Rubriche 2021

L’Attila di Verdi e l’estenuante alternanza tra i librettisti

Il 17 marzo del 1846 veniva rappresentato per la prima volta in assoluto al Teatro La Fenice di Venezia “Attila”, dramma lirico in un prologo e due atti di Giuseppe Verdi. Quando si parla di questo titolo, vale la pena approfondire uno degli aspetti più controversi di quella che viene considerata un’opera minore del compositore bussetano (secondo alcuni addirittura la più brutta). “Attila” è passato alla storia con il nome di Temistocle Solera associato al libretto, eppure non ci si può limitare tranquillamente a questa affermazione. Dopo aver concluso gli impegni relativi alla “Giovanna d’Arco”, Verdi pensò inizialmente a Francesco Maria Piave come librettista del nuovo lavoro.

Il musicista emiliano fu puntiglioso come non mai nelle sue lettere a Piave, descrivendo parecchie scene e gli effetti che avrebbe voluto realizzare con parole e note. Nonostante un contatto epistolario fitto e intenso, i tempi di realizzazione non furono affatto rapidi, anzi ci fu una pausa improvvisa. Verdi cominciò a capire che il veneziano non era la penna giusta per il dramma patriottico che aveva in mente e nell’estate del 1845 il giornale teatrale “Il Pirata” rese nota una indiscrezione:

Fr. M. Piave scriverà pel M° Verdi i libri della primavera e carnevale 1846, invece del Sig. Solera. In ricambio egli cede a Solera il libro (Attila) da musicarsi pel prossimo carnevale a Venezia dal suddetto Maestro.

Che cosa era successo di preciso? I biografi e i critici del compositore hanno sottolineato, tra le altre cose, la differenza determinante tra i due caratteri, cioè quello di Solera e quello di Piave. Il primo aveva fornito fino a quel momento quattro libretti a Verdi, mentre erano due quelli di Piave; per l’Attila c’era bisogno di un temperamento deciso e irruento, proprio come la musica del dramma lirico. Il “Cigno di Busseto” accettò anche il difetto più grande di Solera, vale a dire la scarsa continuità per quel che concerne il lavoro.

Il librettista ferrarese conduceva una vita disordinata, ma questo non impedì il passaggio di consegne. Un sussulto ci fu nel mese di agosto, quando Solera riuscì a completare l’intero lavoro, lasciando presagire una messa in scena di lì a poco. In realtà sarebbero passati altri sette mesi prima del momento decisivo. Il mese successivo Verdi era estremamente soddisfatto:

A giorni comincerò l’Attila per Venezia, che è un soggetto stupendo! La poesia è di Solera, e ne sono contento.

Come già anticipato, però, il librettista emiliano era un tipo bizzarro e non era capace di stare lontano dai guai.

A causa di una serie di traversie e dei creditori che lo perseguitavano senza tregua, fuggì in Spagna e rimase irreperibile proprio nella fase cruciale dell’Attila. Come se non bastasse, gli stessi creditori bussarono alla porta del compositore che fu costretto a saldare alcuni conti urgenti. La frattura era insanabile, ma la disponibilità di Piave fu nuovamente un’ancora di salvataggio. Gli scambi di lettere e le raccomandazioni ripresero a gran ritmo, il musicista bussetano capì che non esisteva rimedio contro l’indolenza di Solera e gli fece pesare il pagamento di una cambiale da 220 svanziche.

Lo stesso Solera rimase letteralmente sotto choc per la piega che avevano assunto le cose, sentimento ben espresso in una delle ultime lettere scambiate:

Mio Verdi, la tua lettera è stata un fulmine a ciel sereno per me: non posso negarti il mio indefinibile dolore nel vedere chiuso in parodia un lavoro, del quale osava compiacermi.

Nel gennaio del 1846 i versi erano ormai stati scritti da Piave e la musica era composta, ma per la prèmiere furono necessari altri due mesi a causa di un fastidioso reumatismo che colpì Verdi.

Il 17 marzo, finalmente, terminarono gli impedimenti e il pubblico milanese della Scala conobbe per la prima volta questo “Attila”. Nonostante un inconveniente tecnico (nel corso del finale del secondo atto furono spenti per errore i ceri con l’acqua che doveva simulare una leggera pioggia, diffondendo nel teatro fumi sgradevoli), la stampa e la gente accolsero con favore la novità, in particolare l’armonia, definita da più parti “ingegnosissima”, e la celebre scena del sole che sorge sulla Laguna Veneta, ideata e voluta con forza dallo stesso Verdi. A 170 anni di distanza si può ancora parlare di questo melodramma come di una delle tappe giovanili fondamentali per gli sviluppi della futura carriera.