Interviste 2020

Intervista a Tiziana Fabbricini

9 Giugno 2020. A trenta anni di distanza dalla memorabile Traviata scaligera, abbiamo il piacere e l’onore di intervistare Tiziana Fabbricini, soprano di fama internazionale.

Leggi tuttoSig.ra Fabbricini, in questi giorni è stata riproposta in TV la ripresa televisiva della storica Traviata della Scala del 1990: la produzione che l’ha consacrata alla ribalta internazionale. Cosa significa per lei rivedersi, rivivere dopo trenta anni quella serata storica e sentire ancora vibrante l’affetto di quanti l’hanno sempre ammirata?

Incominciando a rispondere alla sua prima domanda le direi (o dirò) che non ascoltavo quella Traviata da molti anni, risentirla mi ha fatto rivivere le stesse emozioni di allora; i molti messaggi di affetto e d’ammirazione mi hanno restituito una gioia che non provavo da molto tempo.

Parliamo di quella produzione: cosa ha significato creare la “sua” Violetta con il Maestro Muti e Liliana Cavani? Quali sono gli insegnamenti che da quel momento l’hanno accompagnata durante tutta la sua carriera? Traviata tornava sulle tavole del Piermarini dopo la contestata messinscena del 1964 e quella sera fu per lei la consacrazione alla fama internazionale. Quali sono state le emozioni e le paure di quella prima? E come sono cambiate la sua carriera e la sua vita dopo quelle recite? Oggi cambierebbe qualcosa della Tiziana di allora?


Avevo debuttato il ruolo di Violetta a soli 22 anni, in seguito ad un concorso ma l’audizione col Maestro Muti è stata la grande occasione della mia vita. Non potevo fallire! Il Maestro rimase ben impressionato e mi propose di studiarla. Lo feci con accanimento e pignoleria per un anno intero, rispettando i tempi musicali che lui mi suggeriva. Era intransigente, mi insegnava a cantare i recitativi senza fretta. Sottolineando le parole importanti. Sapeva esattamente come eseguire ogni battuta dell’opera. Non immaginavo che stesse pensando di rappresentarla alla Scala con un cast di giovani cantanti. Non potrò mai dimenticare il giorno in cui mi telefonò per dirmi “Lei canterà La Traviata con me alla Scala”! Sotto la spinta dell’entusiasmo le mie energie si moltiplicarono, durante i 40 giorni di prove sperimentai quanto fosse impegnativo il lavoro in un grande Teatro, direi estenuante.L’incontro con Liliana Cavani rimane uno dei più belli della mia carriera. Questa grande regista aveva il dono di guidarmi nella difficile interpretazione del personaggio senza soffocare le mie personali intenzioni anzi, le assecondava con fiducia in modo che io mi sentissi libera di esprimerle al meglio.Lo straordinario lavoro di Dante Ferretti, Gabriella Pescucci e Alberto Tirelli completarono la magia. Cosa cambierei della Tiziana di allora? Oggi avrei più consapevolezza del gesto scenico, che considero uno degli aspetti fondamentali dell’interpretazione.

Il ruolo di Violetta da quel momento l’ha accompagnata in numerose produzioni: quale ricorda, oltre a quella scaligera, con maggiore affetto e quale, al contrario, come quella dove si è sentita eventualmente meno a suo agio e per quali ragioni? 

E’ facile immaginare che quell’esperienza abbia illuminato per molto tempo il mio cammino artistico. Ho avuto l’opportunità di cantare il ruolo nei più grandi teatri del mondo, misurandomi con diverse chiavi di lettura del personaggio ma cercando, quando era possibile, i riferimenti musicali che avevo appreso alla Scala.Le recite che cantai a Tel Aviv sotto la direzione del Maestro Zubin Metha rimangono uno dei ricordi più belli che ho di quest’opera.Mi resta più difficile individuare quali sono quelle in cui mi sono sentita meno a mio agio, perché sono più di una.

Il rapporto con la Scala: dopo Traviata si ricordano le sue recite di Lucia di Lammermoor nella stagione 1991/1992 dove di sera in sera si è alternata, nel ruolo della protagonista, con Mariella Devia. Alcuni articoli della stampa parlarono, a proposito della sua esibizione, della presenza tra il pubblico di due fazioni, una pro e una contro: vuole raccontarci qualche retroscena? Ci può parlare del suo modo di intendere il personaggio di Lucia? 

Ho affrontato it ruolo di Lucia di Lammermoor a 27 anni. La musica di Donizetti soddisfa, in qualsiasi soprano, il desiderio di eseguire virtuosismi impegnativi e il canto tendenzialmente malinconico aderisce perfettamente ad uno degli aspetti più rilevanti del mio carattere. Lucia è, fin dall’inizio, una vittima sacrificale, una fanciulla che non può ribellarsi alla protervia degli uomini che vogliono dominare la sua vita. Il carattere virginale e remissivo del personaggio forse non si addice particolarmente al mio timbro vocale. Questo ha scatenato accese reazioni nel pubblico scaligero fra coloro che apprezzavano la mia interpretazione e quelli invece più sensibili al fascino della voce cosiddetta “pura”. Il loggione non era popolato solo da “anime belle”; alcuni mi riferirono che in teatro erano arrivati dei contestatori muniti di fischietti metallici. Dono di qualche collega invidiosa? Preferii non indagare.

Dopo pochi anni dalla Traviata scaligera si  è accosta anche a ruoli più drammatici, come Tosca che l’ha vista protagonista anche nella produzione kolossal al Cairo in occasione dei festeggiamenti della Regina di Giordania. Come ha affrontato questo personaggio così passionale e tormentato del catalogo pucciniano? Più in generale quali sono secondo la sua opinione le principali affinità e le principali differenze che ha riscontrato tra il repertorio verdiano e quello pucciniano? 

Fra le protagoniste pucciniane che mi hanno appassionato di più c’è Tosca! Dopo La Traviata è l’opera che ho cantato di più e con molta soddisfazione. Questo personaggio mi ha dato la possibilità di manifestare il lato più aggressivo della mia personalità. Detesto la volgarità! Ma non c’e dubbio che la veemenza e la drammaticità delle frasi musicali del secondo atto mi erano congeniali. Ho avuto la fortuna di debuttarla a Berlino sotto la guida di Carl Riha, considerato uno dei più grandi registi tedeschi e con Sherril Milnes nel ruolo di Scarpia. La lezione di Riha mi ha insegnato ad incanalare le mie energie interpretative, senza sprecare un gesto nè un accento. Un periodo entusiasmante. Ricordo con piacere anche la produzione del festival di Baalbek in Libano, per i festeggiamenti della regina di Giordania. L’allestimento scenico era situato all’interno di uno dei siti archeologici più belli del mondo.Amo interpretare personaggi caratterizzati dal contrasto fra la tensione drammatica e gli intimi slanci del cuore, sostenuti da melodie cangianti capaci di sottolineare gli aspetti psicologici e i sentimenti più nascosti. Questo mio bisogno trova totale appagamento nella musica di Giuseppe Verdi. Il declamato melodico dei recitativi è il tessuto connettivo dell’opera che permette all’interprete di collegarsi all’aria con maggior naturalezza favorendo l’azione scenica e guidando l’ascoltatore ad una miglior comprensione delle metamorfosi che subiscono i vari personaggi. Verdi, a parer mio, si differenzia da Puccini per la grande raffinatezza della melodia vocale che aderisce all’azione scenica con prodigiosa efficacia.

Nel 2001 viene scritturata dal Teatro Regio di Parma che le affidò, nell’ambito del Festival Verdi, il ruolo della Lady in nuova produzione di Macbeth con la direzione musicale del Maestro Pidò e curata per la messa in scena dal regista Pitoiset. Il pubblico mostrò in maniera vivace e turbolenta la propria disapprovazione per il progetto registico, ma vi furono delle perplessità anche nei confronti del versante musicale. Di questa produzione parla anche il musicologo Philip Gosset nel suo libro “Dive e maestri” ed elogiando la sua Lady, parla del caso del “re bemolle” che chiude la scena del sonnambulismo. Cosa accadde durante quella produzione? Ci descriva com’era quella Lady e per quali ragioni ritiene che le venne fatta subentrare la cantante inizialmente prevista per il secondo cast.

Da sempre la recitazione mi affascina quanto il canto. Per questa ragione ho amato Violetta e forse ancor più la Lady! Ricordando la produzione del Macbeth al festival verdiano di Parma devo dire che la trasposizione temporale del dramma realizzata da Dominique Pitoiset disorientò il pubblico parmigiano solitamente propenso ad accettare regie che rispettano la tradizione. L’ambientazione storica calava l’opera in un’atmosfera cupa, da seconda guerra mondiale, sviluppava gli aspetti psicologici dei protagonisti e delle loro allucinazioni che parevano subire gli influssi altrettanto folli di una society tormentata dalla guerra e dalla mancanza di speranza nel futuro. Una lettura complessa che mi attraeva come mi attrae l’esplorazione dell’inconscio, l’intesa con Pitoiset fu splendida.La questione del RE bemolle è semplice. In quel periodo alla fine dell’opera mi sentivo un po’ stanca e quell’acuto finale non lo cantavo più con facilità, perciò decidemmo di non eseguirlo. La produzione proponeva la prima esecuzione della versione di Parigi del 1865 in edizione critica, che si riduceva a piccolissimi cambiamenti del testo e poco più. E’ possibile che il Maestro Pidó non se la sentisse di mettere l’oppure a quel finale, le ragioni per le quali venne fatta subentrare la cantante prevista per le seconde recite sono sgradevoli e preferisco non ricordarle! Le mie recite ebbero comunque una buona risposta del pubblico.

Il rapporto con la Giovane Scuola e il Novecento: Mascagni, Leoncavallo, Cilea, Poulenc, Britten e Menotti. Possiamo considerare l’incontro con questi autori come il carattere distintivo di una certa parte della su carriera? Ci sono tratti vocali ed interpretativi che accomunano questi autori e che ha considerato particolarmente confacenti alla sua personalità di artista nel momento storico in cui li ha affrontati?

Come Lei avrà capito per me studiare un’opera significa dedicare tempo all’interpretazione e allo sviluppo psicologico del personaggio al pari del tempo che dedico alla musica. Per questo motivo, ad un certo punto della carriera non ho esitato ad accettare la proposta di cimentarmi in alcuni ruoli del ‘900 che ritenevo adatti alla mia personalità artistica e vocale. La libertà e la modernità con la quale ho potuto esprimermi in opere come “La voce umana” di Poulenc, “Il giro di vite” di Britten o “La medium” di Menotti mi ha permesso di cantare senza porre limiti alla fantasia. Non voglio dire che musicalmente siano di facile esecuzione, tutt’altro! però non c’è dubbio che per la buona riuscita di questi ruoli la cantante debba necessariamente essere un’attrice, pena il mancato successo dell’opera. 

Nel 2016 il Teatro Coccia di Novara le offre un debutto in un’opera in prima esecuzione assoluta: “La Rivale” di Marco Taralli, composizione che ruota attorno al mito di Maria Callas. Come è nata questa esperienza? Possiamo dire che idealmente è un cerchio che si chiude dopo il debutto nella famosa Traviata scaligera e dopo la quale qualcuno volle ravvisare un raffronto rispetto al famoso soprano greco? 

Nel 2012 il Maestro e compositore Marco Taralli aveva composto la sua prima opera lirica intitolata “Nur“. Chiamarono me per cantarla al festival di Martina Franca. La musica di Taralli è, per nostra fortuna, melodica e molto personale, il suo stile è riconoscibile. Una qualità rara. Questo lo rende, a parer mio, un compositore molto interessante. Nel 2016 il teatro Coccia di Novara gli commissionò una nuova opera nella quale io sarei stata l’interprete principale. Il Maestro Taralli desiderava cimentarsi con un lavoro musicale di carattere buffo e siccome in quell’anno si celebrava il trentesimo anniversario della scomparsa di Maria Callas, decisero di affidare la realizzazione di un racconto sull’argomento ad Emmanuel Schmitt, autore teatrale di fama internazionale che scrisse una storia divertente e dissacrante, ricca di aneddoti sul mondo della lirica. La musica di Taralli aderiva perfettamente alla gustosa vicenda della sventurata rivale di Maria Callas, rendendo lo spettacolo scorrevole e privo di noia. Fu un successo! Si fecero dei commenti maliziosi fra me e la Callas, fra la Callas e la Tebaldi, ma nulla di tutto ciò era nelle intenzioni degli autori e tantomeno nelle mie.La Rivale conclude il ciclo della mia carriera perché è l’ultima opera che ho cantato(con una replica nel 2018 a Budapest) e mi rende soddisfatta del percorso musicale intrapreso con Verdi, Donizetti, Rossini, passando poi ai veristi e terminando con i contemporanei.

Tiziana Fabbricini oggi: nella veste di insegnante di canto, quali ritiene siano i caratteri peculiari delle nuove generazioni di canto? Basandosi sul suo vissuto e sulle sue esperienze, quali consigli si sentirebbe di indicare ad un giovane che si affaccia alla ribalta del palcoscenico?

Oggi mi dedico all’insegnamento con passione. E’ difficile far capire ai ragazzi quanta dedizione e quanto sacrificio richiede lo studio del canto, specialmente quando sono molto giovani. Mi capita di trovare studenti con buona musicalità ma con una cattiva scuola di canto. Sono perciò costretta a correggere difetti abituali duri a morire. Questo richiede costanza e forza d’animo. I nostri Conservatori sono pieni di studenti orientali che provengono da una cultura molto lontana, non conoscono la lingua e conoscono poco o nulla del melodramma. E’ un lavoro decisamente impegnativo. Avremmo bisogno di più allievi italiani.

Su un suo fan club su Facebook leggiamo: “uno dei più grandi soprano del dopoguerra, ingiustamente attaccata da una stampa invidiosa ed incompetente, che dopo un clamoroso successo con Traviata al Teatro alla Scala di Milano e in tutti i più importanti del mondo, è stata piano piano messa da parte. Ma è attiva e i suoi successi ancora importanti.” Se la sente di commentare questa affermazione? Rispecchia il vero? Vuole togliersi qualche sassolino dalla scarpa?

Non leggo mai ciò che scrivono sul fan club. A volte mi riportano alcuni commenti pieni di ammirazione che naturalmente mi fanno piacere. Commentando l’affermazione di cui Lei mi parla posso dire con convinzione che se alcuni personaggi del mondo del teatro avessero compreso meglio le mie possibilità vocali e si fossero comportati con meno superficialità e meno pressione io avrei potuto offrire molto di più al pubblico dell’opera! Ma per togliermi qualche sasso dalle scarpe, come Lei comprende, dovrei dire cose spiacevoli e fare magari anche dei nomi. Non intendo cedere a questa tentazione.