Tosca – Roma, Teatro dell’Opera
Terza variazione sul tema di Tosca nel 125° anniversario del suo debutto assoluto al Teatro dell’Opera di Roma e tocca ora a James Conlon, dopo Michele Mariotti e Daniel Oren, di celebrare il capolavoro pucciniano nella cornice del suo primo allestimento, fedelmente ricostruito e ripreso da Alessandro Talevi. L’avvicendarsi degli interpreti nel contesto della medesima regia ha fatto sì che potessero emergere i diversi lineamenti dell’opera, realizzando in tal senso un volto poliedrico per drammaturgia musicale e impasti cromatici, aspetti psicologici e continui rimandi alla cultura e alla storia.
In questo panorama, la versione di Conlon si caratterizza per una narrazione di ampio respiro, con tempi distesi in cui si dà ampio spazio alla cantabilità e dove i timbri orchestrali vengono accuratamente combinati e posti in evidenza. Questo tipo di agogica consente inoltre ai cantanti una notevole espansione melodica, pur affievolendo in certuni frangenti la tensione drammatica. Grande forza vi è comunque nel terribile accordo iniziale, nell’ingresso di Scarpia e in tutti i passaggi più tragici del secondo atto. Il Te Deum si staglia monumentale e trascinante, con il Coro potente e compatto diretto da Ciro Visco e le Voci Bianche guidate da Alberto de Sanctis, vivacissime e luminose.
Al terzo atto riesce poco scolpita la sequenza delle campane, mentre è invece di avvolgente vigore l’accompagnamento della romanza e del duetto nella sequenza conclusiva.

In grande sintonia si dimostra la coppia Tosca-Cavaradossi, non soltanto per l’intesa nella gestualità ma soprattutto per un affine stile di canto, in cui spicca la morbidezza e la linea melodica.
Anna Pirozzi esibisce una vocalità di straordinaria eguaglianza, con appunto una linea sinuosa ed elegante. La sua è una Tosca genuina e opportunamente matronale, popolare ma raffinata, in uno schietto equilibrio tra forza e dolcezza. Molto solare al suo ingresso, assume toni sensuali e appassionati nella descrizione del nido d’amore e suscita ilarità come amante gelosa, senza pesantezze, quasi come in un gioco. Diviene tuttavia una donna prima ferita e poi piena di rabbia nel dialogo con Scarpia, dove colpisce l’intensità dell’esclamazione “Lo vede che io piango”. Ha un canto molto vario al secondo atto, ancora omogeneo e levigato, ma intessuto di parlati incisivi e di espansioni potenti e drammatiche. Trasparente e magnificamente legato “Vissi d’arte”, con una tenuta della nota finale di perfetta saldezza. Molto articolato e drammatico il racconto dell’omicidio, punteggiato da formidabili acuti, così come il tragico epilogo.
Luciano Ganci da parte sua delinea con ampiezza ogni melodia, a partire dalla sua nitida “Recondita armonia”, pur con qualche iniziale incertezza nelle note più alte. Esprime grande calore e dolcezza nel duetto con Tosca ed è leggero ed ironico di fronte alla sua gelosia. Ha acuti smaltati in “Vittoria”, resa con forza e luminosità, ed è di scolpita espressività in “E lucevan le stelle”, pur con una proiezione meno sfogata.
Superba l’entrata dello Scarpia di Ariunbaatar Ganbaatar , che fin da subito mostra una scandita dizione e un fraseggio accuratamente modulato. Voce compatta e rotonda, perde un po’ di volume nei gravi ma è capace di significative aperture nel registro acuto. Punteggia la sua romanza al secondo atto di accenti e variazioni dinamiche ed ha modi alquanto melliflui con Cavaradossi. Con Tosca poi mette in luce assai bene quanto il personaggio venga infiammato dal dolore e dal rifiuto della donna.
Riconferma l’incisività della sua interpretazione Domenico Colaianni, il cui Sacrestano risulta accuratamente sbalzato in ogni dettaglio e ancora di più che nelle precedenti edizioni, pur con un corpo vocale che talora fatica ad imporsi.
Assai coinvolgente l’Angelotti di Luciano Leoni, di buon volume e spiccata intenzione drammatica. Limpido lo Spoletta di Matteo Mezzaro, il cui racconto dell’arresto riesce vivace e strutturato. Accentato e ben definito lo Sciarrone di Marco Severin, diretto e profondo il Carceriere di Carlo Alberto Gioja. Incanta poi con la sua dolcezza il Pastorello di Francesco Cicciarello.

In merito alla regia di Alessandro Talevi, di cui già più volte scritto su queste pagine (vedi 30 ottobre 2023 e recensioni Tosca 2025), colpisce tra le altre cose l’attenzione riservata ai movimenti. Tosca, ad esempio, si accascia sul ponteggio del pittore ingannata da Scarpia similmente a come poi si inginocchi su “Vissi d’arte” e Scarpia stesso, con gesto dissacrante, si eccita nella sua lascivia sotto la statua della Madonna. Tutto quindi minuziosamente studiato, come del resto le luci, soprattutto quelle in chiusura del secondo atto.
Numerosi gli applausi a scena aperta e tripudio nel finale, particolarmente per la Pirozzi, Ganci, Gaanbatar. Cala quindi il sipario anche su quest’ultimo pannello di Tosca 125, parte invero di un polittico infinito nell’indagine del fascino e del mistero di quest’opera pucciniana.
TOSCA
Musica Giacomo Puccini
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Direttore James Conlon
Regia Alessandro Talevi
Maestro del Coro Ciro Visco
Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli
PERSONAGGI INTERPRETI
Floria Tosca Anna Pirozzi
Mario Cavaradossi Luciano Ganci
Barone Scarpia Ariunbaatar Ganbaatar
Cesare Angelotti Luciano Leoni
Sagrestano Domenico Colaianni
Spoletta Matteo Mezzaro
Un Pastorello Francesco Cicciariello
Sciarrone Marco Severin
Un carceriere Carlo Alberto Gioja
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma (maestro Alberto de Sanctis)
Foto: Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma