Madama Butterfly – 70° Festival Puccini 2024
La 70^ edizione del Festival Puccini è venuta a coincidere, oltre che con il centenario della scomparsa del Maestro, anche con i centoventi anni di Madama Butterfly, che il 17 febbraio 1904 debuttò al Teatro alla Scala e che viene ora proposta a Torre del Lago come evento speciale a chiusura della stagione. La morte di Liù che ha concluso la recente Turandot con il solenne corteo in omaggio a Puccini, realizzato da Pizzi sulla scia del gesto di Toscanini, si lega così idealmente al suicidio di Cio Cio San, che la regia di Vivien Hewitt rappresenta nella forma di un sacrificio arcaico e rituale. L’allestimento, la cui cifra distintiva è proprio una sacrale essenzialità, nasce nel 2000 allorché Kan Yasuda viene chiamato per la realizzazione delle scene, tenendo a battesimo il progetto “Scolpire l’opera” che negli anni seguenti ha portato sul palco del Gran Teatro all’Aperto il genio degli artisti di Pietrasanta, tra cui anche Folon e Mitoraj. Le opere dello scultore giapponese si impongono nel vuoto per il loro candore e per la loro matericità, evocando gli ambienti senza mai definirli e creando pertanto uno spazio simbolico ed enigmatico. La forma interroga l’assenza e al contempo, nel suo rigore geometrico e nella sua marmorea levigatezza, pare refrattaria ad ogni nostra investigazione. Il dramma che è del cuore quanto di un intero sistema sociale viene quindi proiettato su uno sfondo sospeso e metafisico, in cui ogni gesto ha una valenza cosmica e liturgica. Un sapiente gioco di luci, per mano di Gianni Paolo Mirenda, accentua questo carattere di primitiva sacralità e gli eleganti costumi di Regina Schrecker, pur nella loro varietà e leggerezza, si attengono a questa suggestiva atmosfera, con il bianco ed il rosso, colori del lutto e della festa, ma anche della purezza e del sangue. Molto ben coordinati anche i movimenti con coreografie lineari ed eloquenti, come la processione nuziale, l’irruzione dei bonzi e i gesti mimati durante l’intermezzo. Se al principio le strutture sul palco sembrano alludere ad una possibile apertura, porta o fessura da cui sfuggire alla tragedia, la scena conclusiva avviene poi all’interno di una cornice e con l’assistenza di ieratici ministri, in un quadro terribile e di estrema coerenza, dove si incrociano forze universali e primitive come la fedeltà e l’onore e da cui risultano del tutto esclusi Pinkerton e il suo seguito americano, e dove a parlarci di carne e umanità sono soltanto l’apprensione di Suzuki e la tenerezza del bambino.
In perfetto accordo con questa trama di immagini e di significati ci appare l’interpretazione di Valeria Sepe, che dà forma ad una Butterfly che ha la statura della donna, nobile financo nella più ottusa cecità e dove ogni infantilismo resta compreso nella dignità del personaggio, perfino in quei frangenti in cui potrebbe farla sembrare ridicola. Una figura tracciata con un canto di grande varietà e di salda estensione, con un fraseggio alquanto articolato e una sillabazione accurata ed espressiva, in uno stile legato capace di armonizzare le differenti sfumature e offrire una prestazione di grande unità e senza cedimenti. Di delicata seduzione fin dal suo comparire, è assai coinvolgente nel duetto d’amore e in “Un bel dì vedremo” è di nitida omogeneità, con precise variazioni dinamiche e una sicura tenute delle note. Molto drammatica negli scambi con Suzuki, è infine struggente nell’epilogo: una Butterfly parimenti travolta dalla violenza degli altri e dalla propria mancanza di realtà, ma che agisce come se ogni cosa dipendesse da sé, fino in fondo fedele alle sue scelte e ai suoi sentimenti.
Il Pinkerton di Vincenzo Costanzo è nelle prime scene energico e spavaldo, quasi sbruffone, ed esibisce una vocalità rotonda e luminosa, sempre di estrema morbidezza. Se “Dovunque al mondo” è resa con grande nitore formale ma senza una particolare caratterizzazione, ogni intervento durante il matrimonio riesce penetrante e calibrato, con un’espressività che unisce la delicatezza del fatuo innamorato all’irruenza del marinaio. E’ di una passionalità assai trascinante nel duetto con Butterfly, autentico apice di lirismo e commozione. Lo ritroviamo al secondo atto con “Addio fiorito asil” sbalzata in forme smaltate e acuti precisi e lucenti e a descrivere poi con intensità il tormento del finale. Una prova dunque di altissimo pregio e che attesta tra l’altro, se confrontata con quella del Festival 2022, la maturazione tecnica e stilistica del giovane artista.
Scolpita e con una forte carica drammatica la Suzuki di Anna Maria Chiuri. Lacerante la sua preghiera agli dei giapponesi e scandito con trasparenza e vigore ogni dialogo con Butterfly. Una Suzuki quindi capace di esprimere una straordinaria partecipazione al dramma della sua padrona e che conferisce al dolore una profondità viscerale e originaria.
Autorevole e rassicurante lo Sharpless di Sergio Bologna, con un’emissione agile e compatta. Non riesce troppo incisivo all’inizio con Pinkerton, mentre è più intenso nel dialogo con Cio Cio San e pieno di pathos nella conclusione.
Manuel Pierattelli nei panni di Goro descrive con veridicità il cinico opportunista, con un’accentazione marcata e un’eloquente gestualità, ma con poco volume e qualche fragilità nell’impostazione.
Ha una chiara dizione e un ‘attitudine fiera e signorile lo Yamadori di Italo Proferisce; con voce omogenea e profonda Gaetano Triscari è uno Zio Bonzo ancestrale e suggestivo.
Prima quasi superba e poi alquanto empatica la Kate Pinkerton di Claudia Belluomini, con una valida consistenza e una linea sinuosa.
Agile e preciso il Commissario Imperiale di Enzo Ying, accompagnato dal compito Ufficiale del Registro di Alessandro Ceccarini. Di buon volume e definita la Madre di Maria Salvini.
Tutti gli interpreti vengono seguiti con grande attenzione da Jacopo Sipari di Pescasseroli, la cui direzione si distingue per un saldo e puntuale collegamento con il palco e per una spiccata capacità di coinvolgimento emotivo. L’attacco è percorso da frenesia e nervosismo ma il primo atto manca nel complesso di sottolineature cromatiche, pur con un duetto di grande intensità. Le parti liriche riescono infatti accuratamente delineate, mentre quelle drammatiche non hanno la forza del tragico, con accordi poco vigorosi e modesti effetti dinamici. Maggiormente screziato il secondo atto, di vibrante intensità soprattutto nella seconda parte, introdotta da un intermezzo narrativo e assai appassionato ma suggellata da un finale non altrettanto incisivo.
In grande sintonia con l’Orchestra del Festival Puccini anche gli interventi del Coro, diretto da Roberto Ardigò, con un suono morbido e amalgamato, particolarmente modulato durante il matrimonio e delicatamente suggestivo nella veglia notturna.
Uno spettacolo che è stato seguito dal pubblico con commossa partecipazione. Grande entusiasmo per la Sepe e Costanzo e molto applauditi tutti gli interpreti; calorosi apprezzamenti per il maestro Sipari di Pescasseroli e per la Hewitt, Yasuda e l’intero team creativo.
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in due atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Jacopo Sipari di Pescasseroli
Regia Vivien Hewitt
Costumi Regina Schrecker
Scene Kan Yasuda
personaggi e interpreti
Cio Cio San – Valeria Sepe
Suzuki – Anna Maria Chiuri
B.F. Pinkerton – Vincenzo Costanzo
Sharpless – Sergio Bologna
Goro – Manuel Pierattelli
Il Principe Yamadori – Italo Proferisce
Lo Zio Bonzo – Gaetano Triscari
Il Commissario Imperiale – Enzo Ying
L’Ufficiale del Registro – Alessandro Ceccarini
Kate Pinkerton – Claudia Belluomini
La Madre – Maria Salvini
Assistente alla regia – Stamatia Nefeli Spyropoulou
Light designer – Gianni Paolo Mirenda
Sound designer – Luca Bimbi
ORCHESTRA E CORO DEL FESTIVAL PUCCINI
Maestro del Coro – Roberto Ardigò
Foto: Giorgio Andreuccetti