Spettacoli

La Vestale – Teatro Municipale, Piacenza

La Vestale, di Gaspare Spontini al Teatro Municipale di Piacenza. 

22 novembre 2024. Duecentocinquanta anni sono trascorsi dalla nascita di Gaspare Spontini nel borgo marchigiano di Maiolati. Un importante anniversario che viene celebrato con questa nuova produzione della Vestale frutto dalla collaborazione fra la Fondazione Pergolesi Spontini, il Teatro Municipale di Piacenza, il Teatro Alighieri di Ravenna e il Teatro Verdi di Pisa. La versione proposta a teatro è dovuta ad una revisione dell’autografo della Scuola di Filologia dell’Accademia di Osimo, a cura di Federico Agostinelli e Gabriele Gravagna in collaborazione con Centro Studi Spontini di Maiolati. Un notevole e meritevole sforzo produttivo per far tornare a teatro questa Tragédie lyrique su libretto di Victor-Joseph-Etienne de Jouy, componimento troppo poco proposto e considerato dai palinsesti europei. Per ogni melomane, ovviamente, questo titolo non può che essere associato a Maria Callas, che, nel 1954, alla Scala, con Luchino Visconti, diede vita ad uno dei suoi più iconici personaggi. Ancora negli anni settanta, nelle famose lezioni di canto alla Juilliard School of Music, il soprano, parlando dell’aria di secondo atto “Tu che invoco”, diceva: “Quest’aria assai difficile è molto pesante e dovrebbe essere cantata soltanto da una voce drammatica. Ma è un eccellente studio di dizione, linea, e tono sostenuto per qualsiasi soprano”. Un ruolo assai impegnativo quindi, anche per la Diva e giustamente passato alla storia. Quasi inevitabilmente, in apertura di sipario, ecco risuonare in teatro la inconfondibile voce di Maria, che, in inglese, parla della sua scelta vocazionale e totalizzante per la musica.

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Carmela Remigio

Gianluca Falaschi cura regia, scene e costumi e omaggia pienamente il mito Callas in questa sua incarnazione scaligera, tanto da fare comparire sul palco proprio l’indimenticabile ed iconico costume bianco di Piero Zuffi. Ci troviamo in un padiglione neoclassico, voltato a botte, caratterizzato da finti marmi e scalini che lasciano ampio spazio a vaporosi e fluttuanti tendaggi. La storia del libretto continua ad alternarsi con quella privata della diva, anche grazie a video che vedono protagonista la brava e credibile Carmela Remigio. Un costrutto però un po’ troppo  cervellotico e che, pur partendo da una buona intuizione, non riesce a trovare il giusto compromesso ed una decisione univoca su cosa si voglia raccontare. Per il regista la vicenda di Julia e quella di Maria coincidono ma visivamente ci si trova spersi in una poco costruttiva confusione. I costumi, ad esempio, sono ispirati alla moda alto borghese anni cinquanta a cui spesso si sovrappongono però sgraziati pepli neoclassici. Un discorso a parte, invece,  meritano i balletti che sono stati giustamente eseguiti come previsto in partitura. Il coreografo Luca Silvestrini ha affidato ad un esiguo gruppo di pur bravi ballerini delle danze basate su movenze scoordinate e poco felici, di difficile interpretazione ed esageratamente slegate dal libretto. L’operazione non è stata apprezzata dal pubblico in sala che ha fatto sentire il suo dissenso già alla fine del primo atto. Bene ha fatto invece il light designer Emanuele Agliati che ha proposto luci fredde e adeguate al tono neoclassico della scena. Una produzione, insomma, che visivamente non ci ha totalmente convinto mentre ha lasciato molti meno dubbi sul lato musicale. 

A Carmela Remigio spetta l’arduo compito di portare sulla scena Julia, ruolo di grande complessità vocale ed interpretativa. Il soprano, forte di una prestigiosa carriera internazionale, risolve la parte con l’intelligenza di un’artista che ben conosce l’importanza della verità drammatica, nel canto come nella gestualità. L’emissione, misurata e sorvegliata, è messa al servizio dell’espressività, cui concorrono l’accuratezza dell’accento e la compostezza dei movimenti. Ecco, allora, che nel corso dell’opera viene ben messa in evidenza l’evoluzione psicologica di questo personaggio, diviso tra amore e ruolo sociale, in una sublime alternanza tra momenti di aulica tragicità e oasi liriche caratterizzate da un più intimo abbandono. Una prova affrontata con grande professionalità e accolta, al termine, da un meritato successo personale. 

Al suo fianco brilla il Licinius di Bruno Taddia. Il baritono veste i panni di quello che, forse, è il personaggio più controverso dell’opera, almeno sotto il profilo della sua genesi musicale. Taddia è un artista a tutto tondo, istrione sulla scena, carismatico nell’accento ed estroso nelle movenze. Rifinito e ben impostato anche il canto, grazie ad uno strumento sicuro e di buon volume.

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Bruno Taddia e Joseph Dahdah

Una bella sorpresa il Cinna di Joseph Dahdah, che colpisce per lo squillo e la musicalità di una vocalità duttile e ben proiettata. Avvolgente ed accorato l’interprete.

Note positive anche per Daniela Pini che, nei panni della Grande Vestale, sfoggia una linea screziata e dal suggestivo colore chiaroscurale. Adeguatamente solenne l’accento; di imperiosa eleganza la presenza, valorizzata, al meglio, dal fascinoso abito di scena.

Adriano Gramigni affronta il ruolo del Gran Pontefice con un mezzo dal caratteristico colore vellutato. Efficace il fraseggio musicale, articolato con buona proprietà stilistica.

Completa la locandina il bravo Massimo Pagano, impegnato nel duplice ruolo del Capo degli Aruspici e del console.

Sul podio, Alessandro Benigni interpreta questa complessa partitura, qui presentata in versione pressoché integrale, con gesto rigoroso e ne offre una lettura convincente ed ispirata. Una concertazione stilisticamente appropriata, accurata nella ricerca delle dinamiche, incalzante nel racconto e piuttosto equilibrata nelle sonorità, pur al netto di qualche occasionale eccesso di clangore. Le intenzioni direttoriali non trovano sempre adeguata corrispondenza nella prova della compagine strumentale, l’Orchestra La Corelli, che lascia trasparire numerose imprecisioni e scollamenti, mettendo a repentaglio il mantenimento del giusto equilibrio tra buca e palcoscenico.

Ottimo il contributo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, diretto con encomiabile perizia stilistica da Corrado Casati.

Al termine dello spettacolo, il pubblico presente, riserva applausi convinti a tutta la compagnia, mostrando maggiore entusiasmo all’indirizzo dei quattro protagonisti e, in particolare, Remigio e Taddia. Timide contestazioni per il direttore, cui sono seguiti applausi all’apparire del team registico.

La produzione verrà ripresa a Pisa e Ravenna il prossimo febbraio.

Marco Faverzani | Giorgio Panigati

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Carmela Remigio e Bruno Taddia

24 novembre 2024. Doppio plauso per il Teatro Municipale di Piacenza per aver scelto di mettere in scena un titolo così importante, ma poco rappresentato, come La Vestale di Gaspare Spontini dopo l’altrettanto trascurato Mosè rossiniano. Ma anche qui, come nel titolo precedente, siamo di fronte a un’occasione in parte disattesa, partendo principalmente dallo spettacolo di Gianluca Falaschi che, favorendo di una compagnia di canto molto ben coesa e capitanata da due veri esperti del palcoscenico, riesce appieno soltanto con i protagonisti, gli unici a riuscire a trasmettere il duplice messaggio dell’originale tragedia lirica e del mito di Maria Callas. Il resto è piuttosto lasciato in ombra e provoca un grande scollamento. Il bravissimo Coro del Teatro Municipale di Piacenza guidato da Corrado Casati, si distingue per un’eccellente resa vocale, ma la loro interpretazione è arginata al solo continuo sorreggere un bicchiere di bollicine. Lo stesso vale per i bravi ballerini che si prodigano in un’interessante coreografia, a cura di Luca Silvestrini, nel balletto che conclude il primo atto, che paiono rappresentare le gesta di legionari e vestali, anche ispirate dai vasi romani, pur rovinate dalle tuniche volteggianti; ma per il resto, oltre a indossare sempre costumi piuttosto macchiettistici ed essere privi di un trucco e parrucco adeguato, eseguono danze che rasentano il ridicolo. Anche la scenografia fatta di tendaggi, apparentemente elegante, perde totalmente il suo gusto essendo continuamente colpita, percossa e battuta dagli interpreti. Nemmeno le luci di Emanuele Agliati aiutano, seppur ispirate ad un’atmosfera di classe, poiché i cantanti sono spesso lasciati al buio.

Decisamente migliore è la resa musicale di Alessandro Benigni che dipinge un giusto tableau di grandeur parisienne, pur non soffermandosi su certe finezze.

Grande protagonista è la Julia di Carmela Remigio che, con la professionalità e l’esperienza che le compete, canta in maniera misurata per non eccedere nella concitazione drammatica, dando così un adeguato risalto alla modernità musicale di Spontini, facendo indubbiamente lezione di tutto il suo importante bagaglio mozartiano. La affianca l’altrettanto imponente Licinius di Bruno Taddia, che sapientemente rende il logorio dell’amore che prova per Julia, con una gravità vocale che riesce a non cadere mai nel patetico.

Molto bene per la luminosità di Joseph Dahdah nei panni di Cinna e per la possanza di Adriano Gramigni nel ruolo del Souverain Pontife, che gradualmente si merita sempre di più la titolarità di parti più importanti. Pure
efficaci la Grande Vestale di Daniela Pini e Le Chef des Aruspices/Un consul di Massimo Pagani.

William Fratti

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Daniela Pini e Carmela Remigio

LA VESTALE
Tragédie-lyrique in tre atti
Libretto Étienne de Jouy
Musica Gaspare Spontini

Julia Carmela Remigio
Licinius Bruno Taddia
Cinna Joseph Dahdah
La Grande Vestale Daniela Pini
Le Souverain Pontife Adriano Gramigni
Le Chef des Aruspices/Un consul Massimo Pagani

Orchestra La Corelli  
Direttore Alessandro Benigni

Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore del coro Corrado Casati
Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
Luci Emanuele Agliati 
Coreografo Luca Silvestrini

Foto: Stefano Vinci