Rubriche 2021

Fascismo e censura: l’opera di Malipiero che turbò Mussolini

Se non ci fosse la censura gli italiani se la farebbero da soli. Questa frase del regista Federico Fellini è perfetta per iniziare a parlare di un’opera lirica che oggi è stata dimenticata, ma che all’epoca della composizione e in quella immediatamente successiva provocò un dibattito infinito. Si tratta de “La favola del figlio cambiato”, tre atti in cinque quadri su musica del compositore veneziano Gian Francesco Malipiero, il cui libretto fu scritto niente meno che da Luigi Pirandello. La prima rappresentazione è datata 13 gennaio 1934, per la precisione al Landestheater di Braunschweig, mentre per la prèmiere italiana fu necessario attendere altri tre mesi con l’allestimento del Teatro Reale dell’Opera di Roma, l’attuale Teatro Costanzi.

Per Malipiero non si trattava della prima opera lirica: “La favola del figlio cambiato” era stata preceduta da altri cinque lavori e il libretto di Pirandello era la garanzia di successo e grande interesse. I personaggi di questa composizione sono davvero tanti: la storia è quella di una donna a cui alcune streghe hanno rubato il figlio, sostituendolo con un essere deforme. Una fattucchiera le fa sapere che il bimbo si trova in una reggia e che è meglio non cercarlo. Qualche anno dopo arriva nel villaggio della donna un principe, riconosciuto subito come il figlio rapito tanti anni prima, mentre l’essere deforme (diventato ormai il matto del villaggio) riesce a conquistare il trono in un incredibile scambio di identità.

Lo stile impiegato da Malipiero è serrato e incalzante, con i canti e i lamenti della madre che rappresentano i momenti principali di tutta l’opera. Come poteva una trama del genere infastidire i gerarchi fascisti? Già nel 1923 Benito Mussolini aveva assicurato a una delegazione composta da Franco Alfano, Renzo Bossi e Ildebrando Pizzetti di voler incentivare l’opera lirica, prendendo spunto dai teatri sperimentali di Luigi Pirandello e Anton Giulio Bragaglia. Allo stesso tempo, però, il capo del governo non poteva rinunciare alla censura e i teatri d’opera dovevano essere monitorati con la massima attenzione, in quanto si temeva che qualche lavoro potesse nascondere dei messaggi sovversivi.

Per “La favola del figlio cambiato” ci si affidò agli ottimi rapporti che lo stesso Pirandello aveva con il regime. Della censura si occupava il viceprefetto Leopoldo Zurlo, a capo di questo Ufficio dal 1931 al 1943. La storia del re e del matto del villaggio che si scambiano l’identità veniva considerata una sorta di invito a ribellarsi all’autorità e questo non poteva andar bene al fascismo. Censurare Pirandello sarebbe stato controproducente, dunque Mussolini invitò Zurlo a chiedere la modifica di alcuni passaggi del libretto. L’opera revisionata andò in giro per l’Europa, ma anche la censura nazista trovò altamente sovversivo e offensivo il contenuto del testo.

La composizione di Malipiero stava per tornare in Italia, ma a quel punto le critiche all’estero spinsero Mussolini a occuparsi personalmente della censura. La prima italiana si svolse, come già anticipato, a Roma, per la precisione il 24 marzo 1934. Mussolini fu presente e in base a quanto svelato da alcuni articoli e dalla polizia, la sua reazione non fu certo positiva. Alla fine del primo atto concesse un applauso alla musica e ai cantanti, ma poi il nervosismo e la disapprovazione ebbero la meglio. Gli altri spettatori furono influenzati dalle espressioni del duce, tanto che l’opera si concluse con fischi assordanti e proteste.

“La favola del figlio cambiato” venne rimossa dal cartellone e fu impossibile proporre nuove rappresentazioni nel nostro paese. Mussolini non riuscì a dimenticare la terribile serata romana neanche a cinque anni di distanza. In effetti, nel 1939 Malipiero chiese l’autorizzazione al regime per proporre l’opera in radio, ma il parere del dittatore fu negativo. Il lavoro venne ripreso solamente nel 1952 in occasione del Festival della Biennale di Venezia, in concomitanza con i 70 anni appena compiuti dal compositore. Va comunque sottolineato come in seguito a questa vicenda l’atteggiamento del musicista e del librettista siano cambiati profondamente.

Malipiero iniziò ad adeguarsi alle politiche culturali fasciste, proponendo opere incentrate sulle grandi figure della Roma Antica, tutte di ampio gradimento secondo il punto di vista di Mussolini, sempre ben intenzionato a costruire la “terza Roma”. Al contrario, Pirandello iniziò ad allontanarsi dal regime e già nell’ottobre del 1934 parlò della necessità di un teatro autonomo rispetto alla politica, parole molto forti ma contro cui il duce non ebbe la possibilità di scontrarsi, visto che si stava parlando del fresco Premio Nobel per la Letteratura, una sorta di intellettuale intoccabile. Non fu l’unico episodio di censura operistica, ma senza dubbio attirò l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica come poche altre.