Rubriche 2021

Mascagni operettista: pregi e difetti di “Sì”

Pare impossibile! Scrissi Iris e mi trovai tra i piedi un’altra Giapponesina. Feci volare Lodoletta…e vidi per aria un altro uccello. Penso ad un’operetta…e me ne vedo un’altra sulla faccia…Basta: ho una speranza: l’operetta mia ha per titolo un semplice Sì, speriamo che quell’altra si intitoli No.

Le frecciate indirizzate da Pietro Mascagni nei confronti di Giacomo Puccini sono evidenti. In questa lettera, infatti, si lamenta delle strane coincidenze tra i temi delle sue opere e quelle del compositore toscano: “Madama Butterfly” segue di sei anni “Iris” con identica ambientazione nipponica, l’altro uccello invece è “La rondine” che fa da corrispettivo a “Lodoletta”. Per quel che riguarda il mondo dell’operetta, però, bisogna fare delle precisazioni.

Nel secondo decennio del ‘900 ogni progetto di Mascagni venne dettato dalla sperimentazione e dal disimpegno. È in quest’ottica che bisogna leggere la rappresentazione di “Sì”, operetta in tre atti messa in scena per la prima volta in assoluto al Teatro Quirino di Roma il 13 dicembre del 1919. Si tratta forse della composizione più trascurata del livornese, ma che merita in realtà un trattamento diverso. Dopo qualche pettegolezzo della stampa e il rifiuto di commentare l’idea di una possibile composizione di una operetta (definita senza mezzi termini dallo stesso Mascagni una “idea bislacca”), il lavoro proseguì in maniera piuttosto spedita.

Mentre Puccini lo sfiorò soltanto con “La rondine”, il genere operettistico non era una novità assoluta per Mascagni. Bisogna ricordare, infatti, che “Le maschere” vennero ridotte a questa versione su espressa autorizzazione del musicista. Si trattava di un vero e proprio divertimento, comunque un tentativo di spaziare tra i vari stili operistici. La svolta si ebbe dopo una proposta di Carlo Lombardo, librettista ed editore di operette: l’idea di Lombardo era quella di dar vita a un pastiche operettistico prendendo spunto dalle musiche meno famose di Mascagni. Quest’ultimo non fu per niente contento dell’ipotesi e anzi si irritò moltissimo, al punto da convincersi a tentare in prima persona un progetto completamente nuovo.

La trama di “Sì” è presto detta. Il libretto fu tratto da Lombardo da “La duchessa del Bal Tabarin”, operetta dello stesso librettista (in questo caso aveva utilizzato lo pseudonimo Leon Bard) e da “Majestät Mimi” di Bruno Granichstaedten. Nel lavoro mascagnano il Duca di Chablis vuole entrare in possesso di un’eredità molto invitante e per riuscirci viene costretto dallo zio a prendere moglie in tempi rapidi. Il matrimonio non fa però per lui e si accorda con il direttore delle Folies-Bergères per sposarsi con Sì, la principale ballerina del locale parigino, nota con questo nomignolo per non aver mai pronunciato la parola “no”.

Sì accetta di inscenare il matrimonio per tradire subito il duca con un amico, Cleo De Merode, ostacolando in questo modo il divorzio. Lo stesso duca ha però delle simpatie anche per sua cugina, Vera, la quale indaga su Sì con un abile travestimento da telegrafista: una volta scoperto che la ballerina non scherza più e si sta davvero innamorando dell’uomo, Vera conquista il cugino e Sì rimane sola e sconsolata. La prèmiere fu un grande successo, nonostante qualche cambiamento dell’ultim’ora che Mascagni fu costretto ad apportare sul palcoscenico.

Fatta eccezione per una versione in tedesco dell’operetta (Vienna 1925), “Sì” uscì molto presto dal repertorio lirico, anche se qualche riproposizione moderna c’è stata, come ad esempio quella del Teatro Poliziano di Montepulciano nel 1987. Tra l’altro il libretto di Lombardo fu usato da Mario Pasquale Costa nello stesso 1919 per un’altra operetta, “Il re di Chez Maxim”. La melodia e la sua intensità sono senza dubbio i tratti distintivi di questo lavoro di Mascagni: le pagine più interessanti sono la cosiddetta “romanza delle lettere” (Fogli vergati), oltre all’entrata di Sì (L’ummanità si cruccia) e alcuni duetti.

Non sono da meno il coro nuziale, il valzer triste (Seminavo la felicità) e il preludio del terzo atto (noto come “serenata della luna”): non mancano momenti squisitamente umoristici, in particolare il duetto dell’apparecchio telegrafico. Il compositore peccò forse di eccessivo nazionalismo, visto che si considerò una sorta di difensore della musica italiana contro l’invasione delle mode straniere, ma questa operetta merita altre occasioni di ascolto piuttosto che essere considerata “altra musica” di Mascagni. Nel duetto americano (Nuova York ci lancia sempre), infine, si evidenzia il sarcasmo del musicista nei confronti dei balli d’oltreoceano che in quel 1919 stavano spopolando.