Spettacoli

Giulio Cesare – Teatro Municipale, Piacenza

Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel al Teatro Municipale di Piacenza. 

“[…]Però lei nobilmente
cercò la morte, e della spada non ebbe
la paura che hanno le donne, e non riparò
con la flotta su spiagge nascoste;
con volto sereno osò guardare
la reggia distrutta e tenere in mano
i serpenti feroci e accogliere nel suo corpo
il nero veleno, più fiera
per avere deciso la morte,
così da togliere alle navi crudeli
di portarla da privata, lei, donna
non umile, nel superbo trionfo”

Orazio nelle sue Odi celebra il “superbo trionfo” della morte di Cleopatra, un episodio che ha affascinato da sempre artisti, pittori e letterati. Georg Friedrich Händel invece, nel suo Giulio Cesare del 1724, decide di arrivare a raccontare la vicenda dell’ultima sovrana tolemaica solo fino alla sua unione con Giulio Cesare. Il nuovo allestimento visto a Piacenza è frutto di una ampia coproduzione fra il Municipale e il Teatro Alighieri di Ravenna, il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, il Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia, il Teatro del Giglio di Lucca, e la Fondazione Haydn di Bolzano e Trento. Sul nostro sito potete trovare la recensione di quanto già visto a Modena (qui). La regista Chiara Muti, con lo scenografo Alessandro Camera, ci accompagnano in un mondo fantastico e atemporale dove confluiscono numerose suggestioni letterarie e artistiche. Una colossale maschera dorata domina la scena, quasi fosse un grande reperto archeologico affiorante dalla sabbia. La testa dorata si divide, a volte, in tante parti a specchio che disegnano ambienti diversi e assicurano un continuo mutare di prospettiva. Nello sfondo, su percorribili, vediamo silhouette di soldati unitamente a quelle delle tre parche che incombono spesso sulla scena. L’aspetto che abbiamo apprezzato di più di questo lavoro è il suo sapersi muovere con disinvoltura fra epoche e stili: a volte antico Egitto a volte il Settecentesco di Händel, spesso con un registro comico e scanzonato  soprattutto quando compare sul palco Tolomeo, ma che può divenire anche serio e tragico. Una commistione sempre credibile e piacevole, un fluire di mondi che risulta quasi spiazzante quando, mentre Cleopatra intona la sua meravigliosa “V’adoro Pupille”, ci ritroviamo nel mezzo del shakespearianoA Midsummer Night’s Dream”. Seguono questo interessante viaggio fra i secoli i costumi di Tommaso Lagattolla: pepli classici, abiti dell’antico Egitto, costumi vicini alla moda del Settecento e anche abiti contemporanei. Evocative le luci radenti di Vincent Longuemare che ben risaltano sul fondale nero. 

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Raffaele Pe, Marie Lys e Clemente Antonio Daliotti

La buona riuscita dello spettacolo, sotto il piano musicale, è assicurata dalla bella prova offerta da Ottavio Dantone a capo della “sua” Accademia Bizantina, ensemble storicamente informato e tra i più acclamati in questo repertorio. Dantone, impegnato come da tradizione al clavicembalo, oltre che alla direzione della pregevole compagine strumentale, interpreta questo meraviglioso capolavoro händeliano prediligendo tinte di raffinata ricercatezza e ottenendo dalla buca un suono terso e rotondo. Apprezzabili sono, inoltre, le soluzioni ritmiche adottate, coerenti con la valenza teatrale di ogni singolo momento. Efficaci del pari risultano, dunque, i momenti più animati come quelli segnati da maggior abbandono. Nella esecuzione vengono praticati diversi tagli, probabilmente per alleggerire la durata complessiva dello spettacolo, e il secondo atto interrotto arbitrariamente poco dopo la metà, ma ciò nonostante l’unitarietà del componimento sembra non risentirne. Valido e considerevole, infine, l’apporto che Dantone riesce ad assicurare al palcoscenico dove si esibisce una compagnia di canto di esperti barocchisti.

Nel ruolo del titolo Raffaele Pe, esperto conoscitore di questo repertorio. L’artista mostra una consapevole perizia stilistica, particolarmente evidente nella disinvoltura con cui passa dai brani più elegiaci a quelli di maggior furore. Nella sua prova si apprezzano, dunque, il volume e la proiezione della linea, oltre alla intensità e al cesello del fraseggio. Di grande suggestione, poi, è l’esecuzione dell’aria “Aure, deh, per pietà!”, pennellata con dolcissime messe di voce. Ottimo l’interprete, incisivo nell’accento come nelle movenze.

Al suo fianco trionfa, meritatamente, la Cleopatra di Marie Lys, dalla vocalità limpida e squisitamente timbrata. La morbidezza e la freschezza del mezzo consentono all’artista di esibire il legato necessario per sottolineare il sensuale abbandono delle pagine seduttive e l’intimo struggimento delle arie patetiche. Notevole, inoltre, la facilità con cui vengono affrontate le agilità, come nella temibile “Da tempeste il legno infranto”, eseguita con vorticosa souplesse vocale ed impreziosita da alcune, timbratissime, volatine al registro sovracuto. Da sottolineare, infine, l’aggraziata eleganza della presenza scenica.

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Federico Fiorio

Carismatico il Tolomeo di Filippo Mineccia. Una interpretazione impeccabile, a tratti volutamente sopra le righe, di questo sovrano caratterizzato al meglio nel suo essere in costante e precario equilibrio tra follia e isteria. Una visione del personaggio che viene rafforzata da una prova vocale definita con l’ampiezza e la naturale proiezione dello strumento. Pregevole, inoltre, è la capacità con cui l’artista sembra  sfogare l’emissione verso un realismo espressivo di sicuro impatto teatrale.

Delphine Galou, grazie ad una presenza scenica di diafana compostezza, sottolinea al meglio il lancinante dolore di Cornelia. Una prova di indubbia efficacia grazie, tra l’altro, alla veridicità e alla incisività dell’accento e del fraseggio musicale.

La vocalità cristallina di Federico Fiorio restituisce al meglio il giovanile smarrimento  del personaggio di Sesto, costretto anzitempo a scendere in campo per vendicare la morte del padre.  Una prestazione di assoluto valore che brilla, in particolare, per la elegante e appassionata esecuzione di “Cara speme, questo core”, ricamata con effetti chiaroscurali degni di nota.

Una menzione d’onore merita Davide Giangregorio che presta ad Achilla il velluto di una linea sonora e ben organizzata. Lo smalto di una emissione ben proiettata favorisce l’ottima esecuzione della sua aria in terzo atto.

Completano la locandina il Nireno dalla vocalità morbida e ben tornita di Andrea Gavagnin e il Curio mercuriale di Clemente Antonio Daliotti.

Ottima la partecipazione di pubblico che non perde l’occasione, durante la recita, di premiare con calorosi applausi alcuni tra i più noti brani solistici dell’opera. Al termine dello spettacolo si registra una accoglienza trionfale per tutto il cast cui segue l’esecuzione del finale con tutti gli artisti schierati in proscenio.

GIULIO CESARE
Dramma per musica in tre atti
Libretto di Nicola Francesco Haym
Musica di Georg Friedrich Händel

Giulio Cesare Raffaele Pe
Cleopatra Marie Lys
Tolomeo Filippo Mineccia
Cornelia Delphine Galou
Sesto Federico Fiorio
Achilla Davide Giangregorio
Nireno Andrea Gavagnin
Curio Clemente Antonio Daliotti

Accademia Bizantina
Direttore al clavicembalo Ottavio Dantone
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Tommaso Lagattolla
Luci Vincent Longuemare

Foto: Zani – Casadio