Trittico Lander/Kylián/Béjart – Teatro alla Scala, Milano
L’ultimo titolo della stagione 2025 del balletto scaligero è un lavoro di grande qualità estetica, tecnica e musicale che riunisce tre pezzi molto diversi tra loro che coprono cronologicamente tutto l’arco del Novecento.
La serata del 3 ottobre, alla quale ha assistito OperaLibera, si apre con Études di Harald Lander coreografato nel 1948 per il Royal Danish Ballet. Il pezzo, sulle musiche di Carl Czerny, arrangiate e orchestrate da Knudåge Riisager, è la sublimazione di una lezione di danza, un florilegio ideale di tutti gli esercizi che i ballerini eseguono in una normale giornata di studio, dagli esercizi alla sbarra, passando per l’allungamento muscolare alla fine del riscaldamento, alla prova di coreografie romantiche al centro per chiudere poi con salti e diagonali. Anche la musica nella sua varietà, dal lento delle prime esecuzioni, agli andanti, allegri e vivaci, fino alla mazurka e alla tarantella finali, racconta lo sviluppo della lezione. Gli esercizi si trasformano in balletto grazie alle esecuzioni alternate, agli assoli, ai passi a due e ai virtuosismi che, soprattutto sul finale, incantano lo spettatore in un tripudio di fouetté, manège e brisé.

Cinquanta minuti filati a un ritmo in crescendo, musicalmente e per impegno fisico, che vede impegnati corpo di ballo e tre primi ballerini: bravissimi Navrin Turnbull e Mattia Semperboni insieme ad Alice Mariani. La complessità tecnica è data anche dall’elevato numero di interpreti che, come di consueto nel caso del Corpo di Ballo della Scala, danno prova di perfetta sincronia e armonica esecuzione.
Gli effetti di contro luce su fondo azzurro, ideati dallo stesso Lander, creano silhouettes nere che accentuano i profili dei ballerini e la perfezione dei loro movimenti. I costumi, classicissimi, bianchi, neri e grigio perla, aiutano ad esaltare il gesto artistico. La coreografia sembra volerci ricordare che la bellezza della danza è il frutto di quell’esercizio costante e quotidiano, in sé forma d’arte compiuta al primo plié eseguito ogni mattina.
Il programma del trittico è inframezzato da Petite Mort di Jiří Kylián, famoso pezzo che ha debuttato nel 1991. Il balletto si apre su un silenzio interrotto solo dalle spade dei ballerini uomini che cadendo, con il loro fragore, accentuano l’inquietante presenza delle armi. Su questo silenzio si accende dopo alcuni minuti la musica di Mozart, i celebri concerti per pianoforte e orchestra Adagio n. 23 K. 488 e Andante n. 21 K. 467, eseguiti al pianoforte da un applauditissimo Takahiro Yoshikawa. Se nella prima metà del balletto la musica è di tono drammatico, l’irrompere in scena di sei donne avvolte in pesanti crinoline apporta una nota ironica sostenuta da una musica vivace. Le crinoline sono in effetti dei piccoli paraventi montati su rotelline, dai quali le ballerine entrano ed escono, vestendo e svestendo un ruolo sociale mentre, grazie alle rotelline, corrono di qua e di là. Il balletto, giocato sulla tensione erotica, ma anche sul rapporto subalterno uomo-donna, è celebre per i brevi ma preziosi passi a due, declinati in un linguaggio molto moderno – difficile dare un nome preciso ai singoli passi – sostenuto da una rigorosa tecnica classica. Sei uomini e sei donne hanno danzato in coppia, vestiti da Joke Visser che ideò, oltre alle finte crinoline, corsetti e bustini con le stecche che ammiccano a un’estetica anni Trenta: Stefania Ballone con Matteo Gavazzi, Marta Gerani con Marco Messina, Francesca Podini con Gioacchino Starace, Antonella Albano con Darius Gramada, Alice Mariani con Christian Fagetti, Maria Celeste Losa con Edoardo Caporaletti.

La serata si chiude con un pezzo mainstream quale èBoléro di Maurice Béjart, sulla musica di Maurice Ravel. Notissimo balletto andato in scena, a differenza di quello che comunemente si pensa, per la prima volta con una ballerina circondata da un corpo di ballo maschile, ma successivamente declinato in diverse combinazioni: alla Scala, nelle nove serate di replica, si alternano la prima versione e una tutta al maschile. Sorta di rituale tribale, di dichiarata sensualità, accentuata dai toni del rosso e del nero, dalle luci calde e dall’esecuzione a torso nudo: oggi, se mentre lo si guarda si ripensa alla data del debutto – 1961 – Boléro risulta veramente una creazione audace. Musicalmente notissimo, ma oggettivamente travolgente nell’esecuzione dal vivo dell’orchestra della Scala. Il 3 ottobre il ruolo centrale, che coincide con la danza sulla melodia, è stato interpretato da Martina Arduino,la cui esilità non è forse pienamente funzionale all’interpretazione di questo pezzo, mentre il ritmo è stato ballato da un gruppo di eccellenti danzatori.
Tutta la serata ha visto sul podio, a dirigere l’orchestra, Simon Hewett.
Foto: Brescia Amisano Teatro alla Scala
