War Requiem – Firenze, Teatro del Maggio
Benché l’entusiasmo del pubblico sia stato assai fragoroso e commosso, l’omaggio più alto e sentito è stato il lungo e vibrante silenzio in cui, prima degli applausi, è rimasta sospesa la Sala gande del Teatro del Maggio alla fine del War Requiem. Un concerto intenso e graffiante che, ancor più che come una partecipata meditazione, si configura addirittura come un memoriale, nel senso liturgico del termine, ovvero come un evento in cui si rivive l’accaduto e dove la musica ci spinge con violenza oltre se stessa, nel cuore della storia e in un drammatico dialogo con la nostra attualità. “Il mio tema è la guerra. La poesia è nella pietà” scrive il ventenne poeta Wilfrid Owen, arruolatosi come volontario nel primo conflitto mondiale e caduto alla vigilia dell’armistizio. E proprio i suoi versi diretti e penetranti furono inseriti da Benjamini Britten tra le parti della “Missa pro defunctis” allorché gli fu commissionata una composizione per la solenne riapertura della cattedrale di Coventry, distrutta nel corso di uno dei più feroci bombardamenti della Lutwak su terra inglese. In realtà, il lavoro di Britten, al di là della circostanza, ha un carattere tutt’altro che celebrativo e, pur impiegando l’originale testo latino cattolico, sposta l’asse del discorso dal piano atemporale ed escatologico a quello storico e intimistico, teatralizzando di fatto la messa con i versi di Owen intonati dai due solisti-soldati.

La direzione di Diego Ceretta si dimostra saldamente fedele a questa ispirazione, plasmando un‘esecuzione asciutta e severa, sofferta e riflessiva, dove prevale il dramma dell’uomo anche nei momenti di possibili aperture luminose e trascendenti. In questa occasione, sotto la sua bacchetta non soltanto l’Orchestra e il Coro del Maggio, diretto da Lorenzo Fratini, ma anche l’Orchestra della Toscana, di cui il giovane Maestro è direttore stabile e i cui solisti compongono l’ensemble cameristico che ha accompagnato gli interventi sui testi poetici in inglese. Il suono riesce sempre ricco e accurato, in fluire articolato e compatto, che in qualche passaggio manca un po’ di incisività ma che si pone generosamente al servizio di una rappresentazione nobile e tremendamente concreta.
La campana punteggia con i suoi rintocchi l’intera composizione, fin dall’attacco dell’Introitus, con il “Requiem” sussurrato dal Coro in modi inquieti e delicati e con il “Te decet hymnus” morbido e levigato delle Voci bianche, dirette da Sara Matteucci e sempre fuori scena, ad evocare uno scenario di pace davvero estraneo al dramma della storia. Ed infatti il primo testo di Owen ci narra subito di una gioventù condannata e lo fa attraverso la vocalità fresca e luminosa di Ian Bostridge, qui piegata in un canto soffertamente scolpito. Il Kyrie, senza fioriture e senza alcuna ripetizione, ci introduce nella sequenza del Dies Irae, scandita dal Coro con forza al pari di un diktat, per esplodere poi nel “Tuba mirum”, con il cupo sfolgorare dei bravissimi ottoni. E di trombe nel crepuscolo ci parla Dietrich Henschel, con una moderata consistenza ma con un fraseggio alquanto definito e incisivo. Da parte sua, il soprano Elizaveta Shuvalova, con voce omogenea e voluminosa, raffigura con terribile vigore le terzine del “Liber scriptus”, atmosfera funerea ripresa da tenore e baritono, allo stesso tempo eroici e disincantati di fronte alla morte.

Più raccolto e quasi venato di dolcezza l’ampio “Recordare” del Coro, con un’invocazione allo “Jesu pie” che però nel canto scavato di Henschel diviene un atto di accusa contro il Cielo. Testo liturgico e poesia, che talora si contrappongono o comunque corrono lungo linee diverse e distinte, sembrano incontrarsi nel “Lacrymosa”, con la struggente dolcezza della Shuvalova e con lo strazio composto di Bostridge.
Si apre ancora con la trasparenza delle Voci bianche l’Offertorium, si increspa nella fuga rigorosa e palpitante e trova nella parte conclusiva uno dei momenti più abissali di tutto il Requiem, nel dialogo tra Bostridge e Henschel che ci raccontano di un Abramo che, nonostante il monito dell’angelo, sacrifica comunque il proprio figlio.
Anche il Sanctus viene caratterizzato con toni marziali e, interamente pervaso da un’ansia febbrile fatica a stagliarsi nella forma della lode, mentre alle strofe di Owen intervallate dal Coro è affidato il suggestivo Agnus Dei, cantato da un Bostridge melodico e di grande eleganza e intensità. Ritrova poi un carattere militare e apocalittico la sequenza del Libera me, dove la Shuvalova è ancora di energica drammaticità e il Coro di notevole varietà dinamica. Delicatissimi e toccanti gli interventi di Bostridge e Hentshel, che impersonano due nemici che si incontrano nel buio dopo la morte e si riconoscono come fratelli. Adesso quindi, tenore e baritono, come l’inglese Peter Pears e il tedesco Dietrich Fischer-Dieskau della prima esecuzione a Coventry, possono finalmente cantare insieme “Dormiamo ora adesso…”, prima che venga da tutti intonato il “Requiescant in pace”.
La ferita resta comunque non sanata e la perdita tragicamente senza rimedio.
E il nostro pensiero va a Kiev, a Gaza, e a ciò che papa Francesco ha chiamato “la guerra mondiale a pezzi”, per ritornare infine, ancor una volta, ai versi di Owen e alla sua ”prossima guerra: combattere contro la Morte – per la Vita; non contro gli uomini, per una bandiera”.
BENJAMIN BRITTEN
War Requiem op. 66 per soli, coro misto, coro di voci bianche, orchestra e orchestra da camera
su testi tratti dalla Missa pro defunctis e dalle poesie di Wilfred Owen
I. Requiem aeternam
II. Dies irae
III. Offertorium
IV. Sanctus
V. Agnus Dei
VI. Libera me
Soprano Elizaveta Shuvalova
Tenore Ian Bostridge
Baritono Dietrich Henschel
Direttore Diego Ceretta
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Maestra del Coro di voci bianche Sara Matteucci
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Orchestra della Toscana
Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino