Roberto Devereux – Donizetti Opera Festival, Bergamo
Il festival Donizetti Opera festeggia i suoi primi dieci anni.
Si torna a Bergamo, nella patria di Gaetano Donizetti e quest’anno si festeggiano anche i primi dieci anni di un evento che ha saputo essere, via via, sempre più glamour ma, al tempo stesso, imperdibile per melomani e non. Una festa che inonda la città, già in clima natalizio, e che si ripropone ogni anno, sempre più imperdibile, grazie al lavoro di tanti ma soprattutto a quello di Francesco Micheli. Il regista e autore televisivo, con questa edizione, chiude definitivamente, purtroppo, la sua esperienza di direttore artistico del Donizetti Opera.
Come sempre, la kermesse offre un caleidoscopio di eventi, imperdibile, ad esempio, la mostra D come dieci, un viaggio per immagini in questo decennio festivaliero attraverso splendidi scatti fotografici. Ovviamente centrali sono poi le tre opere proposte: Roberto Devereux, Zoraida di Granata e Don Pasquale. Per la serata inaugurale si propone Roberto Devereux, allestimento coprodotto con il Teatro Sociale di Rovigo, opera amatissima del genius loci ma, invero, ancora troppo poco presente nei palinsesti teatrali. Si mette in scena la versione del 1837, che debuttò al San Carlo di Napoli. La edizione critica di Casa Ricordi Milano, curata da Julia Luckhart, non presenta, ad esempio, la famosa sinfonia che cita l’inno inglese, aggiunta poi per Parigi nel 1838. Una soluzione estremamente moderna che ci mette subito nel centro dell’azione ma che poi viene ripensata dal compositore.
Il regista Stephen Langridge, che è attualmente direttore artistico del Glyndebourne Festival, ci propone uno spettacolo complesso e ricco. Siamo in un mondo fantastico, atemporale, dove numerosi ed insistiti sono i rimandi alla morte incombente della anziana Elisabetta I. In primis troviamo un teschio sul bellissimo e fantasioso costume della protagonista (scene e costumi di Katie Davenport) e vediamo poi irrompere spesso in scena un pupazzo, uno scheletro con le fattezze della sovrana (regia e animazione pupazzo Poppy Franziska). Un allestimento dai colori scuri e funerei dove spicca però il rosso del trono e del letto, simboli di potere e amore. Splendidi, come già accennato i costumi che rivisitano con fantasia ed estro gli abiti elisabettiani, coloratissimi per i protagonisti, neri per il coro. Ben curate anche le luci firmate da Peter Mumford, che si fanno notare soprattutto per l’abbagliante cornice luminosa intorno al boccascena. Un allestimento riuscitissimo che parla con una apparente leggerezza di temi quali la vecchiaia e la morte.
L’esecuzione musicale presenta un cast di voci (ed interpreti) di prim’ordine.
Tanta era l’attesa, inutile dirlo, per il debutto di Jessica Pratt nel ruolo di Elisabetta, personaggio tra i più complessi, e forse anche iconici, dell’intero catalogo donizettiano. La scrittura richiede una vocalità estesa e in grado di spaziare, con egual disinvoltura, dagli abissi del registro grave alle folgoranti ascese della regione superiore. Il soprano australiano, con il suo background fortemente legato al repertorio lirico-leggero, sembra trovarsi, oggi, all’inizio di una nuova fase del suo percorso. Scorrendo velocemente i prossimi impegni vediamo, infatti, come accanto alle eroine più “leggere”, comincino a farsi spazio ruoli dalla tessitura più drammatica. Jessica Pratt arriva a questo appuntamento in grande forma e, a giudicare dal risultato, deve avere lavorato veramente molto, sotto il profilo musicale e scenico. Vinta una prima, quanto condivisibile, emozione nella esecuzione della cavatina di ingresso, il soprano sigla una prova di rilievo. Il controllo assoluto di una vocalità luminosa le consente di risolvere ogni passaggio, anche quelli di più scabrosa difficoltà, con eleganza e precisione, mantenendo lo strumento morbido e ben sorvegliato. I cantabili sono impreziositi con filati e pianissimi di ammaliante purezza, le colorature sgranate con pertinenza e dominio tecnico. Se i sovracuti vengono esibiti con la ben nota sicurezza, a sorprendere è, anche, la naturalezza con cui il soprano riesce a gestire l’emissione nella regione più grave, scevra da suoni forzati o artificiosi. Da un punto di vista interpretativo, poi, il personaggio viene costruito con un fraseggio articolato e cesellato, dove nulla è lasciato al caso e ogni parola caricata con la giusta intenzione. Un plauso, inoltre, all’attrice, straordinariamente coinvolta nel caratterizzare la dimensione più umana della sovrana, divorata dal sospetto, tormentata dal rimorso di una felicità perduta e dal desiderio di un amore passato ormai impossibile. Apice di questa interpretazione è la splendida scena finale, valorizzata con grande partecipazione emotiva.
Nel ruolo del titolo, John Osborn è semplicemente perfetto. La voce, dal caratteristico colore chiaro, corre in sala con estrema facilità, suonando sempre omogenea e compatta. La morbidezza dell’emissione, unita alla abilità tecnica da autentico fuoriclasse, consente al tenore di affrontare la tessitura con la giusta incisività. Il momento più alto di questa esibizione è, senza dubbio, la scena del carcere di secondo atto dove si ammira, oltre all’innegabile proiezione dello squillante registro acuto, la abilità dell’artista di porgere il canto sul fiato con intenzione e rispetto stilistico per l’autore.
Splendida la Sara di Raffaella Lupinacci, la cui vocalità opulenta e sontuosa si espande con naturale musicalità sino a spingersi nella regione più acuta dove vibra con tutta la sua ricchezza di armonici. L’emissione, sempre rifinita e curata, è votata ad una costante veridicità teatrale che, combinata con una presenza scenica di rilievo, riesce a rendere piena giustizia a questa donna innamorata e volitiva.
Completa il quartetto dei protagonisti il duca di Nottingham di Simone Piazzola, del quale apprezziamo il colore brunito di un mezzo sonoro ed ampio. L’artista si mostra piuttosto attento nel sottolineare le passioni contrastanti che divorano il personaggio e, grazie ad un fraseggio sbalzato con la giusta protervia, ben sottolinea l’animo di quest’uomo che scopre di essere vittima del tradimento della sposa con il suo migliore amico.
Efficaci gli altri interpreti, a partire dallo squillante Lord Cecil di Davide Astorga, l’efficace Sir Gualtiero Raleigh di Ignas Melnikas e il puntuale Fulvio Valenti, impegnato nel duplice ruolo di un famigliare e un cavaliere.
Alla ottima resa della compagnia di canto contribuisce la meravigliosa concertazione di Riccardo Frizza, già direttore musicale del Festival. Una lettura appassionata e vibrante, percorsa da una tensione inquieta ed incessante, quasi uno specchio del tormento emotivo della protagonista. Come già ricordato poco sopra, in questa sede ascoltiamo la versione napoletana del 1837, qui sviluppata dal maestro bresciano con attenzione metodica alle dinamiche e ai colori orchestrali, in un costrutto complessivo asservito al meglio alle esigenze del canto e delle peculiarità degli interpreti impegnati sul palcoscenico. Evidente è, poi, l’intesa con l’Orchestra Donizetti, dal suono nitido e preciso, attentissima nel disegnare una atmosfera narrativa carica di pathos emotivo.
Di buon rilievo, infine, l’apporto del Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, guidato con impeccabile maestria da Salvo Sgrò.
La serata si conclude con grandi festeggiamenti per tutta la compagnia con punte di acceso entusiasmo per la protagonista e Frizza. Applausi cordiali per il team registico. Si conclude così, in grande stile, questa splendida serata inaugurale del Donizetti Opera 2024.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati, 15 novembre 2024.
Difficile aggiungere ulteriori annotazioni agli appunti critici estremamente positivi già segnalati durante la prima rappresentazione se non che, all’ultima recita, tutto risulta essere sempre più disinvolto. Alla quarta, sommandosi quella di Rovigo, questo Roberto Devereux è rodato e i caratteri gotici dello spettacolo ci rimandano alla Bolena di dieci anni fa, come a chiudere un cerchio creativo.
La musica di Donizetti, sempre protagonista, è perfettamente elaborata e sviluppata nella regia di Stephen Langridge – con scene e costumi di Katie Davenport e luci Peter Mumford – che estrapola in maniera moderna i caratteri sottolineati dalle note del compositore, e di cui si apprezzano particolarmente, oltre alla cura dei protagonisti, le scene corali, con ottima rappresentazione del baruffare del parlamento inglese. In questo contesto altamente descrittivo si inserisce pure la guida musicale di Riccardo Frizza, che qui si prodiga in uno dei suoi migliori lavori.
Nulla da sommare neppure ai giudizi estremamente positivi già espressi sulla performance del cast, se non John Osborn che rende il ruolo del titolo con una grazia espressa da un legato che ha pochi eguali, Jessica Pratt che nei panni di Elisabetta si esprime con tinte drammatiche di grande rilievo, e Raffaella Lupinacci che si prodiga nella parte di Sara con un’omogeneità che lascia a bocca aperta.
Il mezzosoprano partecipa anche alla serata Amarcord a festeggiare i 10 anni di Francesco Micheli alla direzione artistica del festival, esibendosi nell’aria di Arturo da Rosmonda d’Inghilterra a ricordo dell’edizione 2016.
Un grande e meritato successo per tutti.
William Fratti, 28 novembre 2024.
Donizetti Opera 2024
ROBERTO DEVEREUX
o Il conte di Essex
Tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta Jessica Pratt
Il duca di Nottingham Simone Piazzola
Sara Raffaella Lupinacci
Roberto Devereux John Osborn
Lord Cecil David Astorga
Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas
Un famigliare di Nottingham e Un Cavaliere Fulvio Valenti
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Stephen Langridge
Scene e costumi Katie Davenport
Luci Peter Mumford
Regia Animazione Pupazzo Poppy Franziska
FOTO: Gianfranco Rota