2012

Interviste 2012

INTERVISTA AD ALBERTO GAZALE [William Fratti] Parma, 25 gennaio 2012.
Più volte definito dalla critica “il baritono verdiano erede della scuola italiana” e allievo prediletto del tenore Carlo Bergonzi, Alberto Gazale ha compiuto il suo debutto nel 1998 al Teatro Regio di Parma interpretando Un ballo in maschera, cui hanno fatto seguito La battaglia di Legnano nel 1999 e Rigoletto a Busseto nel 2000.
Assente da oltre un decennio dal palcoscenico parmigiano, il celebre artista sassarese, acclamato e applaudito in tutto il mondo, è stato chiamato a vestire i panni di Amonasro in Aida, all’apertura della Stagione Lirica 2012. “Sono molto onorato di tornare al Teatro Regio di Parma, un teatro che amo moltissimo, che mi ha fatto nascere artisticamente, mi ha premiato e seguito in tutte le fasi più importanti della carriera. Un teatro che ancora vanta un pubblico di grandi appassionati e grandi esperti a cui va tutto il mio rispetto e la mia gratitudine. Per me Parma è sinonimo di Giuseppe Verdi. Sono contento di riabbracciare quell’acustica unica al mondo e di farlo ora con tanti anni di carriera sulle spalle e tante opere verdiane macinate nei più prestigiosi palcoscenici del mondo. Naturalmente il mio pensiero non può che andare al mio grande amico Salvatore Licitra, che ci ha lasciati così ingiustamente e che con me ha mosso i primi passi proprio sulle assi brucianti di questo meraviglioso teatro”.
Interprete versatile, Alberto Gazale è eccellente protagonista di numerosi capolavori da I puritani a Lucia di Lammermoor, da Nabucco a Otello, da Pagliacci a Francesca da Rimini. “Ho sempre preferito lavorare in estensione: per arrivare ad avere un proprio stile occorre affrontare i diversi repertori. La tecnica è una, ma va attentamente adattata ai ruoli che si cantano, affrontandoli in maniera responsabile e consapevole. Il nostro studio è difficile, soprattutto nel saper accomodare i vari personaggi, l’interpretazione e lo stile di canto alla prassi esecutiva e alla collocazione temporale dei titoli che si vanno ad eseguire, oltre ai luoghi in cui si rappresentano. Ad esempio a Parma, come in altri teatri di grande tradizione, c’è un pubblico che possiede orecchie molto attente e non si accontenta certamente dei decibel. Arrivano interpreti da ogni dove, ma spesso non sanno a cosa vanno incontro. Alcuni di loro sono straordinari, artisti nati in contesti particolari, ma che frequentando i teatri più importanti del mondo si sono persi, anche stilisticamente, come spesso accade anche nello sport e nel calcio. Noi italiani dobbiamo proteggere il nostro patrimonio e dobbiamo essere noi a indicare agli altri come vorremmo venisse eseguito il nostro repertorio, del quale siamo depositari. Abbiamo avuto un’eredità immensa, solo per la semplice fortuna di essere nati in Italia e abbiamo il solo compito di difenderla, sostenerla e approfondirla. Non ci possiamo piegare all’uso improprio, anche stilistico, che talvolta ci viene imposto. Personalmente ho sofferto molto questo lungo distacco dalle Terre Verdiane, dove c’è un pubblico che sa ascoltare, dove c’è un vero rapporto tra la città e il patrimonio musicale del più grande operista di tutti i tempi”.
Acclamato dalle platee più importanti, dagli Stati Uniti al Giappone, in opere che spaziano dal belcanto al verismo, Alberto Gazale non ha un ruolo prediletto. “Un baritono pensa principalmente al suo rapporto con i personaggi ed ha la grande fortuna e possibilità di differenziare e passare da un contesto psicologico all’altro, dal buono al cattivo, dal cornuto allo sciupa femmine, con l’enorme privilegio di spaziare quasi quanto nel teatro di prosa. Quando interpreto un ruolo nuovo, poi lo lascio maturare, lo lascio crescere dentro di me, con l’esperienza e l’età. Passare dal verismo al belcanto, dal Verdi giovane al Verdi maturo, è ciò che mi dà elasticità vocale. Se la tecnica è buona e non ci si rompe la voce, si possono fare diverse cose, l’importante è studiare molto e mantenere una certa disciplina. Il mio è un mestiere che si fa di giorno in giorno, pertanto ciò che mi attrae è esattamente ciò che non ho ancora debuttato. Ad esempio, per quanto mi riguarda, considero Falstaff un punto di arrivo, sia dal punto di vista del canto, sia dell’interpretazione. Ci sono vecchie e nuove generazioni che hanno già detto tanto in merito a questo personaggio, quindi non è semplice poter dire e dare qualcosa di nuovo. Mi piacerebbe portarlo in scena con un grande regista e un grande direttore, per comunicare e trasmettere qualcosa che sia veramente al servizio di Shakespeare e di Verdi, che certamente ti danno un aiuto al 95%, ma c’è un 5% di personale che posso dare io. In effetti ho aspettato tanto tempo prima di debuttare Scarpia proprio per questo, per avere l’occasione di portare qualcosa di mio”.
Come ogni artista che si rispetti, anche Alberto Gazale desidera costruire qualcosa di concreto e tangibile. “L’opera va vissuta in teatro e noi cantanti siamo destinati a non lasciare nulla, se non i ricordi nella gente, ma che verranno cancellati dalle generazioni successive. Il sogno di ognuno di noi è quello di portare qualcosa di reale, che sia diverso da una semplice registrazione DVD. Ciò che io ho iniziato a fare, con un certo meccanismo ed un certo risultato, è la partecipazione [come docente principale di tecnica vocale e interpretazione, responsabile artistico e presidente onorario (ndr)] all’Accademia Musicale Aimaro. Ritengo che sia molto importante, a un certo punto della vita, fare qualcosa per gli altri, soprattutto per i giovani. Credo molto nel tesoro dell’esperienza e della tecnica italiana e, affinché non si perda, sono fermamente convinto che vada trasmessa. Io ho avuto la fortuna di studiare con Carlo Bergonzi e a mia volta sento il dovere di fare altrettanto. In molti hanno intrapreso una strada simile alla mia, ma tanti altri avrebbero dovuto farlo e invece non l’hanno fatto”.
Tutt’altro che vittima della recessione culturale che coinvolge l’Italia e forse anche l’Europa, Alberto Gazale pensa che si possa fare qualcosa di diverso. “La mia opinione è che si è data un’immagine distorta di quella che si crede essere una crisi. È vero che in televisione non si vedono altro che scemenze, o che in certe città si disertano vergognosamente i teatri, ma è altrettanto vero che parlando con la gente si percepisce qualcosa di differente, ci sono tanti laureati e c’è tanto spessore intellettuale, anche prescindere dal livello scolastico raggiunto. Sinceramente non parlerei di degrado culturale, ma di una volontà consumistica di farlo credere, per far pensare che la cultura non serva e che sia troppo ed inutilmente costosa, oltreché difficile da vendere perché apparentemente senza profitto. Ogni persona che amministra denaro pubblico ha il dovere e la responsabilità di restituire servizi in maniera capace, onesta e trasparente e il teatro non deve essere un’eccezione. Ciò che si dovrebbe fare davvero per superare questa crisi apparente è ridurre gli sprechi dove e se esistono, ma credo che spesso il problema sia anche la mancanza di competenza e la sudditanza ad ingerenze esterne. Paghiamo tasse da record e abbiamo tutto il diritto di avere i teatri funzionanti. La soluzione non è abbassare i budget, ma spendere bene tutto, in modo efficace. Francamente noto che c’è sempre più spesso una presenza massiccia di giovani, credo dunque che i teatri debbano diventare dei luoghi di aggregazione, un’alternativa all’oratorio e allo stadio, e non delle scatole chiuse da aprirsi soltanto durante gli spettacoli. Quando si coinvolgono i bambini, si vede subito che vengono rapiti e stregati, con amore. Bisognerebbe farli lavorare con i registi, i musicisti e i cantanti, giocando a fare gli artisti, poiché puoi amare il teatro solo quando lo fai, migliorando di conseguenza le qualità umane, le capacità di apprendimento, la disciplina e l’educazione. In questo modo ci sarebbero meno sbandati e si formerebbe il pubblico di domani. Il teatro è vita e c’è davvero tutto, manca solo la volontà di mettersi al servizio degli altri. All’Accademia Musicale Aimaro, grazie al finanziamento della Fondazione, abbiamo fatto un intero anno di lavoro e non soltanto qualche lezione e qualche concerto. Con l’aiuto di tanti abbiamo avuto la forza di muovere qualcosa e abbiamo ottenuto dei risultati concreti, per il futuro di tutti”.

INTERVISTA A DÉSIRÉE RANCATORE [William Fratti] Torino, 18 marzo 2012.
Assente dal 2009 dal palcoscenico del Teatro Regio di Torino, dove aveva ottenuto numerosi apprezzamenti nel ruolo di Olympia de Les contes d’HoffmannDésirée Rancatore è tornata nella prima capitale d’Italia per vestire i panni della figlia del buffone verdiano, ricevendo scroscianti applausi e molteplici consensi da pubblico e critica.
“La mia relazione con il grande Giuseppe Verdi inizia proprio con Rigoletto, è la seconda opera verdiana che ho ascoltato quando ero piccina, e la prima che ho studiato a diciotto anni – ci ha raccontato la soprano di origine palermitana – quindi il mio rapporto con Gilda è lungo e sempre attuale. Lo studio di questo personaggio non finisce mai; scopri sempre nuove cose nel ripassare lo spartito, nuove sfumature, parole sempre più importanti e nuove chiavi di lettura; insomma, non ti annoi mai. Gilda mi accompagna nella carriera da quando avevo ventidue anni; l’ho debuttata in Australia in forma di concerto e due anni più tardi in scena a San Francisco. Di lei mi colpisce l’iniziale ingenuità e la voglia che ha di scoprire le sue radici. È sempre ossessionata dal chiedere il nome, dapprima quello del padre e poi quello del Duca, che le dirà di essere Gualtier Maldé; e alla fine io credo che proprio il fatto che lui le dica un nome, la fa innamorare ancora di più. Se notiamo bene l’inizio dell’aria di Gilda è proprio quel nome, a simbolo che finalmente questa povera ragazza, chiusa in casa dal padre, che non sa nulla di lei e della sua famiglia, può fantasticare e credere che esista qualcuno che ha un nome ed una famiglia di appartenenza; e anche quando scopre che ciò che credeva di sapere non è vero, lotta per quell’ideale, per quel sogno che ha vissuto, anche se per breve tempo, perché forse è l’unica cosa che l’ha fatta sentire viva e non più considerata bambina, ma donna. Ecco perché non amo eseguire “Caro nome” con chicchirichì o accelerati inspiegabili, che rendono Gilda improvvisamente quasi isterica; “Caro nome” è per me un aria belcantistica, la più belcantistica del grande Verdi, ma allo stesso tempo è un aria molto sensuale e d’amore. È sensuale perché Gilda potrebbe usare qualsiasi parola ed invece dice “il mio desir a te ognora volerà” e “desir” è una parola troppo forte per quella che tutti, sempre, vogliono farcela interpretare come una bambina”.
Poco prima del Rigoletto torinese, il 2012 di Désirée Rancatore è iniziato con un importante debutto, nel ruolo di Norina nel Don Pasquale di Gaetano Donizetti al Théâtre des Champs-Elysées a Parigi. “È stata un’esperienza bellissima e decisamente piacevole, perché ci siamo molto divertiti nel costruire la regia, nuova e creata per noi dal bravissimo attore francese Denis Podalydès. Porto nel cuore le bellissime recite ed il pubblico che ci ha accolti calorosamente. La parte di Norina mi ha affascinato fin da subito, perché la forza d’animo ed il carattere, anche nella vita quotidiana di una donna, son due qualità che amo particolarmente, e il coraggio di Norina di mettersi contro Don Pasquale, uomo ricco e teoricamente di potere, mi ha conquistata. Ho cercato di rendere tutto ciò anche nella voce, non abbandonandomi a facili melismi o a leziosi accenti, ma cercando di creare un personaggio ancor più tutto pepe, inserendo delle variazioni quando la musica e lo stile me lo consentivano, che a mio modesto parere rafforzavano questo lavoro interpretativo scenico musicale che volevo dimostrare. Vocalmente poi mi ha dato molto, perché essendo di tessitura più lirica che soubrettistica, mi ha permesso di maturare ancor di più la fascia bassa della mia voce, che inizialmente era conosciuta invece solo per la parte acuta”.
Donizetti sarà molto presente nel prossimo futuro di Désirée, con L’Elisir d’amoreLucia di Lammermoor e La fille du régiment. “Il mio rapporto con le eroine donizettiane è molto forte. Adina, Marie e Norina sono semplicemente geniali nel loro modo di essere, mentre Lucia è quella che amo di più, per tutta una serie di caratteristiche sceniche e vocali che personalmente trovo molto congeniali a me. Inoltre la struggente melodia di quest’opera ti entra dentro con forza ed è difficile non amarla. La mia relazione con Lucia è di amore puro, la adoro perché è una donna fragile, ma al contempo forte e pronta a combattere, ma che non può lottare contro Dio né contro ciò che le si fa credere essere il volere della madre. Queste sono le uniche due ragioni che la fanno cedere. Perché alla lettera falsa che il fratello le fornisce, forse crede all’inizio, ma non appena entra Raimondo, lei aspetta trepidante le possibili novità positive del suo precettore, ma che non arrivano. Lei vive in un mondo fatto di maschi che puntano esclusivamente ognuno al proprio interesse: Edgardo vuole vendicarsi del padre; il fratello vuole vendicarsi di Edgardo e cercare di evitare il fallimento socio politico; mentre Raimondo prova solo a salvarsi la pelle, perché vede Enrico adirato con lui. E tutto ciò Lucia lo vive sola; la sua unica compagna è Alisa, che però essendo una governante e più grande di lei, cerca in tutti i modi di distoglierla da quest’amore, anche se in fondo la copre permettendole di incontrare l’amato Edgardo, che invece di rapirla e portarla via da lì, decide di andarsene per tentare di trovare una sorte politica migliore, lasciando Lucia sola contro tutti. Ed è proprio qui che Lucia mi fa innamorare, perché lei confessa a chiunque il suo amore per Edgardo, non ne ha paura pur conoscendo l’ira del fratello, ma è troppo sola, troppo fragile ed abbandonata da tutti, da Edgardo e da Dio, e alla fine non può far altro che impazzire e cercare una via di fuga da questo mondo opprimente, dove in realtà non l’ha capita nessuno, Edgardo compreso. Vocalmente posso solo dire che è una meraviglia: contiene tutto ciò che una cantante desidera cantare”.
Star del belcanto, la soprano siciliana ha fatto di Donizetti e Bellini i suoi compositori prediletti e “fondamentali in questa fase della mia carriera. Bellini è un compositore che adoro. Sempre nel mio lavoro, quando ho iniziato a studiare un ruolo, ho pensato che potesse venirmi bene, ma che ancora avrei dovuto studiarlo per farlo mio, ma non con Bellini. Ho debuttato I puritani e La Sonnambula e sempre, fin dall’inizio dello studio di queste opere, ho sentito come se mi fossero state cucite addosso, con una comodità esecutiva vocale incredibile. Poi ovviamente tutto va maturato e ristudiato sempre, ma parlo proprio dell’approccio iniziale dove, appunto, le mie sensazioni sono state diverse. Bellini, come Donizetti, consente a noi soprani lirici di coloratura di poter spaziare in tutti i virtuosismi che la nostra voce consente, ma ciò nonostante, senza apparire delle macchine spara sovracuti, ma personaggi che in scena vivono emozioni forti. Lui riesce sempre a creare un atmosfera magica, come se le note fluttuassero dalla scena alla platea passando per la mia gola: una sensazione incredibile. In futuro, se me ne sarà data l’occasione, vorrei cantar più spesso I puritani e La Sonnambula, perché credo che al momento attuale della mia vocalità siano perfette per me”.
Désirée Rancatore ha interpretato numerosi personaggi, spaziando da Mozart e Salieri a Bernstein e Strauss. “Non ho mai abbandonato del tutto un ruolo, a parte qualche raro caso, e vivono sempre tutti con me. Li riprendo a casa, li ristudio, vedo se hanno preso forma diversa. E quando non sento la necessità di riprendere qualcosa, è solo perché sto facendo altro di importante per me in quel momento. Per il mio futuro non è più un segreto che sogno Violetta con tutte le mie forze e che fra un paio d’anni potrei anche farci un pensiero. Ma anche Manon di Massenet, Ophélie di Hamlet di Thomas, o Léïla di Les Pêcheurs de perles di Bizet, che sto già studiando e che debutterò a maggio al Teatro Verdi di Salerno diretta dal Maestro Oren. La mia voce nasce da coloratura puro, pur non avendo mai avuto le tipiche caratteristiche, un po’ negative, di estrema punta della voce, o asprezza nei suoni; potrei dire che è sempre stata rotondetta, sempre per quanto può esserlo un coloratura, ovviamente.  Negli anni, con lo studio continuo, perché non si smette mai di studiare, è evoluta, si è ingrandita e arrotondata, pur mantenendo sovracuti e leggerezza che sono fondamentali nel mio repertorio. Credo che le Lucie, le Elvire, le Adine e ora anche Norina, abbiano aiutato il processo evolutivo della mia voce, che adesso è stabile e comoda nel belcanto, nella musica francese dell’800 ed in alcune opere tedesche. Pesando più in là a La traviata, che considero un bel traguardo per un soprano come me, occorre ancora un po’ di tempo”.
Professionista straordinaria e persona ordinaria, Désirée è costantemente attenta e presente nel canto. “Lo studio è una parte fondamentale della mia giornata. Comincio presto la mattina, almeno quaranta minuti al giorno, con due giorni di riposo non consecutivi, e studio con mia madre quando voglio perfezionare qualcosa o quando mi preparo per un debutto, come adesso per Les Pêcheurs de perles. Il canto è una palestra, occorre essere sempre allenati e pronti ad ogni evenienza. Non è una vita facile, anzi per nulla, ma la passione per quest’arte è più forte di tutto. Vorrei soltanto che per il mondo della lirica ci fossero più riconoscimenti, più visibilità da parte delle tv, oltre ad orari accessibili per trasmissioni bellissime come Loggione o Prima della prima e che potessero tornare le opere intere, anche in seconda serata. Cancellerei tutti i gioghi di potere, le raccomandazioni e le mode e vorrei che andasse avanti solo il merito. Purtroppo non è mio compito dire al pubblico cosa succede dietro le scrivanie, ma sicuramente posso affermare che non è un mondo facile. Del resto sono una donna semplice, che ama le cose di tutti i giorni, che mantiene gli amici di sempre, quelli con cui è cresciuta, che crede nella famiglia e nei valori. E nel tempo libero leggo, disegno e amo fare shopping di scarpe! Ma quella è più una malattia”.

INTERVISTA A GUANQUN YU [William Fratti] Parma, 26 marzo 2012.
Rivelazione del Festival Verdi 2011, Guanqun Yu ha interpretato Il trovatore in forma di concerto al Teatro Giuseppe Verdi di Busseto e al Teatro Magnani di Fidenza, riscuotendo un particolare successo personale, di pubblico e di critica.
“Mi trovavo in Spagna durante il Concorso Lirico Internazionale Montserrat Caballé, quando ho ricevuto una telefonata che mi invitava a rientrare in Italia per partecipare alla produzione de Il trovatore – ci ha detto il giovane soprano cinese – e ho dovuto prepararmi in sole tre settimane. Pertanto sono salita sul primo aereo e sono tornata, cercando di prepararmi per il meglio. Fortunatamente possedevo già lo spartito, poiché avevo dovuto sostenere un’audizione. Fino ad allora mi ero sempre cimentata con Mozart, poiché alla Scuola dell’Opera Italiana di Bologna mi era stato detto che il compositore austriaco era un balsamo per la mia voce, pertanto Il trovatore è stata la mia prima opera verdiana. Ho anche accettato di cantare il piccolo ruolo della Sacerdotessa, ma non Aida, poiché per Verdi occorre sempre un attacco duro, ma se non si conosce perfettamente la tecnica si rischia di indurire troppo la voce”.
Guanqun Yu si sta preparando a debuttare al Teatro Regio di Parma un’altra eroina verdiana, Lina di Stiffelio. “Per la preparazione di questo ruolo, i miei coach parmigiani mi stanno aiutando parecchio e lo apprezzo moltissimo. Al contrario della musica mozartiana, che ha dei colori più freddi, quella verdiana è come oro e da straniera comprendo e sento appieno che si tratta davvero della gloria d’Italia. Per cantare Verdi occorre sempre usare la testa e molta attenzione, poiché una scena può essere così intensa e drammatica da portare un’interprete ad avere il sangue che ribollisce nelle vene, ma se la tecnica non è perfetta, si rischia di spingere e rovinare tutto. Verdi è come un caffè espresso, non può essere allungato o macchiato col latte o trasformato in un cappuccino. Ad esempio sento che la parte di Lina è più pesante di quella di Leonora, ma ho deciso di farla perché è ancora un ruolo belcantistico e devo soltanto trovare il modo giusto di cantarlo. Ancora più difficile sarà l’interpretazione e la resa del personaggio, poiché è una donna confusa e complicata, anche se il suo carattere è molto contemporaneo e vicino a noi. In realtà non fa altro che cercare di tenere un piede in due scarpe. Inizialmente credevo fosse innamorata solamente di Stiffelio e avesse deciso di tradirlo con Raffaele esclusivamente per la paura di restare sola. Ora invece, studiandola più a fondo, credo volesse davvero stare con entrambi, ma si sente immediatamente in colpa non appena Stiffelio, al suo ritorno, usa parole da marito sincero e fedele. Lina è costantemente confusa, non sa bene come reagire al ritrovamento dei fogli, non sa neppure come scusarsi dell’anello, ed è solo il padre a chiarirle un po’ le idee, convincendola a non confessare. In secondo atto la paura e la colpa prendono il sopravvento e finalmente decide di lasciare Raffaele e stare con Stiffelio, ma lui non la vuole più. Io sono una donna sincera e diretta, pertanto mi è difficile comprendere le bugie e le incertezze di Lina. Soprattutto mi è difficile capirla da un punto di vista cristiano, anche se credo che tutta l’opera sia costruita solo per arrivare alla vera e unica chiave di lettura che sta nascosta nelle ultime pagine: il perdono. Credo che Verdi volesse davvero trasmettere questo valore attraverso questo lavoro, ecco perché per prepararmi al meglio nella preparazione del personaggio ho anche studiato la sua vita”.
Guanqun Yu è molto felice di debuttare questo ruolo, soprattutto perché poco eseguito e lontano dal solito repertorio. “Credo che in Italia si rappresentino spesso le stesse opere perché sono più popolari e la musica arriva subito all’orecchio. Se invece si vuole ascoltare qualcosa di più classico o anche di belcantistico, occorre preparare il proprio spirito, fare spazio interiore, distogliere tutte le agitazioni e le possibili disattenzioni e preparare il giusto terreno, che coinvolge anche il cuore e tutti e cinque i sensi. A quel punto, se la testa è priva di pensieri, allora si può essere toccati nel profondo, mentre la musica popolare è più immediata, come ad esempio può esserlo il cibo piccante”.
Nel prossimo futuro, il soprano cinese ha l’intenzione di tornare in Spagna. “Quando ero in Cina, la mia insegnate mi diceva sempre che dovevo cantare come Montserrat Caballé, pertanto dopo il Concorso, durante il quale non ho vinto nulla, quando mi ha detto di volermi aiutare dandomi qualche lezione, mi sono sentita felicissima ed eccitata. La Signora Caballé, che ha davvero un grande cuore, dice sempre di non essere un’insegnante, ma una cantante, e non insegna spesso, pertanto quando mi ha invitata, il mio mondo è diventato bellissimo! Credo di avere l’età giusta per poter capire come funziona la mia voce, dunque una tale opportunità mi potrà certamente aiutare a trovare il mio modo di cantare”.

INTERVISTA A SILVIA DALLA BENETTA [William Fratti] Vicenza, 13 luglio 2012.
Silvia Dalla Benetta
, venti anni di carriera alle spalle, è interprete de La traviata a Torre del Lago. Per la prima volta, dopo 58 anni di Festival Pucciniano, viene rappresentata un’opera di un compositore diverso da Giacomo Puccini. È stato scelto Giuseppe Verdi, per la stima che Puccini aveva nei suoi confronti, ma soprattutto per aprire fin da quest’anno i festeggiamenti per il Bicentenario del 2013.“Essere nella casa di Puccini con l’opera che amo di più, La traviata, è come cantare Verdi tra le braccia di Puccini. È impossibile non essere emozionata! Torno al Festival di Torre del Lago dopo qualche anno, dove la prima volta, cantando il ruolo di Musetta ne La Bohème, mi sono commossa. Nonostante il personaggio frizzante, il sapiente maquillage realizzato dai truccatori del teatro mi colava sotto le lacrime. Quel posto ha un’energia particolare e in questi anni non ho fatto altro che sognare di ritornare ad esibirmi in quel palcoscenico, con il riflesso della luna sul lago in uno scenario unico ed esclusivo. È stato un dono cantare sopra ad una tavolozza di colori in quel allestimento caratteristico: la mia vita è sempre stata una tavolozza di colori, i miei primi studi infatti sono stati al liceo artistico e successivamente all’accademia di belle arti, e quella sera univo in un unico istante la pittura e il canto, gli amori della mia vita. Mi muovevo tra il rosso carminio, il blu, il giallo immaginando il profumo dei colori ad olio e cantavo; la magia era già scattata in quell’istante e mi sembrava di aver unito per la prima volta canto e pittura. Ora la magia si ripete, finalmente torno a Torre del Lago per eseguire l’opera che amo di più in assoluto, che più ho cantato e sviscerato, la mia Violetta, che ho recentemente interpretato al Maggio Musicale Fiorentino. La prima volta che mi sono affacciata alla terra di Puccni con Musetta, l’ho fatto in punta di piedi; ora con La traviata mi sembra di ritornare come un fiume in piena, come una valanga che travolge e la cosa mi rende talmente felice che non sono in grado di descrivere l’emozione che provo. L’unica impressione chiara è che mi sembra di eseguire quest’opera per la prima volta, come se tutte le recite fatte finora fossero una cosa diversa, perché questa non sarà La traviata e basta, ma sarà La traviata nella terra di Puccini. Chiudo gli occhi e dico “Flora, amici, la notte che resta” e la magia ha inizio: la bellezza del luogo, la magia della musica, lo spirito di Puccini sono lì, e io li respiro e quel respiro dà vita al mio personaggio, e sono certa che quella sera sarà una nuova Violetta, una Violetta diversa”.
Silvia Dalla Benetta ha debuttato ne La traviata diversi anni fa, quando ancora frequentava esclusivamente un repertorio di coloratura, poi si è accinta ad un cambiamento di vocalità, muovendosi verso ruoli drammatici d’agilità. “Sono partita da una Violetta attorniata da Adine, Norine, Amine, Gilde e Lucie, mentre oggi la circondo con Semiramide, Giselda, Gulnara, Norma e Mimì. Le cose sono cambiate, in questi anni – pur mantenendo nel mio repertorio alcuni ruoli più leggeri, perché sono sempre un tocca sana per la gola – la voce si è sviluppata, ha preso corpo, la zona centrale è diventata più solida, presente e consistente e ho cercato di curare molto i pianissimi, i colori e l’espressione nella parola, ma la cosa che più è cambiata è la mia vita. Tutto ciò che mi accade, giorno dopo giorno, lo porto con me in ogni personaggio: non vesto con gli abiti di Violetta, ma vesto con gli abiti di Silvia; porto con me le mie esperienze e ogni frase è legata a qualcosa che risveglia in me un ricordo, un’emozione, un sentimento. La mia vita è tutta lì, con me, con le cose belle e quelle brutte: rido, piango, mi dispero, e nulla di ciò che faccio è slegato dalla mia vita personale; è difficile spiegare ciò che accade in quel momento. Soprattutto questo è cambiato in questi anni in Traviata, ho potuto impreziosirla di volta in volta perché la mia vita si è arricchita di fatti e avvenimenti, e io non faccio altro che portare la mia vita sul palcoscenico, rivelandomi segretamente a chi mi ascolta, di tutto ciò che sono e che vivo”.
Il repertorio di Silvia Dalla Benetta è molto ampio e nella vastità degli autori che esegue coesistono Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. “Ho interpretato Cio-Cio-San e Mimì, vocalmente molto lontane da Violetta. Cantare Puccini è come essere su un cavallo in corsa, ma al trotto, con Verdi invece sono al galoppo. Puccini mi ha insegnato a lavorare molto sui colori, sui pianissimi, dandomi rigore, costringendomi alla precisione, soprattutto in un ruolo come quello di Butterfly, che oltre a essere molto complesso vocalmente, lo è anche psicologicamente, lontano dalla mia cultura, dai soliti atteggiamenti che assumiamo sempre nel mondo europeo. Lì ogni movimento, ogni gesto è legato alla tradizione, niente viene fatto casualmente, quindi una doppia responsabilità, vocale e scenica e da questo la complessità del personaggio. Guardare i movimenti di queste donne e studiare le loro espressioni mi è stato di insegnamento: ho studiato per mesi i loro movimenti e mi sono fatta spiegare come dovevo muovermi. Forse l’unico momento in cui non sono riuscita a nascondere il modo di reazione occidentale è stato in “Tu, tu piccolo iddio! Amore, amore mio”. Sono madre e quelle parole strazianti non hanno potuto farmi rimanere dentro la nobiltà di gesti di quel personaggio; lì mi sono lasciata andare e il gesto non aveva più importanza, era il cuore che parlava attraverso il canto e lo strazio del cuore di una madre nel dare l’addio al proprio figlio non può avere movimenti orientali od occidentali, è solo passione che esce come un fiume in piena; in quel momento non esiste più nulla, nemmeno la musica, c’è solo un grande sentimento che solo chi è madre ha la fortuna di comprendere fino in fondo”.
Negli ultimi tempi, oltre a La traviata a Firenze, Torino, Genova e Verona, Silvia Dalla Benetta ha cantato molto spesso anche Lucia di Lammermoor. “Negli ultimi mesi ho cantato ben sedici recite di Lucia a Berna e subito dopo c’è stata La traviata al Maggio. La mia gola mi ha detto che in comune non hanno niente. Purtroppo eseguire Lucia da tradizione, quindi con la cadenza con il flauto e tutte le innumerevoli variazioni, e non come da partitura, ti porta ad affrontare un ruolo con una scrittura musicale da soprano lirico, splendidamente cantato da Montserrat Cabellé, a soprano leggero. Per chi come me si è affacciata a ruoli più drammatici di agilità, invece di un dolce massaggio tecnico alla gola, Lucia diventa un gioco di abilità. La prima aria e il duetto con Enrico, dove la voce deve avere corpo, pur rimanendo agile, devono poi scontrarsi con la scena finale, arricchita delle più svariate variazioni. Non ne sono contraria, ma se Lucia fosse eseguita come da partitura, la voce sostenuta da un suono orchestrale consistente dovrebbe avere il colore del lirico. Lucia e Violetta sono due mondi diversi, con un modo differente di dosare il suono. Lucia è stata tra i primi ruoli che ho debuttato, è sempre stata e sarà sempre nel mio cuore come personaggio e grazie al cielo è ancora anche nelle mie corde. Una Lucia ha bussato alla mia porta in questo periodo, per frapporsi a La traviata a Torre del Lago, ma Violetta avrà sempre la meglio, anche se adoro Donizetti con le sue regine”.
La vocalità del soprano vicentino, dunque, si sta muovendo verso ruoli più drammatici. “La mia voce oggi va in quella direzione. Un Devereux sarebbe un regalo, ma anche Lucrezia Borgia e Anna Bolena; oppure riprendere Semiramide o altre eroine del Rossini serio; rifare Il corsaroI Lombardi alla prima crociata e tutto il primo Verdi; oppure Norma: questi sono i ruoli che oggi vorrei maturare bene. Ho sempre seguito ciò che la voce mi permette di fare, senza forzare le cose e un po’ alla volta ha preso questa strada. In realtà, il mio sogno nel cassetto è quello di cantare di nuovo tutti e tre i ruoli de Les contes d’Hoffmann. Sono passati molti anni, ma non dimenticherò mai quell’esperienza; e magari anche Marguerite di Faust e Juliette di Roméo et Juliette di Gounod, per rimanere sui francesi. Mentre per gli italiani ho una forte attrazione per tutte le regine donizettiane e per Elena de I vespri siciliani. Forse più che un cassetto solo, la mia è una cassettiera intera, sinceramente non saprei scegliere una cosa sola”.
Silvia Dalla Benetta ha debuttato in ben oltre quaranta ruoli e dimostra tutto il suo eclettismo anche nel tempo libero. “Sarebbe bello scoprire chi sono attraverso gli altri, magari verrei a conoscenza di qualcosa di me che ancora non so. Forse chi è Silvia lo può dire solo la mia famiglia e gli amici più stretti. Credo, dal mio punto di vista, che Silvia sia una persona semplicissima – sempre se si possa dire che una donna è semplice – una persona che ama la vita, perché ha la fortuna di fare uno dei lavori più belli al mondo, ha la fortuna di essere circondata da persone speciali – come i miei genitori e mia figlia – che in un mondo difficile come questo le sono accanto, donandole energia e amore, e un fratello che le sta accanto e la sprona a non mollare mai, nonostante le difficoltà del momento: “Je veux vivre”. Nel tempo libero leggo, vado a vedere mostre di pittura, guardo film, e come ogni donna adoro fare shopping! E poi cucino, faccio esperimenti da maga sui fornelli, danzando per la casa a ritmo di musica, quasi in un rituale, aggiungo, tolgo, inserisco ingredienti nuovi e poi scelgo le vittime sacrificali per l’assaggio. Ma quando posso prendo un pennello in mano e butto sulla tela colori: tutta la vita è una tavolozza, cerco i colori nel suono, cerco i colori nella tela e cerco i colori della vita!”.

INTERVISTA A CRISTINA FERRARI [William Fratti] Piacenza, 30 novembre 2012.
Già molto amata dal pubblico piacentino, Cristina Ferrari è stata recentemente nominata Direttore artistico della Fondazione Teatri di Piacenza. Una figura eclettica, che ha sempre speso la propria professionalità in ambito musico-teatrale, curando le stagioni del Teatro di Busseto dal 1999 al 2006, del Sociale di Mantova dal 2004 al 2006 e ricoprendo il ruolo di Direttore artistico al Teatro Carlo Felice di Genova, dal 2007 fino all’ottobre 2009, primo Direttore artistico donna in Italia di una Fondazione lirico sinfonica di primario interesse nazionale. “In questa prima fase del mio mandato, il mio compito è quello di lavorare a stretto contatto con l’Assessore alla cultura e al turismo del Comune Tiziana Albasi e il Direttore della Fondazione Teatri Angela Longieri, ragionando a 360 gradi, pensando a strategie culturali e di pianificazione anche oltre le mura del Teatro, per incrementare l’offerta artistica nella città e nella provincia di Piacenza. Sono fermamente convinta che sia importante creare sinergie con il Conservatorio, l’Università, le Istituzioni, le associazioni musicali cittadine e tutte le importanti realtà locali, andando oltre a quella che è la programmazione classica del Municipale, pensando ad un Teatro sempre più aperto alla città e attento anche ai flussi turistici. Ecco perché si stanno considerando date e ricorrenze ben precise, a partire dal 27 gennaio prossimo, in cui ricorre il duplice anniversario della morte di Verdi e della Giornata della Memoria a ricordo della Shoah, in modo tale da poter accrescere il cartellone attuale”.
I calendari delle stagioni 2012-2013 sono già stati pubblicati fino a giugno, ma la nomina di Cristina Ferrari è stata effettuata col giusto anticipo per avere l’adeguato tempo tecnico di attività, poiché con questa nuova figura manageriale la Fondazione Teatri mira ad avviare nuove collaborazioni, anche a livello internazionale e ad avere una competenza artistica più marcata, tale da acquisire autorevolezza nei confronti delle produzioni degli altri enti lirici e teatri di tradizione. “In effetti io interpreto la mia scelta proprio in questa visione: ampliare l’offerta culturale già in programma e operare sulla pianificazione da ottobre 2013 in poi. A quel punto saremo già verso la fine del Bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi, ma si possono fare ancora molte operazioni. Recentemente la Commissione Cultura del Senato ha definitivamente approvato all’unanimità la legge che detta disposizioni per le celebrazioni verdiane stanziando 6,5 milioni di euro, destinati in parte all’attività artistica e agli eventi, in parte alla ristrutturazione dei luoghi del Maestro. In tal senso, ogni provincia interessata, assieme ai comuni, deve presentare un progetto globale con il coinvolgimento dei teatri, dei conservatori, delle università e di tutte le istituzioni impegnate al fine di ampliare la proposta dei festeggiamenti. Piacenza, accanto alle altre città coinvolte, sarà protagonista non solo riguardo la programmazione artistica, ma anche per l’ottenimento dei fondi per la valorizzazione e la conservazione dei luoghi ed edifici che hanno caratterizzato la vita di Verdi, come il restauro della pensilina esterna dell’ex Hotel San Marco a Piacenza in cui soggiornava spesso il compositore delle Roncole durante i suoi spostamenti tra Sant’Agata, Milano e Genova”.
La dirigenza del Teatro Municipale e del Comune di Piacenza stanno dunque già tracciando le basi per il prossimo biennio. “Stiamo già sviluppando delle sinergie con altri Teatri e Festival: sono già state avviate coproduzioni per il 2013 e il 2014, non solo in Regione ma anche con importanti realtà internazionali, naturalmente con identità e caratteristiche simili al Municipale, sia per  storia e tradizione, sia per le dimensioni e i requisiti tecnici. Ritengo che in tempi di crisi la cooperazione sia uno degli elementi fondamentali per investire al meglio le risorse disponibili. In quest’ottica penso anche che sia necessario valorizzare maggiormente le realtà locali partendo dal Coro del Teatro Municipale, che deve tornare ad essere impegnato nella maggior parte delle produzioni in stagione. Grazie soprattutto al lavoro e all’impegno del M° Corrado Casati, in questi anni è cresciuto artisticamente ed è sempre più apprezzato e applaudito dal pubblico”.
Tra i principali obiettivi che il nuovo Direttore artistico della Fondazione Teatri di Piacenza si è posto di raggiungere nell’arco del suo mandato, vi è sicuramente quello di avvicinare i giovani al mondo della musica e in particolare alla lirica. Obiettivo che Cristina Ferrari si era già prefissata durante la sua permanenza al Carlo Felice di Genova e da quest’anno come Direttore artistico del Concorso Internazionale Voci Verdiane Città di Busseto. “Ho sempre avuto una particolare sensibilità per il giovane pubblico e i giovani artisti. Penso che l’inserimento di nuove voci sia molto importante, ma solo nei ruoli adeguati e dopo un opportuno percorso formativo. A tale proposito concorsi come il Flaviano Labò di Piacenza o il Voci Verdiane di Busseto diventano strumenti sostanziali per la scoperta di nuovi talenti. Sicuramente proseguirò il mio impegno nell’organizzazione di audizioni, da programmare a scadenze regolari in Teatro, poiché ascoltare un cantante in una sola aria non è sufficiente a comprendere le sue capacità e potenzialità artistiche. Inoltre tengo moltissimo anche alla collaborazione già avviata con il Conservatorio di Musica Giuseppe Nicolini: infatti è allo studio la stesura di un protocollo di intesa che coinvolge Comune, Fondazione Teatri e Conservatorio che preveda sinergie e un forte coinvolgimento in produzione dei migliori studenti delle classi di canto”.
Il Municipale di Piacenza è un teatro di tradizione, il più antico della regione dopo Ferrara, ha un pubblico estremamente preparato e molto sensibile al melodramma della seconda metà dell’Ottocento. “Si può spaziare e andare oltre al repertorio romantico, naturalmente facendo i conti con le risorse a disposizione e tenendo ben presente che la qualità deve essere sempre salvaguardata. Sul palcoscenico del Municipale hanno transitato i più grandi nomi, non solo della lirica, ma anche della concertistica e della sinfonica, penso ad esempio a Niccolò Paganini, a Giuseppina Strepponi, ma la stessa terra piacentina è culla di artisti: Gianni PoggiFlaviano LabòPiero CampolonghiItalo CristalliEugenia Ratti, solo per citarne alcuni. È un teatro virtuoso in cui c’è una forte tradizione e una grande competenza”.
Il pubblico del Municipale, negli ultimi anni e in diverse occasioni, ha fatto sentire il proprio dissenso nei confronti di alcune scelte vocali e musicali. Purtroppo, accanto a decisioni artistiche errate, potrebbero esserci state forti ingerenze da parte delle agenzie, che in diversi momenti e situazioni, nel corso della storia della lirica, si sono spinte ben oltre ai loro compiti. “Personalmente ho un grande rispetto per gli agenti, ma bisogna sapere distinguere i ruoli molto bene. Un agente suggerisce, è un filtro prezioso tra l’artista e il teatro; vaglia e seleziona per poi proporre e presentare, eventualmente anche consigliare, ma è e deve essere sempre il Direttore artistico a decidere, avendo tutta la responsabilità delle sue scelte nei confronti del pubblico. Credo sia sempre utile audizionare i cantanti, possibilmente sul ruolo dell’opera che si intende programmare, a maggior ragione se non si conoscono. È invece un grave errore basarsi solamente sui curricula, registrazioni audio, video, o suggerimenti altrui. Detto questo – continua Cristina Ferrari – vorrei aprire una parentesi: ho sempre coltivato un rapporto personale con i professionisti impegnati, anche di scambio umano. Gli artisti esercitano un mestiere così delicato che ritengo importantissimo instaurare un buon clima durante il loro impegno in Teatro. Poi, in alcuni casi, si può addirittura arrivare a costruire un percorso e dei progetti di lavoro insieme che perdurano nel tempo”.
Negli ultimi anni un altro grave danno inflitto al mondo della lirica è stato il sempre più crescente impiego di giovani leve straniere – sconosciute ai più, ma dal nome altamente esotico e generalmente di bell’aspetto – per poi scomparire o passare a teatri di minore importanza dopo una manciata di stagioni, ma comunque a totale rovina del lavoro dei veri professionisti. “A tale proposito bisogna fare una profonda riflessione e cercare di tutelare il patrimonio culturale nazionale. La vocalità italiana è unica al mondo, con una tecnica inconfondibile, importante; non a caso gli stranieri vengono a studiare nel nostro Paese non solo per ragioni storiche e di tradizione, ma anche per un motivo ben preciso e spesso trascurato: la lingua italiana, lingua ufficiale e universale della musica e del canto. Credo dunque che occorra fare più attenzione per salvaguardare di più i professionisti e le eccellenze italiane, soprattutto nel nostro repertorio. Inoltre ho sempre avuto un’attenzione doverosa anche per gli artisti locali, tanto più per coloro che hanno un certo livello professionale e sono spesso impegnati nei calendari dei più importanti teatri del mondo”.
Il tavolo di lavoro che vede protagonista Cristina Ferrari, in concerto con la dirigenza delle altre istituzioni coinvolte, è appena partito e non è possibile dare anticipazioni dettagliate. “L’ultima parte dell’anno, che dunque chiuderà il 2013 e il Bicentenario Verdiano, sarà interamente dedicata al repertorio del compositore delle Roncole, si stanno già mettendo in atto delle coproduzioni molto importanti e l’inaugurazione della prossima stagione sarà incentrata su un progetto davvero considerevole ed interessante. In questa fase la formazione dei cast artistici è l’ultimo punto dell’intera progettazione, mentre l’inizio parte da un altro tipo di presupposti. Ciò che si sta implementando è l’ideazione di un percorso culturale attorno a cui nasce tutto, arte, cultura e turismo, suddivisi e calendarizzati nei vari periodi dell’anno senza mai dimenticare che dietro ogni scelta che facciamo ci deve sempre essere il rispetto e la gratitudine verso chi rende vivo il Teatro”.