Spettacoli

Aroldo

La sensazione è di essere in guerra: pochissima gente per strada a Ravenna, splendida città d’arte e scrigno di fiabeschi mosaici, complice forse anche un clima freddo tipico del periodo e teatro, l’elegante e raffinato Alighieri, scrigno trapunto d’oro e velluto verde, non pieno, forse per la situazione d’emergenza attuale o anche per il titolo non di cartello come si usa dire in ambito operistico. Ed il conflitto è anche vivo, lancinante e tremendamente vero anche sul palcoscenico. Aroldo viene trasportato dal registi e drammaturghi Emilio Sala e Edoardo Sanchi dal medioevo inglese della corte dei Plantageneti al tempo della Seconda guerra mondiale a Rimini, alla corte dei gerarchi fascisti. Anche alcune parole del libretto di Francesco Maria Piave vengono cambiate : la Palestina da cui ritorna il crociato Aroldo diventa Abissinia per esempio ma altre ne compaiono… Chissà se il Beppino Verdi nazionale avrebbe approvato o brontola nella sua tomba a Casa Verdi a Milano….

Devo dire, che tolti alcuni momenti veramente fuori luogo tipo la canzone Anni ’30 che viene a rompere l’incanto della suggestione donata dalla vibrante e sanguigna musica verdiana, nonché il naturale fluire dell’azione cantata, o una registrazione gracchiante o quel Camerata detto al posto del nome di un personaggio che per evidenti ragioni fa sobbalzare sulla sedia chi scrive, l’opera così rappresentata non disturba o scandalizza ed evoca suggestioni e ricordi dolorosi e soffocati. Molto bello e pregnante il bombardamento che prende il posto dell’originario uragano all’inizio del quarto atto ed interpretato in maniera perfetta e sublime dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto dal Maestro Corrado Casati, in stato di grazia per tutta l’opera. Eccellenti e degne di note la sezione dei soprani, dei tenori e dei bassi, un po’ più timida la sezione dei mezzi-contralti, ma sempre impeccabile la compagine corale piacentina e dal corposo suono unico, poderoso e con grande disinvoltura scenica.

Al debutto nel title role uno dei migliori tenori italiani del momento, Luciano Ganci. Cantante dotato di ottima musicalità ed intelligenza, ben presente in scena, con voce dalle mille armoniche suggestioni, con un accattivante timbro ed acuti ben proiettati, ritaglia un umanissimo Aroldo, un uomo buono anche se istintivo e consapevole del suo valore. Colpisce l’ottima dizione del cantante romano, ogni sillaba è chiarissima e ben pronunciata, non c’è bisogno di leggere il libretto con lui! Sua colpevole moglie in scena la stupenda Mina di Roberta Mantegna. L’artista siciliana ha raggiunto una perfezione di emissione e fraseggio non comuni, ogni frase e respiro, ogni pausa sono stati studiati e pensati dall’artista e lo si avverte prepotentemente. La voce è di filigrana preziosissima, perlacea e robusta nei medio gravi, i pianissimo incantano chi ascolta ed il tutto viene eseguito con estrema facilità. Il soprano ben esprime i tormenti dell’adultera pentita anche con atteggiamento e plastica facciale, non lasciando niente al caso . particolarmente apprezzata l’aria del secondo atto “Ah dagli scanni eterei” sapientemente ricamata dalla sublime voce dell’artista.

Esemplare nella sua morbida e nobile eleganza il baritono Wladimir Stoyanov, il padre di Mina, Egberto, che ha saputo rendere con estrema bravura l’animo sofferente ed orgoglioso dell’anziano militare privato dell’onore e dolorosamente piegato. La voce del bravo baritono bulgaro è molto bella, velluto bronzeo unito ad un eccelso valore tecnico e sapiente uso del fraseggio verdiano. Molto bello in scena, con gesti misurati ed efficace ricerca dell’espressione facciale. L’aria e cabaletta “Mina pensai che un angelo” sono una vera e propria lezione di canto verdiano. Il Briano di Adriano Gramigni è veramente degno di nota, con una voce ed una presenza molto incisive e ben condotte. Come il seduttore Godvino è ben eseguito con ottima musicalità da Riccardo Rados, dotato di una bella voce. Molto bravo Giovanni Dragano nella breve parte di Enrico, mi piacerà ascoltarlo in parti più corpose.

Il giovane e talentuoso direttore Manlio Benzi scolpisce con il suo gesto focoso ed avvolgente ogni nota e passaggio della non facile e fascinosa partitura verdiana rendendo aroldo non una copia dello Stiffelio, ma un’opera con vita e forza tutte sue. Lo segue la meravigliosa Orchestra Giovanile Luigi Cherubini con un suono ed un’energia rapinose ed entusiasmanti. Il suono luminoso non soffoca mai le voci, ma le avvolge in onde sonore ed in piani rapinosi.
Belli i costumi e molto eleganti a cura di Raffaella Giraldi e Elisa Serpilli, come incisive ed armoniche le scene di Giulia Bruschi, ben delineate e servite dalle luci di Nevio Cavina. D’effetto e gradevolissimi i movimenti scenici di Isa Traversi e di rilievo il montaggio video e le proiezioni di Matteo Castiglioni.
Alla fine il non numeroso pubblico, per entusiasmo ed applausi è sembrato raddoppiato, segno che quando un’opera è cantate ed eseguita bene, viene apprezzata anche se non di cartello! Un plauso allo staff del teatro Alighieri per la sapienza nel saper formulare un cartellone ricco ed interessante.

[Cristina Miriam Chiaffoni]

Piacenza 21 gennaio 2022

Quante storie racconta un’opera lirica? Molteplici: quella del libretto certo, ma anche la nostra vicenda umana, che riviviamo con la musica, ma si può anche raccontare la storia dei luoghi che hanno fatto vivere l’opera. In questa produzione di Aroldo, nata per il teatro Amintore Galli di Rimini, i registi e drammaturghi Emilio Sala ed Edoardo Sanchi hanno provato a raccontare la vicenda del teatro di Rimini che ha ospitato la prima assoluta dell’opera di Giuseppe Verdi il 16 agosto 1857.

Una storia triste perché si incrocia con la guerra e le bombe che hanno provocato la distruzione della città e del suo teatro, che ha conosciuto una rinascita ed una ricostruzione solo nel 2018. Un racconto che riesce ad essere in sintonia con il libretto grazie a qualche accorgimento drammaturgico, qualche parola cambiata che permette di spostare agilmente l’ambientazione originale prevista al ventennio fascista. Una scena semplice ma efficace, a cura di Giulia Bruschi, che sfrutta in modo intelligente le proiezioni di Matteo Castiglioni: filmati d’epoca in bianco e nero, che si uniscono a grande scritte illuminate che inneggiano ai valori retorici del Fascismo. Uno spettacolo che cerca una lettura nuova, un po’ osata forse, ma nel complesso riuscita, una storia narrata con un certo coraggio, a discapito della filologia più stretta. I costumi di Raffaella Giraldi e Elisa Serpilli sono storicamente corretti rispetto alla ambientazione scelta e piacevoli da vedere, belle anche le luci di Nevio Cavina, soprattutto nella scena del temporale che diventa qui un bombardamento.

Omogeneo e di buon livello il versante musicale dello spettacolo.
Nel ruolo del titolo Luciano Ganci, che ha debuttato questo personaggio al Teatro Alighieri di Ravenna nei giorni scorsi. Il tenore conferma la bellezza di un timbro lucente oltre una linea vocale suadente che si espande in acuto spavaldo (e la parte insiste più volte sulla parte alta del pentagramma) e con grande facilità. L’interprete è di grande intelligenza attraverso la ricerca di un fraseggio sfumato e sempre pertinente all’evoluzione psicologica del personaggio. Particolarmente riuscito il contrasto tra il temperamentoso finale primo e la dolcezza del perdono finale.

Roberta Mantegna brilla con la sua voce schiettamente lirica, ben timbrata e musicale. La linea è corposa soprattutto nei centri; si apprezza inoltre un buon utilizzo dei piani che rende particolarmente suggestiva l’esecuzione dell’aria di secondo atto “Ah dagli scanni eterei”. Sempre credibile sulla scena, grazie ad accenti scolpiti e ben torniti, sa essere prima un amante volitiva, quindi una donna schiacciata dal peso della colpa e del rimorso, e, infine, una moglie in cerca del perdono ma pur sempre contraddistinta da grande dignità.

Nel ruolo di Egberto, Vladimir Stoyanov sigla una prova di assoluto rilievo. La linea vocale, dal colore ambrato, risulta solida ed avvolgente e, grazie ad una grande duttilità supera con semplicità le asperità della scrittura verdiana. Scenicamente efficace, grazie ad un fraseggio incisivo e scolpito, rende alla perfezione il contrasto tra l’autorevolezza paterna e l’orgoglio dell’uomo d’onore. Particolarmente toccante la grande scena di terzo atto dove l’artista sa trovare accenti dolenti nell’aria, cui segue un’esecuzione emotivamente tesa e trascinante dell’impervia cabaletta.

Riuscitissimo il Godvino di Riccardo Rados, dotato di buona presenza scenica e di una linea vocale suadente ed accattivante.

Altrettanto efficace anche Adriano Gramigni nel ruolo di Briano, che spicca per una linea vocale preziosa e musicale. Di grande spicco il suo intervento in quarto atto dove l’interprete sa trovare la giusta ieraticità e solennità d’accento.

Corretto e ben a fuoco Giovanni Dragano nel ruolo di Enrico.

Il Maestro Manlio Benzi offre una lettura della partitura particolarmente duttile adottando ritmi ora spediti, evocativi del carattere marziale della vicenda, ora delicati, specialmente negli ultimi due atti.

L’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini segue con attenzione il gesto del Maestro e risponde con precisione ed efficacia alle esigenze dell’autore; sempre adeguato, infine, il rapporto con il palcoscenico.

Il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto magistralmente dal Maestro Corrado Casati, è parso in grande spolvero e riesce a mantenere grande omogeneità sia quando viene collocato all’interno di più palchi nei diversi ordini sia quando trova la tradizionale collocazione sul palco. Di grande efficacia soprattutto il concertato di finale primo atto e la tempesta di quarto.

Allo spettacolo arride un buon successo di pubblico che, pur tuttavia, non esaurisce la sala.

Dopo le recita al Teatro Municipale di Piacenza, lo spettacolo prosegue la propria “tournée emiliana” al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena in data 28 e 30 gennaio. Uno spettacolo da non perdere!

[Marco Faverzani | Giorgio Panigati]


Aroldo
melodramma in quattro atti
librettodi Francesco Maria Piave
musica di Giuseppe Verdi
edizione Ricordi, Milano

Aroldo Luciano Ganci
Mina Roberta Mantegna
Egberto Vladimir Stoyanov
Briano Adriano Gramigni
Godvino Riccardo Rados
Enrico Giovanni Dragano

la voce di Mina Ermanna Montanari

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
direttore Manlio Benzi
maestro del coro Corrado Casati

drammaturgia e regia Emilio Sala Edoardo Sanchi

scene Giulia Bruschi
costumi Raffaella Giraldi e Elisa Serpilli
luci Nevio Cavina
movimenti scenici Isa Traversi
montaggio video e proiezioni Matteo Castiglioni

nuovo allestimento
coproduzioneTeatro Galli di Rimini, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Comunale di Modena “Pavarotti-Freni”, Teatro Municipale di Piacenza

Foto : Zani-Casadio