vacanze Musicali Veneziane”. Ad ospitare il ritorno di Corrado, Medora e Seid fu il cortile del Palazzo Ducale e per non azzardare una regia complicata, si puntò sull’esecuzione in forma di concerto. La serata del 31 agosto doveva essere un evento imperdibile, ma il destino fu nuovamente beffardo a causa di una serie di coincidenze sfortunate. Maria Battinelli venne scritturata per il ruolo di Medora, Virginia De Notaristefani per quello di Gulnara, oltre ad Aldo Bottion (Corrado) e Silvano Carroli (Seid), mentre la direzione d’orchestra spettò al polacco Piotr Wolny. Nell’articolo di pochi mesi dopo pubblicato su “Opera”, William Weaver non nascose nulla, raccontando dell’indisposizione della Battinelli, priva di voce e costretta a sedersi in più di una occasione, mentre gli altri cantanti completavano insieme le esecuzioni e senza di lei.

Non era stata prevista alcuna sostituta del soprano, poi lo stesso Wolny fu costretto a interrompere il concerto, nello specifico verso la fine del terzo atto. Mentre i violini accompagnavano Oh mio Corrado appressati, infatti, i rintocchi del campanile di San Marco annunciarono l’arrivo della mezzanotte: non si era pensato a quanto sarebbe durata l’esecuzione, di conseguenza il campanile era stato bloccato solamente fino alle undici e mezza di sera. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. Gli spettatori iniziarono a protestare con veemenza, gli orchestrali invece pensarono bene di darsi alla fuga insieme agli artisti, fino a quando non intervennero i Carabinieri per riportare la calma. La Rai aveva già registrato l’esecuzione della serata precedente al Teatro La Fenice e le trasmissioni televisive furono salve, ma il ricordo della tragica serata rimase vivo nella mente di molti. Proteste clamorose, cantanti senza voce e sfortuna senza fine: con questi “ingredienti”, la “ricetta” della seconda rappresentazione de “Il Corsaro” non poteva che essere disastrosa.

Verdi criticò più volte il suo lavoro, in particolare arrivò a rimproverare il Teatro San Carlo di Napoli per averlo scelto nel corso di una stagione. Nonostante tutto, il melodramma non è tutto da buttare. La storia fu tratta da un poemetto di George Gordon Byron, “The corsair”, e l’opera riuscì a circolare in diverse città italiane, tra cui Torino, Milano e Venezia. Il libretto di Francesco Maria Piave non aiuta di certo ad attirare simpatie (per la parola “gemme”, ad esempio, fu usata l’incredibile rima con “haremme”), ma la storia è comprensibile. Non è presente alcun adagio ed i pezzi interessanti sono soprattutto il preludio, caratterizzato da una buona concisione ed efficacia, ma anche Non so le tetre immagini, l’aria di Medora che permise a Katia Ricciarelli di vincere nel 1971 il Concorso Internazionale Voci Verdiane della Rai e il finale del terzo e conclusivo atto.