Spettacoli

Picture a Day Like This – Teatro San Carlo, Napoli

Vedere un teatro pieno e un pubblico attento a una rappresentazione di un’opera contemporanea non sembra più una rarità. A pochi mesi dal successo alla Scala de Il nome della rosa di Francesco Filidei, è il San Carlo di Napoli a ospitare un titolo recente (prima rappresentazione nel 2023) di un compositore contemporaneo di alto profilo. In teatro non si respira l’atmosfera di tristezza e pigrizia che Gianandrea Gavazzeni descriveva negli anni Cinquanta (“stiamo provando l’opera nuova”). Non sembra esserci neanche il senso di dovere culturale che a volte ha spinto il pubblico a visitare le prime rappresentazioni di opere contemporanee. C’è invece, in partenza, curiosità. L’esito finale non può essere definito un trionfo, ma nemmeno un insuccesso. Per quanto l’assenza dell’intervallo renda più difficile misurare gli umori del pubblico, si può azzardare questo bilancio: l’ostacolo rappresentato dal linguaggio post-tonale non è ancora abbattuto, ma gli spettatori si sono immersi nella “tinta” della partitura (l’uso del termine verdiano è autorizzato da un riferimento nell’intervista a Benjamin riportata nel programma di sala), hanno preso sul serio le tematiche affrontate nell’opera e a luci di nuovo accese cercavano di trovare risposta alle domande lasciate aperte dall’ultima scena.

Picture a Day Like This è la quarta opera di George Benjamin; come le tre precedenti, è frutto della collaborazione con il drammaturgo Martin Crimp. Ha debuttato due anni fa al festival di Aix en Provence e arriva in Italia dopo essere stata rappresentata a Londra e Parigi. Si tratta di un’opera snella, con un cast di cinque cantanti, un’orchestra di dimensioni cameristiche e una durata di circa settantacinque minuti.

Al centro della vicenda c’è una donna che ha appena perso il figlio bambino. Nelle prime battute, mentre l’orchestra tace, racconta di essersi rifiutata di farlo cremare e di aver invocato il suo ritorno in vita. Una delle donne presenti al funerale le ha allora assegnato un compito (una missione, in termini narratologici): entro la fine della giornata dovrà strappare un bottone dalla manica di una persona che non ha mai sperimentato il dolore. Fra le fonti e i modelli di questa situazione, Crimp cita un passo del Romanzo di Alessandro, un’opera di narrativa popolare onnipresente in Asia ed Europa dall’antichità alla prima età moderna, in cui Alessandro Magno, in punto di morte, scrive alla madre di invitare al suo funerale solo persone che non abbiano mai sofferto; la madre segue le istruzioni, e al funerale non si presenta nessuno.

Nella lista consegnata alla protagonista ci sono cinque personaggi o coppie di personaggi a cui chiedere il bottone: due amanti, un artigiano che fabbrica bottoni, una musicista, un collezionista d’arte e una donna misteriosa di nome Zabelle.

La successione delle varie scene non è un’ascesa, ma un percorso fra varie forme dell’alienazione e dell’infelicità umane. Gli amanti sembrano felici, ma il loro idillio si rompe proprio a causa delle domande della protagonista, che portano alla luce i numerosi tradimenti dell’uomo. La coppia quindi si rompe, e l’uomo rimane solo in scena con la protagonista, tentando di sedurla e convertirla alla sua narcisistica visione dell’amore. Disgustata, la donna passa al secondo personaggio in lista, l’artigiano. Questi si dichiara “estremamente felice”, ma ben presto emerge che la sua felicità è “dose-related”: dopo aver perso il lavoro ha più volte provato senza successo a uccidersi e sopravvive nello stordimento concessogli dalla droga. La compositrice, accompagnata da un molesto assistente, sembra all’apice del successo, ma alla fine rivela alla protagonista di sentirsi banale e inutile. Il collezionista è un uomo solo e malinconico nonostante le sue tante attività.

Quasi scoraggiata, la protagonista incontra quindi Zabelle, felice nel suo giardino. La sintonia fra le due donne sembra perfetta, ma anche in questo caso la domanda sulla felicità a rivelare la cruda verità. Zabelle racconta una terribile violenza di cui è stata vittima, forse un riferimento al genocidio armeno. Lei stessa è felice “solo perché non esisto”, in una variante relativamente più ottimistica del leopardiano coro dei morti nello studio di Federico Ruysch, la cui non-esistenza era “lieta no ma sicura/dall’antico dolore”. Tuttavia, il finale lascia aperto uno spiraglio inaspettato: prima di scomparire, Zabelle dona un bottone alla protagonista, che si ritrova al punto di partenza ma ha in mano l’oggetto della sua ricerca.

L’opera, le cui fonti provengono dal folklore e dalla mitologia di varie culture, ha la forma e l’atmosfera dell’apologo e della fiaba, come la prima collaborazione fra Benjamin e Crimp, Into the Little Hill (2006). La struttura per episodi, la tematica fiabesca e la centralità del personaggio femminile possono far pensare a un capolavoro del teatro musicale novecentesco come Il castello di Barbablù di Bartók. A differenza di Bartók, tuttavia, Benjamin si affida, qui come nel titolo precedente, a un’orchestra cameristica, in cui prevalgono i fiati (clarinetti, trombe in sordina) mentre gli archi sono relegati per lo più del tempo a un ruolo secondario. La sonorità molto particolare che ne risulta, insieme a un linguaggio musicale improntato a dissonanza per così dire non contundente, determinano la tinta di Picture a Day Like This.

Lo spettacolo che arriva al San Carlo è ormai rodato, dopo le riprese degli ultimi due anni. La regia e i costumi sono di Daniel Jeanneteau e Marie-Christine Soma, che vanno annoverati fra gli autori dell’opera allo stesso titolo di Benjamin e Crimp. Nella messinscena, il basso tasso di drammaticità dell’opera si traduce in ambienti spogli e astratti. I movimenti sono pochi e significativi. In tutti gli episodi tranne l’ultimo, un personaggio o una coppia di personaggi occupano il centro della scena e cantano per lo più da fermi. Fa eccezione l’incontro tra Zabelle e la protagonista, che si fronteggiano in posizione simmetrica, con al centro il breve spazio vuoto che le separa e non viene mai completamente colmato se non nell’attimo della consegna del bottone. Alcuni oggetti simbolici caratterizzano le varie scene: la gabbia in cui vive l’artigiano alienato, il letto degli amanti, il tapis-roulant su cui camminano rapidamente la compositrice e il suo assistente, e si arresta quando la compositrice comincia a esprimere le proprie insicurezze, il giardino di luci e ombre di Zabelle.

Il cast è invece parzialmente rinnovato, ma del tutto adeguato. Le corrispondenze evidenti già dal libretto fra personaggi di diverse scene sono rese assegnando più parti agli stessi cantanti. L’artigiano, forse la più efficace delle figure incontrate dalla protagonista, è anche collezionista, la sua versione autocosciente e un po’ scialba; i due ruoli sono interpretati con grande musicalità e ricchezza di sfumature, dal baritono John Brancy. L’amante/compositrice è il soprano leggero Marion Tassou, l’amante/assistente il controtenore Cameron Shahbazi, uno dei reduci del festival di Aix en Provence, eccellente sia sul piano vocale sia su quello scenico.

Avendo Benjamin scritto per cantanti precisi, subentrare in un ruolo di primo piano non è impresa facile. La protagonista Xenia Puskarz Thomas deve gestire la pesante eredità di Marianne Crébassa, creatrice del ruolo, caratterizzato da uno stile prevalentemente declamato e dall’insistenza sul registro grave del mezzosoprano. Queste difficoltà sono superate con una grande interpretazione e uno sfoggio di grande musicalità e sensibilità teatrale. Dal cast originario proviene invece Anna Prohaska, che si muove con disinvoltura e straordinarie doti vocali nel ruolo per lei ormai quasi abituale di Zabelle, il più impegnativo dell’opera.

Anche la direttrice Corinne Niemeyer aveva già diretto più volte Picture a Day Like This, dopo l’esordio diretto dal compositore. Sotto la sua direzione esperta, l’orchestra del Teatro San Carlo, in formato ridotto, offre una prova impeccabile, che non lascia rimpiangere la Mahler Chamber Orchestra con cui aveva lavorato Benjamin.

Le qualità musicali e poetiche e l’economicità della produzione permetteranno a Picture a Day Like This di continuare per diversi anni a venire il suo viaggio nei principali teatri europei, anche se probabilmente non di minacciare la posizione dominante di Written on Skin nel repertorio di Benjamin.

Picture a Day Like This
Opera in un atto su testo per musica di Martin Crimp
Musica di George Benjamin

Woman Xenia Puskarz Thomas
Zabelle Anna Prohaska
Lover 1 / Composer Marion Tassou
Lover 2 / Composer’s Assistant Cameron Shahabazi
Artisan / Collector John Brancy
Attrici e Attore Lisa Grandmottet, Eulalie Rambaud, Matthieu Baquey

Direttore Corinne Niemeyer
Regia, Scene, Drammaturgia e Luci Daniel Jeanneteau e Marie-Christine Soma
Costumi Marie La Rocca
Video Hicham Berrada
ripreso da Mattéo Reydant
Assistente alla Regia Sérine Mahfoud
Assistente ai Costumi Peggy Sturm
Assistente Light Designer Laurent Irsuti

Performed by arrangement with Faber Music, London

Foto di Luciano Romano