Rigoletto (Trilogia popolare) – Teatro Municipale, Piacenza
Un grande progetto per il Teatro Municipale di Piacenza.
Non è nota l’origine dell’espressione “Trilogia popolare”, il modo con cui usualmente si definiscono tre capolavori verdiani, composti a stretto giro di tempo: Rigoletto, Il trovatore e La traviata. Opere amatissime, note a tutti, popolari, appunto, scritte fra il 1850 ed il 1853, anni cruciali per un paese che stava sognando l’unità. Se Abraham Lincoln sosteneva che: “Tre cose formano una nazione: la sua terra, il suo popolo, e le sue leggi” noi aggiungiamo che per l’Italia c’è stata anche la musica di Giuseppe Verdi ed in particolare quella di questa sua trilogia, non pensata come progetto unitario dall’autore ma avvertita come tale, fin da subito, dal sentimento di un popolo. Proporre le tre opere in una sola produzione ed eseguirle tutte nel giro di pochi giorni sembrava una impresa impossibile che invece è stata vinta dalla sempre intelligente e coraggiosa Cristina Ferrari. Il Direttore Artistico della Fondazione Teatri di Piacenza ha regalato alla città emiliana un piccolo sogno verdiano il cui eco ha richiamato melomani da tutto il nord Italia decretando sei serate praticamente sold out.

Per un progetto così ambizioso ovviamente ci dovevano essere piccoli compromessi a partire, ad esempio, dall’impostazione scenica. L’idea del regista Roberto Catalano e della scenografa Mariana Moreira è semplice, realizzata con pochi mezzi ma assolutamente efficace. Le tre opere sono accomunate da una stessa scena: un fondo bianco, una parete di un palazzo, che va progressivamente sporcandosi di una materia nera. Quest’ultima simboleggia la maledizione scagliata da Monterone in Rigoletto, che aleggia poi sulla tragica e cupa vicenda di Trovatore ed infine viene placata e purificata dal sacrificio di Violetta. Una buona intuizione che permette, insieme a pochi elementi scenici, e qualche fondale nero, di creare uno spettacolo gradevole capace di aprire un dialogo fra le tre opere, quasi un racconto parallelo. Fondamentale è l’intervento di Marco Caudera, valido performer ma anche curatore dei movimenti coreografici, che appare nelle tre produzioni portando in scena un personaggio oscuro, con un lungo abito nero, una sorta di inquietante materializzazione della maledizione, una interpretazione carismatica ed affascinante. In Rigoletto le luci di Silvia Vacca tendono a colori chiari e rossi mentre i costumi di Veronica Pattuelli evocano con grazia ed una buona inventiva la moda del Cinquecento. Se vogliamo, il limite di questo progetto risiede nel fatto che il racconto è pensato per funzionare sulle tre opere, sviluppandosi progressivamente e quindi chi non assiste a tutta la trilogia inevitabilmente rimane spiazzato e non può capire correttamente cosa accade in scena. Ovviamente questo è un problema che si pone solo relativamente con la prima produzione che riesce a raccontare la genesi di questa maledizione e che di fatto si limita a lasciare un finale aperto dove predomina il male.
Alla presentazione del progetto, nel gennaio scorso, aveva suscitato una forte curiosità la presenza, tra i protagonisti, di due artisti di assoluto rilievo come Luca Salsi e Francesco Meli.
Due nomi di grande richiamo impegnati, per altro, in tutti i titoli della trilogia (solo in un secondo momento, poi, giungerà notizia che la partecipazione di Salsi avrebbe escluso la produzione de Il trovatore).

Venendo alla serata inaugurale di questo progetto, possiamo affermare, senza ombra di dubbio, di aver assistito ad una recita di primissimo livello.
Luca Salsi porta sul palcoscenico piacentino la sua acclamata interpretazione del famoso buffone verdiano. Il baritono parmigiano affronta questo ruolo “monstre” con consapevolezza stilistica, forte di una organizzazione vocale salda e compatta. La scrittura viene espugnata con facilità e duttilità, senza risparmiarsi neppure per un istante. Oltre alla bravura esecutiva, Salsi colpisce, anche e soprattutto, per la naturalezza con cui riesce a piegare l’emissione alla ricerca di una espressività coinvolgente e viscerale. Non una espressività fine a se stessa, bene inteso, ma uno scavo continuo nell’accento e nella parola, dai quali prende forma il personaggio, costruito con vigorosa teatralità. Un esempio preclaro dell’uso della parola scenica, una profusione di colori e sfumature, per dare vita ad un Rigoletto tutto introspettivo, un uomo racchiuso nelle proprie paure ed insicurezze, un padre minato dal sospetto e vittima ineluttabile del destino. Si sprecano gli esempi per comprendere la statura di questa prova, ma citiamo, per tutti, lo straniante “Pari siamo”, il virulento attacco di “Cortigiani” e il rabbioso incipit, quasi sussurrato, della “Vendetta”. Una prestazione maiuscola salutata al termine da una interminabile ovazione del pubblico.
Particolarmente atteso era il ritorno, nel ruolo del Duca di Mantova, di Francesco Meli che conferma, anche in questa occasione, la preziosità e la bellezza di una linea dal colore suadente e dal timbro cremoso. Nella prova del tenore genovese ritroviamo tutte le derivazioni della sua pregressa frequentazione del repertorio belcantista: basterebbe, su tutti, l’esecuzione dell’aria “Parmi veder le lagrime”, condotta con un legato da manuale. La musicalità e il controllo dell’emissione si combinano, inoltre, con la nobiltà e la raffinatezza dell’accento. Il fraseggio, condotto a regola d’arte attraverso un utilizzo particolarmente suggestivo dei chiaroscuri, diviene il mezzo per dare vita ad un personaggio appassionato e palpitante. Una prova complessivamente di rilievo, di certo non compromessa da un piccolo empasse nella ripetizione fuori scena de “La donna è mobile”.
A dare voce a Gilda, in luogo della prevista Maria Novella Malfatti, viene chiamata Ruth Iniesta, che già ha avuto modo di interpretare questo ruolo sui più grandi palcoscenici del mondo. Il soprano possiede una vocalità ben impostata e che si fa apprezzare per limpidezza ed omogeneità. L’esecuzione viene sciorinata con ottima souplesse, ottemperando a tutte le richieste della partitura. Particolarmente centrato anche il versante interpretativo del personaggio, tratteggiato come una donna consapevole e volitiva, piuttosto che una ragazza ingenua e sprovveduta. Una prova a tutto tondo, premiata al termine dai sinceri applausi del pubblico.
Adolfo Corrado si ritaglia un meritato successo dando vita ad uno Sparafucile misterioso e tenebroso. In questo è aiutato da un mezzo ampio e naturalmente proiettato, ma anche da una presenza scenica autorevole e disinvolta.
Anche Irene Savignano convince con la sua interpretazione di una Maddalena voluttuosa e sensuale. Un personaggio creato, tra l’altro, attraverso una linea dal peculiare colore screziato e vibrante nei centri.
Note positive per Omar Cepparolli, il Conte di Monterone, dalla vocalità vellutata e sonora. La credibilità del personaggio viene inoltre assicurata dalla alterigia e dal carisma della presenza scenica.

Davvero ottima, nel canto come nelle movenze, la musicalissima Giovanna di Ester Ferraro.
Il terzetto dei cortigiani comprende l’incisivo Marullo di Nicola Zambon, l’efficace Matteo Borsa di Simone Fenotti e il perfettamente riuscito Conte di Ceprano di Davide Maria Sabatino.
Completano la locandina, con solida professionalità, Giulia Alletto, nel duplice ruolo della Contessa di Ceprano e del Paggio, e Lorenzo Sivelli, un usciere di corte.
Sul podio, Francesco Lanzillotta, opta per una lettura integrale dello spartito (epurato dalle puntature ed interpolazioni di certa tradizione esecutiva), con il dichiarato intento di fornire una rappresentazione il più fedele possibile al dettato verdiano. Ne deriva, quindi, un approccio piuttosto asciutto alla partitura e votato, attraverso l’adozione di tempi incalzanti, ad una costante immediatezza narrativa. La scelta dei colori e delle dinamiche appare funzionale alla atmosfera corrusca del racconto, senza però tralasciare l’afflato romantico delle pagine più liriche (su tutte quelle riservate al Duca). Una prova che sa ricercare, ed ottenere, il giusto impeto drammaturgico e che, nella sua essenziale linearità, sa essere in sintonia con il progetto registico di Catalano. Se da una parte sembrano venire ben assimilate dai solisti, le intenzioni di Lanzillotta non trovano, purtroppo, altrettanta soddisfazione nella prova della Orchestra Sinfonica di Milano. Spiace, infatti, constatare come diverse imprecisioni della compagine strumentale abbiano poi portato, inevitabilmente, ad alcuni scollamenti con il palco, specie nei primi due atti. Le cose migliorano, poi, nel terzo atto dove possiamo riferire di maggiore compattezza e duttilità sonora.
Professionale e corretto, sotto la guida di Corrado Casati, l’apporto del Coro del Teatro Muncipale di Piacenza.
Pubblico delle grandi occasioni che, dopo aver accolto con calorosi consensi i brani più conosciuti dell’opera, scatena il proprio entusiasmo al termine all’indirizzo di tutti gli artisti e, in particolare, di Salsi e Meli.
TRILOGIA POPOLARE: RIGOLETTO
Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova Francesco Meli
Rigoletto Luca Salsi
Gilda Ruth Iniesta
Sparafucile Adolfo Corrado
Maddalena Irene Savignano
Giovanna Ester Ferraro
Il Conte di Monterone Omar Cepparolli
Marullo Nicola Zambon
Matteo Borsa Simone Fenotti
Il conte di Ceprano Davide Maria Sabatino
La contessa di Ceprano / Un paggio Giulia Alletto
Un usciere di corte Lorenzo Sivelli
Orchestra Sinfonica di Milano
Direttore Francesco Lanzillotta
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Roberto Catalano
Scene Mariana Moreira
Costumi Veronica Pattuelli
Luci Silvia Vacca
Movimenti coreografici Marco Caudera
Foto: Maria Parmigiani – Gianni Cravedi
